CAPITOLO 1
Scintille a prima vista
«Gemma
sei bellissima!»
Dalia le saltellava attorno come un cagnolino «Lo sapevo! La divisa
della scuola ti sta d’incanto!»
Era così agitata ed entusiasta
che Gemma cercò di non deluderla. La camicetta bianca e la gonna
grigia non erano poi un granché, ma... sì, certo, le calzavano a
pennello, forse un po’ troppo. La camicia le cadeva sui fianchi
mettendo in bella mostra le sue forme aggraziate e... lei si sentiva
in grande imbarazzo.
Gemma sapeva di essere bella;
tutti glielo ripetevano in continuazione. Era alta, snella ma con
forme armoniose, aveva lunghi capelli biondo scuro e gli occhi, i
suoi grandi e luminosi occhi verdi; quelli le erano stati decantati
da quando era piccola.
Dalia l’aveva convinta a
lasciare sciolti i capelli, che le arrivavano a metà schiena. Lei li
teneva sempre raccolti in una treccia stretta e severa anche se, da
quando aveva compiuto dodici anni, talvolta si concedeva uno chignon
che la faceva sembrare più grande. I capelli sciolti erano
disordinati, così le avevano insegnato. Dalia glieli aveva fermati
appena ai lati con due forcine.
Gemma sorrise forzatamente alla
cara amica, ma, non appena Dalia si voltò, emise un silenzioso
sospiro di frustrazione.
Odiava essere bella. Certo,
poteva sembrare assurdo; chi mai non avrebbe voluto essere bella e
ammirata da tutti?
Beh, proprio lei: Gemma
Silvestri.
Sua madre, fin da quando lei
potesse ricordare, le aveva sempre ripetuto: “Essere belle è una
maledizione” e “La bellezza è la virtù del demonio.” In casa
sua non c’erano specchi, se non uno molto piccolo in bagno, che
serviva solo per controllarsi dopo aver lavato i denti.
Invece lì ad Armonia, nella sua
nuova cameretta, ce n’era uno bello grande in cui si poteva vedere
interamente la propria immagine riflessa.
Gemma si voltò di scatto, non
voleva guardarsi più; non doveva
guardarsi più.
«Devi smetterla di pensare a tua
madre» la rimproverò dolcemente l’amica. Lei sapeva.
Dalia Orchestri era la sua
migliore amica. Abitavano nella stessa via, si conoscevano da sempre,
ma non sarebbero potute esistere due persone più diverse fra loro.
Gemma era molto seria e assennata, Dalia una pazzerella; una che non
sapeva mai tenere la bocca chiusa e che aveva poca considerazione per
le regole. Anche fisicamente erano molto differenti, perché Dalia
era bassina e molto magra, aveva gli occhi azzurri e il volto pieno
di lentiggini, il tutto sovrastato da una folta capigliatura rosso
acceso. Le loro compagne delle medie, per prenderla in giro la
chiamavano “il fiammifero” anche perché prendeva “fuoco” per
un nonnulla.
Gemma, però, l’adorava. Era
riuscita a non andare fuori di testa, per tutte le imposizioni
disciplinari e morali che le inculcava sua madre, solo per merito
dell’amica. Senza contare, poi, che solo grazie all’intercessione
del signor Orchestri era riuscita a convincere i suoi genitori a
iscriverla ad Armonia, la scuola di Musicomagia
frequentata da suo padre.
Da quando era piccola, lui le
raccontava di quel luogo magico; lei aveva sempre sognato di andarvi
e, finalmente, adesso era proprio là.
Lontana dal controllo soffocante
di sua madre.
«Ge, guarda!» Dalia la
richiamò alla finestra.
L’attenzione di Gemma fu subito
catturata dal grande Lago Sussurrante, che si estendeva immenso e
suggestivo tra le colline boscose.
«Da qui si vede il terrazzo dei
ragazzi!» continuò Dalia. Si voltò verso Gemma stringendole le
mani entusiasta. Gemma le sorrise condiscendente: a lei non
interessavano i ragazzi. Non che ne avesse frequentati poi molti.
Tranne un paio di cugini e Umberto, il vicino di casa. A scuola
ovviamente erano tutte ragazze.
