Ciao, sono Claudia, questo è il mio blog :) Invento storie e scrivo romanzi fantasy, benvenuti nel mio mondo!

domenica 23 dicembre 2018

Ilaria Vecchietti - La Valle del Tempo Perduto

Oggi per il laboratorio #armonialatuastoria un lungo racconto scritto da una collega autrice di fantasy che ha molto amato la Saga di Armonia e che ci ha regalato questa bellissima avventura. Tutti i racconti potete trovarli nella raccolta "Un giorno ad Armonia - Vol.2" (L'ebook è gratis! Mentre l'edizione cartacea a soli € 7,99 potrebbe essere un bel regalo di Natale!)


Ilaria Vecchietti - La Valle del Tempo Perduto

Racconto da inserire dopo gli eventi di “Risoluzione”.

«Etciùùù!!!».
È così che tutto incominciò, con uno semplice starnuto. E chi poteva mai ipotizzare tutti gli eventi seguenti? Non sempre gli starnuti sono sinonimi di malessere dopotutto.
Comunque all’inizio ci fu qualche starnuto isolato, poi qualcuno più insistente. Dopodiché seguirono mal di testa, nausea, disturbi intestinali, stanchezza generale. Poi brividi di freddo, brividi di caldo, qualche linea di febbre. Insomma, tutti i sintomi di una normale influenza terrestre, quindi nessuno si preoccupò.
Questo strano morbo si diffuse però in fretta. Come? Per contatto? Via aerea? E chi lo saprà mai?
Comunque colpì indistintamente alunni, professori e anche animusi.
Poi la situazioni degenerò.
Le muccoche smisero di fare il latte, le gallicore smisero di fare le uova, le apescioline smisero di fare il miele.
E presto arrivò il tracollo generale!
La febbre nei soggetti colpiti aumentò sempre di più… fino a farli cadere in una sorta di coma, durante il quale erano sempre agitati da spasmi involontari e continui, come se paurosi incubi tormentassero la loro mente e il loro sonno.
Il signor Giorgio Verza provò tutti i rimedi e gli intrugli conosciuti (e anche alcuni sperimentali inventati da sé proprio per risolvere quella difficile situazione), ma niente parve essere efficace. Tutti gli esperti usarono vari tipi di melodie curative, ma neppure la Musicomagia sortiva qualche risultato. Neanche le super – ultra tecnologie e prodotti avanzati dei Tecno furono utili.
Perfino gli occhi gialli, attenti ed esperti di Umanimusi di Giulia Accordi non riuscivano a cogliere qualcosa di significativo.
Niente aveva senso. Niente seguiva la minima logica.
Se tutto fosse proseguito in quel modo cosa sarebbe successo? Sicuramente il morbo avrebbe contagiato tutta Armonia, allargandosi poi anche alle altre scuole.
Tutti sapevano che bisognava fare qualcosa… ma cosa? Si era già tentato ogni genere di rimedio, cosa si poteva ancora sperimentare? E presto alcuni si rassegnarono all’inevitabile.

