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domenica 30 luglio 2017

La Melodia Vincolante - Libro Primo - Capitolo 1

CAPITOLO 1


Scintille a prima vista

«Gemma sei bellissima!» Dalia le saltellava attorno come un cagnolino «Lo sapevo! La divisa della scuola ti sta d’incanto!»
Era così agitata ed entusiasta che Gemma cercò di non deluderla. La camicetta bianca e la gonna grigia non erano poi un granché, ma... sì, certo, le calzavano a pennello, forse un po’ troppo. La camicia le cadeva sui fianchi mettendo in bella mostra le sue forme aggraziate e... lei si sentiva in grande imbarazzo.
Gemma sapeva di essere bella; tutti glielo ripetevano in continuazione. Era alta, snella ma con forme armoniose, aveva lunghi capelli biondo scuro e gli occhi, i suoi grandi e luminosi occhi verdi; quelli le erano stati decantati da quando era piccola.
Dalia l’aveva convinta a lasciare sciolti i capelli, che le arrivavano a metà schiena. Lei li teneva sempre raccolti in una treccia stretta e severa anche se, da quando aveva compiuto dodici anni, talvolta si concedeva uno chignon che la faceva sembrare più grande. I capelli sciolti erano disordinati, così le avevano insegnato. Dalia glieli aveva fermati appena ai lati con due forcine.
Gemma sorrise forzatamente alla cara amica, ma, non appena Dalia si voltò, emise un silenzioso sospiro di frustrazione.
Odiava essere bella. Certo, poteva sembrare assurdo; chi mai non avrebbe voluto essere bella e ammirata da tutti?
Beh, proprio lei: Gemma Silvestri.
Sua madre, fin da quando lei potesse ricordare, le aveva sempre ripetuto: “Essere belle è una maledizione” e “La bellezza è la virtù del demonio.” In casa sua non c’erano specchi, se non uno molto piccolo in bagno, che serviva solo per controllarsi dopo aver lavato i denti.
Invece lì ad Armonia, nella sua nuova cameretta, ce n’era uno bello grande in cui si poteva vedere interamente la propria immagine riflessa.
Gemma si voltò di scatto, non voleva guardarsi più; non doveva guardarsi più.
«Devi smetterla di pensare a tua madre» la rimproverò dolcemente l’amica. Lei sapeva.
Dalia Orchestri era la sua migliore amica. Abitavano nella stessa via, si conoscevano da sempre, ma non sarebbero potute esistere due persone più diverse fra loro. Gemma era molto seria e assennata, Dalia una pazzerella; una che non sapeva mai tenere la bocca chiusa e che aveva poca considerazione per le regole. Anche fisicamente erano molto differenti, perché Dalia era bassina e molto magra, aveva gli occhi azzurri e il volto pieno di lentiggini, il tutto sovrastato da una folta capigliatura rosso acceso. Le loro compagne delle medie, per prenderla in giro la chiamavano “il fiammifero” anche perché prendeva “fuoco” per un nonnulla.
Gemma, però, l’adorava. Era riuscita a non andare fuori di testa, per tutte le imposizioni disciplinari e morali che le inculcava sua madre, solo per merito dell’amica. Senza contare, poi, che solo grazie all’intercessione del signor Orchestri era riuscita a convincere i suoi genitori a iscriverla ad Armonia, la scuola di Musicomagia frequentata da suo padre.
Da quando era piccola, lui le raccontava di quel luogo magico; lei aveva sempre sognato di andarvi e, finalmente, adesso era proprio là.
Lontana dal controllo soffocante di sua madre.