«Ti rendi conto?» continuò
Dalia. «Da qui possiamo vederli!»
A Gemma non pareva una bella
cosa. «Quindi
anche loro possono vederci?» dedusse preoccupata.
Dalia
scosse la tesata. «Solo se usciamo» le spiegò «tra i nostri
alloggi e i loro ci sono quelli degli insegnanti.»
Per
fortuna, pensò Gemma.
Ai
pasti avrebbero condiviso la Sala Comune, ma ci sarebbero stati un
confine invisibile e lo sguardo implacabile degli insegnanti, a
separare le due ali della mensa; le raccontò ancora
Dalia mentre continuava a guardare fuori. «Mia madre mi ha detto che
l’unico
luogo di incontro è il prato grande.»
Gemma aveva notato la vasta
distesa erbosa che si estendeva davanti alla Sala Comune verso le
stalle e il magnifico roseto, non vedeva l’ora di fare una bella
passeggiata.
«E
poi c’è il campo sportivo.» Sorrise raggiante Dalia. «Potremo
andare a vedere gli allenamenti di Tornado!»
Il
padre di Gemma faceva parte della squadra e lei sapeva tutto di
quello strano sport.
«Credo
che sia un po’ troppo violento.»
«Ma
no» la contraddisse Dalia. «Tu immagina aitanti giovanotti che
sfrecciano sui pattini» sospirò «in tenuta da allenamento...»
«Mentre
con il flauto guidano una sfera incantata, sì lo so come funziona»
disse Gemma esasperata. «Solo non capisco cosa ci sia di bello da
vedere.»
«I
ragazzi, Gemma» rispose saccente Dalia «I ragazzi.»
Gemma
sorrise divertita e si arrese. Non sarebbe riuscita a smorzare in
nessun modo l’entusiasmo della sua cara amica.
Mentre Dalia si sporgeva, con il
rischio di finire fuori a gambe all’aria e di fare una delle sue
figuracce, Gemma si era inginocchiata accanto al suo nuovo letto.
Appoggiata sulla morbida coperta patchwork, c’era la borsa porta
uovo con dentro il suo inestimabile tesoro. Il suo nuovo, futuro
animusi.
Gemma sorrise e accarezzò la
superficie calda e liscia dell’uovo.
«Spero tanto che sia una gattufo
femmina» disse piano, quasi tra sé. Sua madre le aveva insegnato
che non bisognava mai esprimere desideri. “Sono sciocche
superstizioni” diceva “Devi solo pregare e soltanto per le cose
veramente importanti!”
Ma adesso lei non c’era e Gemma
aveva l’impressione che il pesante macigno sul cuore, con cui aveva
imparato a convivere da quando era piccola, si stesse lentamente
sollevando.
Avrebbe potuto assaporare la
libertà di essere veramente se stessa?
Poco più tardi, Gemma e Dalia
stavano passeggiando nel prato grande costeggiando il roseto. Suo
padre, il signor Silvestri, le aveva trasmesso una grande passione
per i fiori. A casa loro, aveva convinto la madre di Gemma a dedicare
una piccola parte del pratico e prezioso orto alla coltivazione dei
fiori.
“Non si mangiano i fiori”
diceva la donna, concreta e austera.
Il signor Silvestri rispondeva
dolcemente guardando la sua adorata figliola: “Anche l’anima ha
bisogno di nutrimento, tesoro.” Gemma sorrise, suo padre era
meraviglioso.
C’erano molti altri studenti
attorno a loro, tutti in camicia bianca, tutti del primo anno. Quelli
più anziani avrebbero cominciato ad arrivare il giorno successivo.
Quando Gemma vide giungere da
lontano due giovanotti con la camicia verde chiaro del terzo anno, si
agitò non poco.
Subito si voltò verso le rose
per assaporarne l’aroma e cercò di attirare l’attenzione di
Dalia, prima che l’amica facesse qualche assurdità.
«Senti che profumo» le fece
notare.
«Due boccioli tra le rose»
l’accarezzò una suadente voce maschile e Gemma sentì il cuore
accelerare.
«Ciao, io sono Dalia e lei è la
mia amica Gemma, siamo del primo anno.»