Una mattina a Giulia arrivò un messaggio dalla sua bisnonna Yamanuelle, la saggia e anziana preside della scuola africana Les Musiciens.
“Guaritrice, il morbo è antico come il mondo. E solo nell’antichità puoi trovare la cura. Brillerà dei colori dell’arcobaleno e profumerà di vita”.
..Sempre molto chiara.. pensò Giulia. Yamanuelle in passato aveva aiutato la ragazza moltissime volte, ma le parlava quasi sempre per enigmi e Giulia non sapeva interpretare le sue parole, o almeno non subito. ..Almeno non mi ha detto “che niente è quello che sembra.., continuò a pensare scocciata, visto che molto spesso le aveva ripetuto quella frase.
Dopo aver controllato che Rudy e Pietro, i suoi due più grandi amori, non avessero ancora contratto la malattia, si diresse alle stalle per accudire gli animusi. Nessun miglioramento per i malati, altri invece cominciarono a presentarne i primi sintomi.
Si prese cura come al solito di tutti quanti, provando a suonare ancora qualche melodia curativa e somministrando qualche medicina dei Tecno.
Passò poi nella Sala Cure e in quella che fino a prima che scoppiasse l’epidemia era la sala dove si cenava… già, ora era adibita a infermeria. Tutti gli alunni e i professori che ancora godevano di buona salute consumavano i pasti nelle proprie camere, perfino le lezioni furono sospese, ma nessuno poté ritornare a casa propria, si rischiava di portare il morbo anche sulla Terra. Armonia era finita in quarantena, nessuno poteva allontanarsi e nessuno poteva entrarvi.
Giulia aiutò ad assistere tutti i malati, ma neanche tra gli umani c’erano miglioramenti.
«Non sappiamo più cosa fare» disse Camilla, la migliore amica di Giulia e sua ex compagna di stanza e avventure. «Siamo in continuo collegamento con i Tecno, ma i loro sofisticati strumenti non riescono a esserci di nessun aiuto. Sembra che questo male sia sconosciuto a tutti… e soprattutto sia incurabile».
Giulia si mise a riflettere sulle parole di Yamanuelle. Se la sua bisnonna le aveva detto quella frase sibillina doveva esserci un motivo, non era una persona che si perdeva in chiacchiere inutili o prive di significato. Le sue parole ambigue proferivano sempre il vero e la giusta soluzione.
Mentre meditava, si diresse verso la presidenza. Voleva discuterne con un’altra donna saggia: la preside Gloria Orchestri. Bussò alla porta, ma stranamente la preside non c’era.
Andò così nel laboratorio del signor Giorgio, per vedere se aveva sperimentato nuove erbe… e con grande sorpresa ci trovò anche la preside.
«Oh Giulia, sei qui».
«Signora Preside. Ero venuta a cercarla prima» disse Giulia.
«Ah, eccomi, mi hai trovata. Sono venuta qui a prendere qualche tisana» rispose la preside, ma la giovane ragazza intuì che c’era qualcosa di più, avvertiva delle emozioni strane provenire dalla donna. «Comunque cosa volevi?» domandò la preside, cambiando discorso.
Giulia le raccontò del messaggio di Yamanuelle.
«Solo nell’antichità puoi trovare la cura» ripeté la preside, con lo sguardo perso nel vuoto.
«L’unica cosa che mi è venuta in mente è il viaggio nel tempo, magari con Persi. Lei cosa ne pensa?».
La preside Orchestri rimase ancora in silenzio, poi alzò gli occhi su Giulia. «Non saprei. I poteri del serpesce non ci sono ancora del tutto chiari. In genere, come hai sperimentato qualche anno fa, quando occorre il serpesce riesce a spostarsi nel tempo. E anche se chiedessimo aiuto ai Tecno, non sappiamo in quale epoca viaggiare». Poi la donna si portò una mano sulla fronte e chiuse gli occhi.
Giulia si allarmò. «Preside? Si sente bene?».
La preside riaprì gli occhi e le sorrise. «Non ti preoccupare per me. Ora hai il compito di trovare la soluzione a tutto questo». Dopodiché le augurò buona giornata e se ne andò.
Giulia rimase a guardare la porta chiusa e sospirò. Il signor Giorgio le si avvicinò e le mise una mano sulla spalla. «Ha contratto il morbo?» domandò la ragazza, anche se non era una vera e propria domanda. La risposta la conosceva già il suo cuore.
«Dobbiamo essere forti… finché possiamo».
Giulia e il signor Giorgio rimasero a parlare ancora per qualche minuto. Poi l’uomo si mise a fare i suoi intrugli, per cercare di scovare una qualche tipo di erba che potesse aiutare a sconfiggere il morbo. La ragazza prima di andarsene rimase a osservarlo ancora, guardandolo tutto concentrato mentre canticchiava una qualche filastrocca, forse che lo aiutava a concentrarsi.
Quando però fece per uscire e tornare alle sue faccende, alcune parole la bloccarono sull’uscio. Si voltò e guardò ancora il signor Giorgio, il quale continuava il lavoro come se nulla fosse… ma ormai nel cervello di Giulia era scattato qualcosa, quell’istinto indomabile che possedeva da sempre e che l’aveva aiutata in più di un’occasione.
«Come ha detto?» domandò Giulia.
L’uomo alzò la testa e la guardò confuso.
«Arcobaleno e di vita profumerà, cosa stava dicendo?» continuò la ragazza.
«Ah, quello, ma non è niente di che. È una vecchia filastrocca che mi aveva insegnato il mio nonno quando ero piccolo. Mi diceva che era più potente di qualunque medicina e spartito. Parla del succo ricavato dal Fiore Arcobaleno».
«Me la può ripetere per favore?».
«Il succo dell’arcobaleno aiuterà in un baleno.
Uno. Contro l’incedere dello starnuto, infuso di peperoncino va bevuto.
Due. Contro il martellante mal di testa, mangiare torta di carote come fosse festa.
Tre. Contro le nausee del mal di pancia, solo il succo di limone bilancia.
Quattro. Contro il malessere della stanchezza, va il liquore di menta e l’ebbrezza.
Cinque. Contro il calore della febbre, cucchiai di gelato al mirtillo è celebre.
Sei. Contro il sonno eterno, bicchieri di vino d’uva per sfuggire all’averno.
Sette. Contro la generale malattia, foglie di radicchio permettono la dinastia.
Otto. Tutto per sconfiggere la morte, condito con l’aglio aiuta la sorte.
Il Fiore Arcobaleno brillerà e di vita profumerà».
La ragazza ascoltò in rigoroso silenzio tutta l’allegra filastrocca… e la sua mente già girava a velocità sorprendente. Poteva non aver senso per nessun altro, ma a Giulia pareva proprio di aver trovato la soluzione al morbo.
«E che fiore sarebbe il Fiore Arcobaleno?» continuò ancora a chiedere.
«Oh, è una leggenda. Almeno esistesse un fiore con le proprietà magiche di cui si vantano gli antichi testi».
Tante erano le informazioni che Giulia stava assorbendo come una spugna, non aveva prove a riguardo, ma il suo indomabile istinto continuava a insistere per proseguire su quella strampalata via. Così si congedò velocemente, per correre in biblioteca.
Si immerse nei vari scaffali traboccanti di libri, ormai conosceva ogni angolo di quella stanza, e dato che il signor Giorgio aveva menzionato gli antichi testi, sapeva perfettamente dove dirigersi: nella parte più remota nel reparto segreto, nascosto dagli scaffali, la cui porta era avvolta da una nebbiolina verde e riservato solamente ai professori e agli alunni dell’ultimo anno.
Gli antichi testi erano tomi vecchissimi, che esistevano ad Armonia da tempo immemore. Nessuno sapeva chi li avesse scritti o quando. Erano sempre esistiti e sempre stati custoditi gelosamente, sotto a una particolare teca di cristallo per preservarli dagli agenti atmosferici. In pochi – pochissimi – li avevano sfogliati, sempre molto delicatamente per via delle pagine sottilissime e usurate, e ancora meno era chi li aveva compresi. Il linguaggio in cui erano vergati era molto complicato e non facilmente comprensibile. Alcuni avevano cercato di tradurli, ma nel corso degli anni poche pagine avevano trovato una traduzione completa, e che avesse senso.
Giulia rimase qualche secondo ad osservare quei preziosi libri sotto la teca. Poi si riscosse e prese il suo flauto, suonò una melodia che aprì la teca sigillata.
Con molta cautela e attenzione prese uno dei libri. La copertina di cuoio, finemente lavorata, le trasmise una sensazione inebriante. Non aveva mai avuto l’occasione di sfogliare quei libri, anche perché era concesso in rare occorrenze o solo dagli esperti traduttori… infatti, come al suo solito, Giulia stava infrangendo una regola, e come al solito non rimase ferma a riflettere prima di agire, o anche solo prima chiedere il permesso. No. Era cresciuta, eppure il suo carattere ribelle e ostinato non era mutato più di tanto. Doveva sempre fare di testa sua.
Andò a uno dei tavoli e con più delicatezza che poteva, aprì il libro e iniziò a leggerlo… per così dire…

