Capitolo 3
L’alluvione
«Ragazzi,
ascoltate molto attentamente, hanno diramato l’allerta meteo dalle
ore dodici» il mio capo Francesco aveva un’espressione molto tesa
e preoccupata «mancano ancora tre ore. Andate immediatamente tutti a
casa prima che si scateni il finimondo» ci liquidò.
Alzai le spalle, che
esagerato.
«Tu non sei di Genova, vero
Bambolina?» Matteo mi guardò serio, mi mise le mani sulle spalle.
Lo faceva spesso, cercava di continuo una scusa per toccarmi e a me
non piaceva essere toccata in generale, ma essere toccata da lui, più
che darmi fastidio, mi metteva in grande imbarazzo.
Io lo fissai confusa facendo
cenno di no con la testa.
«Non prendere questa cosa
alla leggera. L’anno scorso io mi ci sono trovato in mezzo...»
strinse la mascella e i suoi occhi azzurri si abbassarono come persi
in un ricordo, decisamente poco piacevole «Non è consigliabile
trovarsi là fuori quando esonda il Bisagno.»
Okay, non ero di Genova, ma
anche io avevo sentito parlare delle sue terribili alluvioni.
...
Quando fui salita a bordo,
ebbi l’impressione che l’intensità della pioggia fosse aumentata
ancora.
Mi mossi seguendo la strada a
direzione obbligatoria, misi al massimo il tergicristallo e l’aria
condizionata contro il vetro, non si vedeva nulla.
Non solo, ma il rumore della
pioggia era talmente intenso da impedirmi di scambiare due parole con
Isabella se non urlando.
«L’hai visto oggi?» chiesi
a voce molto alta.
Lei non rispose. Mi voltai
appena e vidi che aveva uno sguardo molto triste.
Strano che il suo Raul non si
fosse fatto vedere, il giorno prima le aveva chiesto se poteva
offrirle un caffè!
Dovetti concentrare tutta la
mia attenzione alla guida, la strada che dovevamo imboccare era
chiusa per allagamento. Un segnalatore di emergenza lampeggiava e un
vigile incappucciato ci indicò di prendere un’altra strada.
Io non ero poi così abituata
a girare per Genova in auto, c’erano un sacco di sensi unici e in
bici ogni tanto scendevo e facevo un pezzo di strada sul marciapiede
spingendo, ma con la macchina era tutto più complicato.
Mi trovai in una parte della
città che non riconoscevo, anche perché con quella pioggia così
fitta, non si vedeva un accidente.
«Prova ad accendere il
navigatore del cellulare!» urlai a Isabella «Non so dove siamo!»
Lei trafficò nella borsa «Non
c’è segnale!»
Cavolo! Certo con
quell’acquazzone.
La strada cominciava a
sembrare un fiume, il livello dell’acqua era salito e adesso aveva
il colore del fango.
Ricordai le immagini che avevo
visto in televisione l’anno precedente e mi tornò in mente
l’espressione preoccupata di Matteo. Cominciavo ad avere paura.
Seguendo le macchine davanti a
me e senza aver la più pallida idea di dove fossimo, continuai ad
avanzare mentre il rombo della pioggia torrenziale pareva penetrarmi
nelle ossa.
Poi vidi uno slargo «Sarà
meglio che ci fermiamo!» accostai, ma subito mi accorsi che qualcosa
non andava.
Non avevo più il controllo
dell’auto! L’acqua ci stava trascinando via.
Cavolo! Eravamo finite vicino
al corso di un fiume, probabilmente il Bisagno, quello era proprio un
bel guaio!
Con la coda dell’occhio
lanciai un’occhiata in quella direzione e quello che vidi mi lasciò
terrorizzata.
Era un’onda gigantesca di
fango, un tumulto di acqua e rami.
Poi vidi un auto navigare nel
fiume...
«Dobbiamo scendere!» mi
slacciai la cintura e mi voltai verso Isabella.
Aveva gli occhi fissi sul
fiume e non si muoveva, era più pallida del solito: era nel panico.
«Isabella!» urlai con tutta
la voce che avevo in corpo e cercai di strattonarla, la portiera non
si apriva, la macchina continuava a muoversi inesorabile verso il
fiume.
La forza della disperazione si
impossessò di me e, non saprò mai come, riuscii a sollevare
Isabella tra le braccia, provai a tirare un calcio al finestrino, ma
non accadde nulla.
Poi un tonfo assordante e il
tetto della macchina si abbassò verso di noi, qualcosa si era
abbattuto sull’auto! Cercai di proteggerla tenendola stretta a me.
Sentii un forte dolore alla testa, poi qualcosa picchiò contro la
mia gamba provocandomi un dolore talmente forte da togliermi il
fiato.
Era la fine.
La macchina vorticò ancora su
se stessa e poi fu tutto buio.
Buio e nero, come l’acqua
del mare di notte.
Gli occhi del mio demone. Il
mio ultimo pensiero fu per lui.
Immaginai il suo sguardo
intenso che mi avvolgeva in un abbraccio e affrontai il mio destino
senza paura.
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Che dire? Come vedete, la paura del maltempo che abbiamo noi genovesi è giustificata. Anche oggi mi sono trovata a rivivere queste emozioni, le stesse che Vittoria prova, prigioniera nella sua macchina.
Certo, non tutti abbiamo un "angelo" custode pronto a salvarci dalla furia della pioggia, ma, per fortuna, la situazione non è sempre così estrema.
La paura, però, rimane; ogni volta che sento la pioggia cadere con quella particolare intensità.
Quindi il mio augurio di oggi è che torni presto a splendere il sole.
Claudia
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