Nel tempo che Gemma impiegò per
voltarsi, l’amica aveva già rotto il ghiaccio e fatto le
presentazioni.
«Certo, due camicie immacolate,
due anime innocenti. Primo anno, come non riconoscervi.»
La sua attenzione fu subito
catturata dal giovane che stava parlando e, dal tono caldo e dolce,
lei capì chiaramente che era lo stesso che aveva parlato poco prima.
Aveva i capelli neri pettinati
con la riga da una parte. Gli occhi scuri, e incredibilmente
profondi, la tennero incatenata al suo sguardo, mentre le labbra
grandi e morbide si esibivano in un adorabile sorriso storto.
Gemma fu sicura di arrossire, non
era abituata a parlare con i ragazzi. Specie con uno più grande, uno
che la fissava in quel modo sfacciato.
Senza che lei se ne rendesse
conto, il bel moro le afferrò la mano e le posò un bacio galante.
«Vincenzo Leoni, per servirvi» si inchinò, in un’ossequiosa
riverenza.
Tutto senza staccare lo sguardo
dal suo.
Gemma si sentiva in fiamme.
Deglutì a fatica e accennò un sorriso.
Il giovane Vincenzo Leoni non le
aveva ancora lasciato la mano e sembrava sul punto di aggiungere
qualcosa, quando qualcuno al suo fianco si schiarì la voce.
Gemma tornò in possesso della
propria mano e la posò sul cuore impazzito, cercando di calmarne i
battiti. Nessuno le aveva mai fatto un baciamano.
Vincenzo si allontanò appena e
insinuò un braccio dietro alla persona lì accanto. Solo in quel
momento Gemma lo guardò.
Era un giovane alto e robusto, i
suoi capelli castani erano lunghi e spettinati, come quelli di un
brigante o un pirata, non di certo un gentiluomo. Guardava l’amico
con una certa dose d’insofferenza, il viso serio, le sopracciglia
appena aggrottate.
«E questo» stava dicendo
intanto Leoni «è il mio scorbutico amico, Rodolfo Accordi.»
Accordi? Gemma era sicura di aver
già sentito quel cognome, forse gliene aveva parlato suo padre.
«Lui non vi farà il baciamano,
lui non è al vostro servizio, lui è il nostro eroe e non ha tempo
per essere gentile; quindi, per qualsiasi richiesta, rivolgetevi a
me.»
«Smettila di fare il buffone»
la voce di Rodolfo era forte e decisa, molto meno dolce e carezzevole
«e lascia decidere a me cosa farò e cosa non farò.»
In quel momento alzò lo sguardo
su di lei. Gemma sussultò, vide i suoi penetranti occhi azzurri
guizzare, come se avessero preso fuoco; ebbe paura di quel giovane,
anche se ne fu contemporaneamente incuriosita.
Cosa intendeva Leoni dicendo “il
nostro eroe”?
Gemma era rimasta lì
imbambolata, con gli occhi, e probabilmente anche la bocca,
spalancati. Non riusciva a parlare.
«Ora dobbiamo andare» disse
secco Rodolfo Accordi «con permesso.» Detto ciò si allontanò
tirandosi dietro l’amico, che le stava ancora rivolgendo uno
splendido sorriso storto.
Appena furono poco lontani, Gemma
sospirò e si rese conto che doveva aver trattenuto il respiro per
quasi tutto il tempo. Fu travolta da un abbraccio di Dalia, che emise
un gridolino di gioia.
«Abbiamo appena conosciuto due
ragazzi del terzo anno!!» Quasi la strozzò, poi allentò la stretta
e riprese a saltellare tenendole le mani. «Hai visto com’erano
affascinanti?» Si voltò ancora verso i due giovani, che stavano
entrando nella struttura delle stalle.
«Questa avventura comincia
proprio bene, non trovi?»
Gemma non rispose, era rimasta
molto turbata da quell’incontro, sia dall’impetuosa invadenza di
Vincenzo Leoni, che dalla scontrosa indifferenza di Rodolfo Accordi.
Scosse la testa e si sedette a
terra sul prato, si sentiva le gambe molli.
...
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Pronti per ritornare ad Armonia?
Claudia ; )
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