Giulia perse la cognizione del tempo, non sapeva per quanto tempo fosse rimasta ferma al tavolo, sfogliando lentamente gli antichi testi uno dopo l’altro, cercando di decifrare qualcosa di utile, qualcosa che potesse esserle utile sul morbo o riguardante il Fiore Arcobaleno… qualcosa che confermasse la sua sensazione.
«Maaammaaaa» sentì Giulia a un certo punto. Era Rudy, il suo piccolo birichino che la stava cercando ovunque.
Subito allarmata, vista la situazione generale del morbo, si alzò e corse da lui. «Ehi! Va tutto bene tesoro mio? Ti fa male da qualche parte?». Dopodiché gli controllò la fronte, ma era fresca come una rosa.
«No, mamma. Sto bene e sta bene anche Piccolo» rispose, così Giulia trasse un respiro di sollievo. Fortunatamente i serpesci non avevano ancora riscontrato nessuno dei sintomi del morbo. «Sei stata via tutto il giorno» continuò il bambino, assumendo un’espressione triste.
«Oh, piccolo mio. Ti sono mancata» espresse Giulia, abbracciando forte il figlio. Sapeva bene che lui era molto speciale, e nonostante fosse ancora piccolo aveva grandi poteri e comprendeva benissimo che la situazione attuale era molto critica e pericolosa. Quasi le venne da piangere pensando che Rudy si fosse preoccupato per lei, per cui lo abbracciò ancora.
Dopodiché, insieme, tornarono in biblioteca. Giulia si rimise a leggere e Rudy a curiosare in giro, come sempre, guardando i libri con le immagini degli animusi che gli piacevano tanto.

Dopo altro tempo interminabile, dove Giulia non aveva trovato ancora nulla di utile, arrivò anche Pietro a farle notare la sua assenza.
I due sposi parlarono, seduti al tavolo tra i libri, per un po’, dove Giulia gli illustrò la sua strampalata teoria sul fantomatico Fiore Arcobaleno in grado di guarire tutti i mali, perciò presumibilmente anche il morbo. Il problema era: esisteva davvero? E se esisteva, dove si trovava? Era per rispondere a quelle domande che la ragazza si era isolata in biblioteca.
Pietro, che sapeva benissimo quanto l’intuito della moglie fosse sempre azzeccato, l’ascoltò in silenzio, senza mai interromperla, poi cominciò a dire le sue idee e a porre domande, ma a cui Giulia non sapeva rispondere.
I due ragazzi erano così intenti a parlare della situazione e a trovare una qualche possibile spiegazione, che non si accorsero di quello che stava facendo il piccolo Rudy. Il bambino si stava arrampicando sul tavolo, ma una manina perse la presa e cadde a terra, trascinando con sé i libri e gli antichi testi.
Subito allarmati i genitori si precipitarono per vedere come stesse il figlio… e per fortuna non aveva subito niente di grave, solo una botta per la caduta, così tutti e due trassero un lungo sospiro. Rudy non sapeva mai stare fermo e tranquillo, era una continua fonte di preoccupazione per Giulia e Pietro… senza contare l’immenso potere della sua mente, che per fortuna, dopo gli eventi di Natale, era sotto controllo.
Giulia prese in braccio il figlio, mentre Pietro raccolse i libri, quando la sua attenzione venne attratta da un particolare disegno stilizzato su una pagina degli antichi testi, così anche il suo intuito cominciò a prendere una strana piega, forse fomentato anche da quello della ragazza.
La moglie vide chiaramente l’espressione concentrata del marito, rimanendo a fissarlo e percependo le sue emozioni.
Pietro alzò alla fine gli occhi su Giulia e le passò il libro. Lei guardò l’immagine e cercò di leggere ciò che c’era scritto nella pagina. Poi guardò Pietro e lui disse: «Dobbiamo parlarne con Filippo».