«Ge, guarda!» Dalia la richiamò alla finestra.
L’attenzione di Gemma fu subito catturata dal grande Lago Sussurrante, che si estendeva immenso e suggestivo tra le colline boscose.
«Da qui si vede il terrazzo dei ragazzi!» continuò Dalia. Si voltò verso Gemma stringendole le mani entusiasta. Gemma le sorrise condiscendente: a lei non interessavano i ragazzi. Non che ne avesse frequentati poi molti. Tranne un paio di cugini e Umberto, il vicino di casa. A scuola ovviamente erano tutte ragazze.
«Ti rendi conto?» continuò Dalia. «Da qui possiamo vederli!»
A Gemma non pareva una bella cosa. «Quindi anche loro possono vederci?» dedusse preoccupata.
Dalia scosse la tesata. «Solo se usciamo» le spiegò «tra i nostri alloggi e i loro ci sono quelli degli insegnanti.»
Per fortuna, pensò Gemma.
Ai pasti avrebbero condiviso la Sala Comune, ma ci sarebbero stati un confine invisibile e lo sguardo implacabile degli insegnanti, a separare le due ali della mensa; le raccontò ancora Dalia mentre continuava a guardare fuori. «Mia madre mi ha detto che l’unico luogo di incontro è il prato grande.»
Gemma aveva notato la vasta distesa erbosa che si estendeva davanti alla Sala Comune verso le stalle e il magnifico roseto, non vedeva l’ora di fare una bella passeggiata.
«E poi c’è il campo sportivo.» Sorrise raggiante Dalia. «Potremo andare a vedere gli allenamenti di Tornado!»
Il padre di Gemma faceva parte della squadra e lei sapeva tutto di quello strano sport.
«Credo che sia un po’ troppo violento.»
«Ma no» la contraddisse Dalia. «Tu immagina aitanti giovanotti che sfrecciano sui pattini» sospirò «in tenuta da allenamento...»
«Mentre con il flauto guidano una sfera incantata, sì lo so come funziona» disse Gemma esasperata. «Solo non capisco cosa ci sia di bello da vedere.»
«I ragazzi, Gemma» rispose saccente Dalia «I ragazzi.»
Gemma sorrise divertita e si arrese. Non sarebbe riuscita a smorzare in nessun modo l’entusiasmo della sua cara amica.
Mentre Dalia si sporgeva, con il rischio di finire fuori a gambe all’aria e di fare una delle sue figuracce, Gemma si era inginocchiata accanto al suo nuovo letto. Appoggiata sulla morbida coperta patchwork, c’era la borsa porta uovo con dentro il suo inestimabile tesoro. Il suo nuovo, futuro animusi.
Gemma sorrise e accarezzò la superficie calda e liscia dell’uovo.
«Spero tanto che sia una gattufo femmina» disse piano, quasi tra sé. Sua madre le aveva insegnato che non bisognava mai esprimere desideri. “Sono sciocche superstizioni” diceva “Devi solo pregare e soltanto per le cose veramente importanti!”
Ma adesso lei non c’era e Gemma aveva l’impressione che il pesante macigno sul cuore, con cui aveva imparato a convivere da quando era piccola, si stesse lentamente sollevando.
Avrebbe potuto assaporare la libertà di essere veramente se stessa?