Appena fu libero dai suoi impegni, Filippo raggiunse i suoi ex alunni in biblioteca, dove fu ragguagliato sugli ultimi eventi: il messaggio di Yamanuelle, la filastrocca del signor Giorgio, gli antichi testi
«Il Fiore Arcobaleno dite?» pronunciò alla fine, con gli occhi fissi su quell’immagine sbiadita, disegnato su quel voluminoso libro con le pagine ingiallite.
«Non sai dirci nulla?» domandò Giulia, con la speranza nel cuore che lui sapesse dare conferma ai suoi sospetti.
«No, mi spiace» rispose scuotendo la testa. Poi alzò lo sguardo su Giulia e le sorrise: «Però mi fido del tuo intuito, perciò dobbiamo cercare di trovare questo fiore».
«Ma come facciamo se non sappiamo dove si trova, anzi se esiste davvero?» domandò Pietro, alle spalle di Giulia.
Filippo prese in mano il libro e lo dette al ragazzo. «C’è solo un modo per scoprirlo, cercarlo nel luogo citato qui» disse, indicando un breve passo del testo. «La Valle del Tempo Perduto».
«L’ho già letta da qualche parte oggi, esiste veramente un posto chiamato così? Non l’ho mai sentito» disse Giulia, dopo aver guardato anche lei il libro.
«Sì, esiste. Si trova qui, su questo pianeta, molto lontano da Armonia, ma in pochi ne sono a conoscenza. Quel luogo… diciamo non è molto ospitale» espresse Filippo molto seriamente.
«E come mai?» domandarono quasi contemporaneamente Giulia e Pietro.
«Per via dei suoi abitanti» rispose, per poi andare a cercare un particolare libro. Quando lo trovò lo consegnò ai due ragazzi, che subito iniziarono a sfogliarlo… rimanendo pietrificati dalle inquietanti immagini.

Il giorno dopo fu indetta una riunione tra i professori, dove parteciparono anche Giulia e Pietro. Si discusse a lungo sulla possibilità di formare una squadra per affrontare le insidie e le belve de La Valle del Tempo Perduto, solo per cercare di trovare il misterioso e prodigioso Fiore Arcobaleno.
Ci fu chi d’accordo con la missione e chi invece contrario, era troppo pericolosa e inoltre non era detto che esistesse davvero il Fiore Arcobaleno, e se anche fosse esistito nessuno poteva dire che sarebbe stato la cura del morbo.
Giulia però con la sua tenacia e caparbietà riuscì alla fine a ottenere il permesso per la missione. Lei, Pietro, Arci e Luca ne sarebbero stati i prodi protagonisti, in quanto, dato la pericolosità nel luogo in cui si dovevano addentrare e soprattutto quella degli abitanti autoctoni de La Valle del Tempo Perduto, bisognava scegliere dei valorosi membri dei Guardiani, ma poiché Armonia era sotto quarantena solo loro erano i candidati ideali.
I giorni seguenti si proseguì a sistemare i dettagli della missione, mentre gli studiosi degli antichi testi cercavano di mettere assieme più informazioni possibili sul Fiore Arcobaleno.
Al quarto giorno tutto era pronto, non si poteva indugiare ulteriormente, le condizioni degli infetti si stavano aggravando sempre di più, per cui i ragazzi si avviarono ai recinti degli aquilupo, loro li avrebbero portati a destinazione.
Quando però Giulia montò in groppa a Furia, la voce di suo figlio le giunse alle orecchie. Rudy la stava chiamando, così si voltò e lo vide correre verso di lei, seguito dalla buona Camilla che aveva accettato di prendersene cura in assenza dei genitori.
«Mamma, voglio venire anch’io!» affermò deciso il piccolo, aggrappandosi al pelo di Furia.
«Rudy, non puoi. Devo andare in un posto molto brutto. Ti potresti fare male» cercò di farlo ragionare Giulia.
«Anche tu e papà potreste farvi male» li accusò, con la sua vocina sincera e innocente.
«Ma noi siamo grandi, e dobbiamo andare per cercare la cura per tutti gli altri. Tu vuoi che guariscano vero? – e il bambino, con le lacrime che quasi scorrevano, annuì – vedi, allora dobbiamo andare».
«Ma, mamma…» cercò di protestare ancora.
«Ora basta! Dai retta alla mamma» si intromise Pietro, così Rudy fu preso in braccio da Camilla e portato via, tra i singhiozzi che cercava di trattenere.
Giulia si intenerì ancora al pensiero che il figlio fosse così buono e generoso, e che si preoccupasse dei suoi genitori, a tal punto di volerli accompagnare in un posto da brivido come quello che avrebbero dovuto affrontare.
Ora, che tutto era a posto, Giulia diede il segnale e gli aquilupo spiccarono il volo…

Un giorno intero ci volle prima di giungere a destinazione, attraversando anche buona parte di quel deserto che Giulia e Pietro avevano già visitato quando erano dovuti tornare ad Armonia dalla scuola africana, a causa della distruzione della porta verde a seguito dell’incendio.
Gli aquilupo atterrarono davanti a un’immensa porta, grande quando le alte montagne che segnavano l’inizio di quella gola e dell’ingresso de La Valle del Tempo Perduto.
Pietro si avvicinò al dispositivo di serratura, prese il suo flauto e iniziò a suonare la difficilissima melodia che aveva dovuto imparare per aprire quel complicato sistema. Piano piano, nota dopo nota, gli ingranaggi scattarono uno dopo l’altro, e solo una piccola porticina – di dimensioni normali – si aprì, quel tanto che bastava per farli entrare. Dopodiché si richiuse ermeticamente come lo era prima.
Giulia si guardò attorno, aveva il cuore che le batteva all’impazzata. Non era così preoccupata, agitata ed eccitata nemmeno quando era stata sul pianeta dei Tecno. Sapeva che quello era un luogo pericoloso e che tutti temevano, ma la sua curiosità e intraprendenza facevano sempre capolino in un angolo della sua coscienza.
Aveva appreso che La Valle del Tempo Perduto era sempre esistita, non si sa chi l’avesse costruita, ma chiunque l’avesse fatto era solo per la propria salvaguardia, poiché lì dentro erano state sigillate quelle creature tanto terrificanti e aggressive che aveva visto sui libri. Vari sistemi di sicurezza erano stati installati, anche se avessero sfruttato il cielo nessuno avrebbe potuto andarsene, in quanto era presente una barriera elettrica invisibile. Solo pochi e preparatissimi Guardiani si occupavano periodicamente di controllare che tutto fosse in ordine e funzionante, ma nessuno avrebbe mai pensato di metterci piede.
Con i flauti in mano, lentamente i ragazzi procedevano all’interno della gola. Il deserto aveva già da un po’ lasciato il posto a un terreno più denso e ricoperto di sassi… e ora iniziavano a spuntare alcuni ciuffi di erba qua e là. In lontananza si vedeva la giungla, fitta, lussureggiante e misteriosa.
Tutti sapevano che dovevano stare attenti, per questo procedevano in silenzio e con estrema cautela. Dietro ogni albero, ogni masso, ogni liana, poteva trovarsi il pericolo…

Poi all’improvviso un suono, come dei rami rotti, immobilizzò tutti quanti. Si acquattarono e lentamente strisciarono verso la fonte del rumore, per non essere colti impreparati dai possibili aggressori.
I cespugli di felce si muovevano e suoni di masticazione arrivavano alle loro orecchie. Poi sbucò fuori un musino grigio verde, che masticava tranquillamente le foglie, guardando i ragazzi come se non fossero estranei. Al contrario loro fissarono quell’animale ammaliati e timorosi allo stesso tempo, lo studiarono lentamente, contemplando anche la lunga cresta cranica.
«È, è…» balbettò Arci, senza trovare le parole per continuare.
«È un anchisaurolofo» affermò Pietro, con gli occhi pieni di ammirazione e meraviglia. Ogni creatura per lui era straordinaria.
«Questo è erbivoro… da quello che vedo» disse Luca, senza abbassare il flauto.
«Sì, non dovrebbero esserci problemi con loro, anche se lui è solo un cucciolo. La madre sarà nei dintorni» confermò Pietro. Prima di partire per la missione si era informato accuratamente sulle creature che vivevano lì, documentandosi il più possibile.
Intanto Giulia non aveva detto ancora niente, stava guardando quell’animale affascinata e senza rendersene conto si avvicinò. L’anchisaurolofo non si spostò, rimase fermo a mangiare la felce, così la ragazza allungò la mano e gli accarezzò il muso. L’animale non sembrò spaventato, ma emise comunque un verso acuto… così diversi suoi simili fecero la comparsa, decisamente più grandi, almeno dieci metri di lunghezza, con il corpo ricoperto da spesse placche ossee e la lunga coda corazzata che finiva in una grossa mazza caudale fatta d'ossa fuse. Un’arma micidiale contro i predatori.
«Forse è il caso di togliere il disturbo adesso» disse Arci e tutti seguirono il suo consiglio, era meglio non farli arrabbiare.
Si allontanarono lentamente e sparirono dalla zona, lontano dagli occhi di quel branco.
«Wow!» fu l’esclamazione di Giulia non appena si furono allontanati abbastanza. «Quindi quelli sono gli animusisauri?».
«Sono solo una delle tante specie, loro sono l’incrocio tra anchilosauro e parasaurolofo» puntualizzò Pietro. Da amante di ogni genere di animale e animusi, nei giorni precedenti si era messo a studiare tutte le varie razze di quelle particolari creature, conosciute come animusisauri. Della loro genesi non si sa un granché, non si sa chi li creò, quando e perché. C’era chi ipotizzava che fossero addirittura sempre esistiti e poi per via della loro pericolosità rinchiusi ne La Valle del Tempo Perduto. Quel che era certo è che erano il risultato della combinazione degli estinti dinosauri che popolavano la terra milioni di anni fa, e altri addirittura mammiferi preistorici.
«Ora però direi di concentrarci sul Fiore Arcobaleno» espresse Luca, guardandosi sempre attorno.
«Sempre che esista» continuò Arci, anche lui con i sensi ben in all’erta.
«Deve esistere! Non abbiamo altre soluzioni!» affermò decisa Giulia, dopodiché continuarono il cammino.