Poco più tardi, Gemma e Dalia stavano passeggiando nel prato grande costeggiando il roseto. Suo padre, il signor Silvestri, le aveva trasmesso una grande passione per i fiori. A casa loro, aveva convinto la madre di Gemma a dedicare una piccola parte del pratico e prezioso orto alla coltivazione dei fiori.
Non si mangiano i fiori” diceva la donna, concreta e austera.
Il signor Silvestri rispondeva dolcemente guardando la sua adorata figliola: “Anche l’anima ha bisogno di nutrimento, tesoro.” Gemma sorrise, suo padre era meraviglioso.
C’erano molti altri studenti attorno a loro, tutti in camicia bianca, tutti del primo anno. Quelli più anziani avrebbero cominciato ad arrivare il giorno successivo.
Quando Gemma vide giungere da lontano due giovanotti con la camicia verde chiaro del terzo anno, si agitò non poco.
Subito si voltò verso le rose per assaporarne l’aroma e cercò di attirare l’attenzione di Dalia, prima che l’amica facesse qualche assurdità.
«Senti che profumo» le fece notare.
«Due boccioli tra le rose» l’accarezzò una suadente voce maschile e Gemma sentì il cuore accelerare.
«Ciao, io sono Dalia e lei è la mia amica Gemma, siamo del primo anno.»
Nel tempo che Gemma impiegò per voltarsi, l’amica aveva già rotto il ghiaccio e fatto le presentazioni.
«Certo, due camicie immacolate, due anime innocenti. Primo anno, come non riconoscervi.»
La sua attenzione fu subito catturata dal giovane che stava parlando e, dal tono caldo e dolce, lei capì chiaramente che era lo stesso che aveva parlato poco prima.
Aveva i capelli neri pettinati con la riga da una parte. Gli occhi scuri, e incredibilmente profondi, la tennero incatenata al suo sguardo, mentre le labbra grandi e morbide si esibivano in un adorabile sorriso storto.
Gemma fu sicura di arrossire, non era abituata a parlare con i ragazzi. Specie con uno più grande, uno che la fissava in quel modo sfacciato.
Senza che lei se ne rendesse conto, il bel moro le afferrò la mano e le posò un bacio galante. «Vincenzo Leoni, per servirvi» si inchinò, in un’ossequiosa riverenza.
Tutto senza staccare lo sguardo dal suo.
Gemma si sentiva in fiamme. Deglutì a fatica e accennò un sorriso.
Il giovane Vincenzo Leoni non le aveva ancora lasciato la mano e sembrava sul punto di aggiungere qualcosa, quando qualcuno al suo fianco si schiarì la voce.
Gemma tornò in possesso della propria mano e la posò sul cuore impazzito, cercando di calmarne i battiti. Nessuno le aveva mai fatto un baciamano.
Vincenzo si allontanò appena e insinuò un braccio dietro alla persona lì accanto. Solo in quel momento Gemma lo guardò.
Era un giovane alto e robusto, i suoi capelli castani erano lunghi e spettinati, come quelli di un brigante o un pirata, non di certo un gentiluomo. Guardava l’amico con una certa dose d’insofferenza, il viso serio, le sopracciglia appena aggrottate.
«E questo» stava dicendo intanto Leoni «è il mio scorbutico amico, Rodolfo Accordi.»
Accordi? Gemma era sicura di aver già sentito quel cognome, forse gliene aveva parlato suo padre.
«Lui non vi farà il baciamano, lui non è al vostro servizio, lui è il nostro eroe e non ha tempo per essere gentile; quindi, per qualsiasi richiesta, rivolgetevi a me.»
«Smettila di fare il buffone» la voce di Rodolfo era forte e decisa, molto meno dolce e carezzevole «e lascia decidere a me cosa farò e cosa non farò.»
In quel momento alzò lo sguardo su di lei. Gemma sussultò, vide i suoi penetranti occhi azzurri guizzare, come se avessero preso fuoco; ebbe paura di quel giovane, anche se ne fu contemporaneamente incuriosita.
Cosa intendeva Leoni dicendo “il nostro eroe”?
Gemma era rimasta lì imbambolata, con gli occhi, e probabilmente anche la bocca, spalancati. Non riusciva a parlare.
«Ora dobbiamo andare» disse secco Rodolfo Accordi «con permesso.» Detto ciò si allontanò tirandosi dietro l’amico, che le stava ancora rivolgendo uno splendido sorriso storto.
Appena furono poco lontani, Gemma sospirò e si rese conto che doveva aver trattenuto il respiro per quasi tutto il tempo. Fu travolta da un abbraccio di Dalia, che emise un gridolino di gioia.
«Abbiamo appena conosciuto due ragazzi del terzo anno!!» Quasi la strozzò, poi allentò la stretta e riprese a saltellare tenendole le mani. «Hai visto com’erano affascinanti?» Si voltò ancora verso i due giovani, che stavano entrando nella struttura delle stalle.
«Questa avventura comincia proprio bene, non trovi?»
Gemma non rispose, era rimasta molto turbata da quell’incontro, sia dall’impetuosa invadenza di Vincenzo Leoni, che dalla scontrosa indifferenza di Rodolfo Accordi.
Scosse la testa e si sedette a terra sul prato, si sentiva le gambe molli.
...
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Pronti per ritornare ad Armonia? 
Claudia ; )

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