Attraversarono la giungla e per fortuna incontrarono solo animusisauri erbivori, che non crearono troppi problemi.
I ragazzi poi si ritrovarono davanti a una radura e lì videro vari branchi di animusisauri, ma tutti procedevano calmi e non si curarono degli estranei.
Un verso terrificante, come la fusione di un ruggito e un barrito, attirò però l’attenzione di tutti, animali e ragazzi. Da un altro punto della giungla uscì un animusisauro gigantesco, quasi cinque metri di altezza e solo la testa doveva essere lunga almeno un metro e mezzo. Ciò che spaventò tutti furono soprattutto i denti aguzzi, di almeno trenta centimetri. Sulla schiena, fino alla fine della lunga coda, spiccavano delle piastre dermiche dorsali rosse. La coda poi terminava con quattro lunghi aculei.
«Rimaniamo nascosti qui!» disse prontamente Pietro, anche se nessuno aveva minimamente voglia di uscire allo scoperto con quell’animusisauro che stava cacciando gli altri. «Quello è uno stegorex. È l’incrocio tra uno tirannosauro e uno stegosauro. Ed è carnivoro e pericoloso», aggiunse alla fine, proprio mentre l’esemplare feroce aveva isolato uno degli erbivori, azzannandolo al collo.

Rimasero così nella foresta, al confine con la radura, sperando che tutti i predatori cacciassero dall’altra parte.
Le alte conifere impedivano alla luce del sole di illuminare fino a terra, per cui dovettero stare attenti, non solo agli animusisauri, ma anche ad altre insidie, come le sabbie mobili, piante carnivore grandi come loro stessi, che con i loro colori sfavillanti invitavano ad avvicinarsi e a toccarle, senza contare il loro profumo dolce e invitante.
I loro occhi però erano sempre attenti anche per i molti fiori incontrati, ma nessuno di loro sembrava fosse quello raffigurato nel libro.

Per ore i ragazzi si addentrarono in quel mondo, tanto magico, quanto pericoloso e fuori da ogni immaginazione. In più di un’occasione dovettero far uso dei loro flauti per tenere a bada alcuni animusisauri, per lo più erbivori troppo curiosi o solamente spaventati dalla loro presenza, i pochi carnivori che incontrarono erano di dimensioni e di ferocia molto minori a quella dello stegorex.
Videro molti animusisauri particolari, di varie specie di dinosauri, altri assomigliavano alle tigri dai denti a sciabola, altri ai grandi mammut, poi videro anche mandrie di uro, in più insetti grandi come gatti. La giungla poi finì, lasciando il posto a una scogliera, dove le onde del mare si infrangevano violente, schizzando gocce d’acqua sopra di loro, e furono così spettatori di un altro scontro tra colossi: quello che assomigliava a un megalodonte (lo squalo più grande che pare abbia nuotato negli oceani terrestri, e c’è chi dice esista ancora) che attaccò un animusisauro dal collo lunghissimo.
Sì, La Valle del Tempo Perduto non era certo una meta turistica.
Non avendo più la protezione degli alberi, i prodi giovani furono costretti ad affrontare le insidie della radura, sperando di non trovarsi faccia a faccia con lo stegorex o altri suoi simili.

«Perché io ho la sensazione di essere osservato?» domandò dopo un po’ Arci.
«Perché siamo osservati» precisò Giulia. Con il suo grande dono dell’Umanimusi, aveva percepito già da un po’ di essere pedinata, ma non riusciva a capire chi fosse e quali intenzioni avesse. Su una cosa non aveva dubbi: gli occhi che li osservavano non erano solo due.
Quella risposta però mise i ragazzi in allarme, inquietandoli come non mai.
A quel punto Pietro si fermò e si guardò attorno. Tutti lo fissarono incuriositi, mentre il ragazzo analizzava dettagli che solo lui riusciva a cogliere, un po’ per aver letto tutto ciò che si sapeva di quel luogo e dei vari animusisauri, soprattutto quelli carnivori, e un po’ anche perché, come Giulia, il dono dell’Umanimusi lo rendeva più attento a cogliere certe particolarità che gli altri non notavano.
Poi di colpo si girò e guardò verso l’erba alta attorno a quella sorta di sentiero che avevano preso. Giulia intuì subito che qualcosa non andava nel marito, infatti lo vide deglutire più volte. Poi si girò ancora e sembrò guardare l’orizzonte in cerca di qualcosa.
«Appena ve lo dico, correte e cercate degli alberi e arrampicatevi!» affermò Pietro, serio come non lo era mai stato.
Nessuno però riuscì a chiedergli spiegazione, perché diede subito il segnale. Tutti scattarono e tornarono a risalire quella collinetta che stavano scalando, questa volta a velocità sostenuta. Pietro dietro a tutti si voltò velocemente, e vide l’erba alta muoversi… poi sei o sette animusisauri sbucarono fuori e presero a rincorrerli.
«Non fermatevi! Correte più velocemente!» incitò Pietro.
«Cosa sono?!» urlò Luca preoccupato, appena riuscì a voltarsi e vide gli inseguitori.
«Non giratevi! Correte!» continuò Pietro allarmato.
Corsero più che poterono, ma gli animusisauri erano più veloci e presto li raggiunsero. Uno spiccò un balzo e atterrò Arci. Giulia prontamente usò il suo flauto e lo spinse via, così il ragazzo poté rimettersi in piedi e continuare a correre.
Presto però arrivarono al capolinea!
Gli animusisauri li spinsero verso il punto più alto della collina, fino a uno strapiombo che dava su un fiume… molto, ma molto in basso.
I ragazzi si fermarono sull’orlo, per poi girarsi verso gli inseguitori.
«Sono dei triceraptor. È forse la specie più pericolosa di animusisauri. Sono l’unione tra i triceratopi e gli utahraptor» spiegò Pietro, senza togliere gli occhi da addosso i sette esemplari che si stavano avvicinando lentamente e pericolosamente, dondolando la testa.
Tutti li stavano studiando bene, bipedi, alti poco più di due metri, minacciosi, con un grande artiglio a falce di almeno venti centimetri sul secondo dito del piede. La testa era caratterizzata da un collare osseo che si proiettava all'indietro e da due corna sopraorbitali, più un terzo corno, più piccolo, situato sopra le narici.
Quando si avvicinarono ulteriormente, Giulia suonò il flauto. La musica formò una barriera d’aria che li protesse. I triceraptor piombarono sulla barriera, cercando di scalfirla con il loro potente artiglio, con le corna e con i morsi. Fortunatamente non riuscirono a scalfirla, ma Giulia doveva continuare a suonare per mantenere la barriera attiva.
Dopo Giulia, prese a suonare Arci per tenere alzata la barriera, dando un po’ di tregua alla ragazza, e intanto pensavano anche a qualche soluzione per scappare da quella situazione estremamente critica.
«Sirio e Leo non possono fare nulla?» domandò poi Luca.
«Sono forti, ma non al punto di affrontare un gruppo di triceraptor» rispose Pietro, dopo aver valutato bene la possibilità di un combattimento.
«Neanche se intanto noi usiamo la Musicomagia?» continuò Luca.
«Potrei usare anche la mia scossa» aggiunse Giulia.
«Non penso proprio» espresse Pietro, abbassando gli occhi. «I triceraptor sono delle vere macchine d’assalto».

I ragazzi si dettero il cambio a suonare la melodia per tenere la barriera alzata, e non avendo altre idee su come sfuggire da quella situazione decisero di aspettare che i triceraptor si stancassero… ma non fu così, gli animusisauri non desistettero, anzi richiamarono altri esemplari con i loro versi acuti, che cercarono in ogni modo di agguantare i ragazzi… fortunatamente la barriera era solida, ma non sarebbe resistita per sempre, tutti erano molto stanchi di suonare e i triceraptor sempre più cocciuti!
I primi cenni di stanchezza si fecero sentire, la barriera risultava meno spessa e più malleabile.
«Dobbiamo fare qualcosa, subito!» affermò Giulia, guardandosi attorno, ma non le era venuto in mente nulla.
Mentre Arci continuava a suonare, Giulia e Pietro assunsero l’aspetto di Sirio e Leo, pronti a combattere, anche Luca impugnò bene il flauto per prepararsi all’imminente battaglia.
Arci arrivò al limite e smise di suonare e la barriera si dissolse piano piano, così i triceraptor avanzarono lentamente, consapevoli che le loro prede erano totalmente inermi.
Prima che però facessero il loro balzo finale, una sorta di nuvola grigio verde si frappose tra loro. I ragazzi, soprattutto Giulia e Pietro, sgranarono gli occhi quando misero bene a fuoco l’immagine.
Dalla nuvola sbucarono Rudy, sotto forma di Umanimusi, e Piccolo.
Il bambino, incurante del pericolo e delle grida dei genitori, si voltò verso i triceraptor e fece vari versi animaleschi. Gli animusisauri rimasero a osservarlo fissi e fermi, come fossero ipnotizzati. Intanto Giulia e Pietro, tornati al loro aspetto, avrebbero voluto correre dal figlio e abbracciarlo, salvandolo dal pericolo, ma qualcosa dentro di loro diceva di rimanere lì, fermi ad aspettare… cosa? Non sapevano dirlo neanche loro.
Tutti poi spalancarono completamente occhi e bocca quando i triceraptor, dopo vari versi verso Rudy – come se stessero parlando – fecero dietrofront e tornarono da dove erano sbucati fuori.
Nessuno aveva idea di cosa fosse successo, era incredibile e sconcertante. Fu come se Rudy gli avesse ordinato di andarsene.
Il bambino poi, mentre riprendeva il suo aspetto umano, si voltò verso i ragazzi e sorrise, con l’ingenuità tipica dei bambini, per poi correre dai genitori, che lo abbracciarono fortissimo, quasi volessero stritolarlo affettuosamente.

Rimandare Rudy ad Armonia era inutile ormai, avrebbero dovuto mandare un messaggio a qualcuno per aprire un portale, così magari disturbandolo dai doveri verso i malati. Poi se avesse voluto, era chiaro che li avrebbe raggiunti nuovamente, perciò Giulia e Pietro permisero al figlio e al suo fido animusi Piccolo di restare con loro. Solo un piccolo messaggio venne spedito a Camilla per dirle dove fosse finito il bambino.
Ripresero perciò il cammino verso la loro meta ignota, alla continua ricerca di quel fiore prodigioso e per niente certi della sua esistenza.
I triceraptor non si fecero più vedere per fortuna, ma altri animusisauri fecero la loro comparsa, ma fortunatamente per la maggior parte erano erbivori a cui si sfuggiva facilmente, per gli altri carnivori bastarono pochi attacchi con la Musicomagia, nessuno fu insistente e agguerrito come i triceraptor. Incontrarono anche varie volte lo stegorex, ma bastava nascondersi in piccoli posti chiusi, dove la sua mole imponente non poteva passare, e non aveva la pazienza sufficiente di aspettare che la sua preda sbucasse fuori.
Il gruppo di esploratori attraversò la pianura, i boschi, si inerpicò su delle ripide montagne. Passarono da climi totalmente differenti, un momento faceva un caldo equatoriale e un momento dopo un freddo siberiano. Anche il territorio cambiava in modo repentino, dal deserto sabbioso alle valli rigogliose, dall’erba alta e con fiori colorati alla neve candida e soffice. La Valle del Tempo Perduto era davvero un posto irrazionale e mutevole… ma in un posto così non era poi tanto assurda l’idea dell’esistenza del Fiore Arcobaleno.
Il mutare improvviso del tempo e del paesaggio però disorientò non poco i ragazzi, tanto da non sapere più da quanto stavano vagando lì, non sapevano se erano passate solo ore o addirittura giorni. Lì il tempo era incalcolabile… davvero perduto
Fortunatamente, anche quando finirono le provviste, seppero arrangiarsi, trovando frutta, bacche e radici commestibili, però sapevano che dovevano sbrigarsi a concludere la missione. Armonia era seriamente in pericolo!

Una notte tutto cambiò!
Si erano sistemati su degli alberi, come le altre volte, per ripararsi dal possibile attacco di qualche carnivoro, quando Giulia si accorse che Rudy era sparito.
La ragazza svegliò tutti e videro che pure Piccolo non c’era più. Scesero dagli alberi e cominciarono a cercarli, chiamandoli, anche se non potevano urlare i nomi per non rischiare di attirare l’attenzione di qualche predatore.
Vagarono per il bosco, fino a quando non furono attratti da una strana luminosità argentea.
Giulia e Pietro seguirono il loro istinto e andarono in quella direzione. Presto si ritrovarono in un grande prato punteggiato da lucine argentate, ma quelle passarono in secondo piano, dato che i ragazzi videro Rudy e Piccolo giocare allegri in mezzo al prato.
Tutti trassero un sospiro di sollievo, poi Giulia si avvicinò al figlio per sgridarlo, per dirgli che non doveva allontanarsi così, senza dire nulla a nessuno… ma non riuscì a pronunciare una sola parola. Rudy le corse incontro e le diede qualcosa in mano.
«Guarda che belli mamma» disse il bambino.
Giulia rimase a fissare a bocca aperta quei fiori, molto simili a delle margherite, ma con i petali dei sette colori dell’arcobaleno. Il gambo e le foglie invece bianchi e luminosi, erano quelli che provocavano tanta luce.
La ragazza poi si volse verso gli altri e vide che anche loro si erano messi a osservare incuriositi quei fiori.
Pietro poi le si avvicinò. «Sembrano proprio quelli del disegno del libro».
Giulia lo abbracciò. «È il Fiore Arcobaleno» gridò felice.
I ragazzi raccolsero un bel po’ di fiori, compresi molti con le radici – come aveva raccomandato il signor Giorgio per cercare di trapiantarli ad Armonia –, sperando che bastassero, e soprattutto che fosse davvero il famigerato fiore prodigioso e che guarisse tutti dal morbo.
Dopodiché tornarono a dormire.
L’indomani ripresero il cammino di casa, cercando di fare il più svelto possibile e cercando di non perdersi. Sulla via del ritorno non ebbero grandi problemi, seppero tenere a bada tutti i possibili aggressori, così riuscirono a ritrovare l’entrata e, suonando ancora la melodia, aprirono la porta e uscirono dalla valle.
Furia e gli altri aquilupo erano rimasti lì fuori ad aspettarli, e subito furono felici di rivederli. Aspettarono che montassero in groppa e poi partirono per la volta di Armonia.

Una volta tornati a scuola, vennero a sapere che la situazione non era migliorata, anzi i sintomi peggiorarono.
I fiori furono portati dal signor Giorgio, che subito si rinchiuse nel suo laboratorio per esaminarli e ricavarci qualche antidoto per il morbo.
Un giorno intero ci volle prima che l’uomo uscisse. In mano aveva un brocca di vetro con all’interno una sorta di infuso di vari colori che cominciò a somministrare un po’ a tutti gli ammalati, umani e animusi. Per giorni lo fece bere a tutti, cambiando le dosi e le composizioni, dato che non dava particolari segni di miglioramento… ma poi qualcosa iniziò a funzionare.
L’infuso, con l’aiuto della Musicomagia, fece effetto e lentamente i sintomi del morbo sparirono uno dopo l’altro. Tutti si ripresero, con fatica e con molto tempo e terapie, ma alla fine il morbo fu debellato.
Armonia fu salvata!
Tante furono le domande irrisolte sul morbo, su La Valle del Tempo Perduto, sugli animusisauri, sul Fiore Arcobaleno… ma ciò che continuava a domandarsi Giulia riguardava gli straordinari poteri della mente di Rudy, così potente da plagiare la mente aggressiva degli triceraptor.
Solo in futuro, quando sarebbe diventato grande, si sarebbe svelato forse il suo mistero.

Ringrazio Ilaria per aver partecipato, come l’anno scorso, a questa nuova edizione della mia raccolta. Ilaria Vecchietti è un’autrice esordiente e una bravissima blogger, qui trovate il link al suo blog dove potete trovare notizie su di lei e sulle sue attività:

Claudia

6 commenti:

  1. Grazie per aver pubblicato anche il mio racconto, ne sono felicissima.
    Spero che piaccia a tutti i tuoi lettori!

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  2. SPETTACOLARE NON è CHE NE SCRIVERESTI ANCORA QUALCUNO GIUSTO COME CHICCA

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    1. Oh, ma grazie per i complimenti, non sai quanto mi faccia felice :)

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  3. Visto, Ilaria? Che ti dicevo? Grazie Barbara per aver commentato 😘

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