Oggi per il laboratorio #armonialatuastoria un lungo racconto scritto da una collega autrice di fantasy che ha molto amato la Saga di Armonia e che ci ha regalato questa bellissima avventura. Tutti i racconti potete trovarli nella raccolta "Un giorno ad Armonia - Vol.2" (L'ebook è gratis! Mentre l'edizione cartacea a soli € 7,99 potrebbe essere un bel regalo di Natale!)
Ilaria Vecchietti - La Valle del Tempo Perduto
Racconto
da inserire dopo gli eventi di “Risoluzione”.
«Etciùùù!!!».
È così che tutto incominciò, con uno semplice starnuto. E chi
poteva mai ipotizzare tutti gli eventi seguenti? Non sempre gli
starnuti sono sinonimi di malessere dopotutto.
Comunque all’inizio ci fu qualche starnuto isolato, poi qualcuno
più insistente. Dopodiché seguirono mal di testa, nausea, disturbi
intestinali, stanchezza generale. Poi brividi di freddo, brividi di
caldo, qualche linea di febbre. Insomma, tutti i sintomi di una
normale influenza terrestre, quindi nessuno si preoccupò.
Questo strano morbo si diffuse però in fretta. Come? Per
contatto? Via aerea? E chi lo saprà mai?
Comunque colpì indistintamente alunni, professori e anche animusi.
Poi la situazioni degenerò.
Le muccoche smisero di fare il latte, le gallicore smisero di fare le
uova, le apescioline smisero di fare il miele.
E presto arrivò il tracollo generale!
La febbre nei soggetti colpiti aumentò sempre di più… fino a
farli cadere in una sorta di coma, durante il quale erano sempre
agitati da spasmi involontari e continui, come se paurosi incubi
tormentassero la loro mente e il loro sonno.
Il signor Giorgio Verza provò tutti i rimedi e gli intrugli
conosciuti (e anche alcuni sperimentali inventati da sé proprio per
risolvere quella difficile situazione), ma niente parve essere
efficace. Tutti gli esperti usarono vari tipi di melodie curative, ma
neppure la Musicomagia sortiva qualche risultato. Neanche le
super – ultra tecnologie e prodotti avanzati dei Tecno
furono utili.
Perfino gli occhi gialli, attenti ed esperti di Umanimusi di
Giulia Accordi non riuscivano a cogliere qualcosa di significativo.
Niente aveva senso. Niente seguiva la minima logica.
Se tutto fosse proseguito in quel modo cosa sarebbe successo?
Sicuramente il morbo avrebbe contagiato tutta Armonia,
allargandosi poi anche alle altre scuole.
Tutti sapevano che bisognava fare qualcosa… ma cosa? Si era già
tentato ogni genere di rimedio, cosa si poteva ancora sperimentare? E
presto alcuni si rassegnarono all’inevitabile.
Una mattina a Giulia arrivò un messaggio dalla sua bisnonna
Yamanuelle, la saggia e anziana preside della scuola africana Les
Musiciens.
“Guaritrice, il morbo è antico come il mondo. E solo
nell’antichità puoi trovare la cura. Brillerà dei colori
dell’arcobaleno e profumerà di vita”.
..Sempre molto chiara.. pensò Giulia. Yamanuelle in passato
aveva aiutato la ragazza moltissime volte, ma le parlava quasi sempre
per enigmi e Giulia non sapeva interpretare le sue parole, o almeno
non subito. ..Almeno non mi ha detto “che niente è quello
che sembra”.., continuò a pensare scocciata, visto che
molto spesso le aveva ripetuto quella frase.
Dopo aver controllato che Rudy e Pietro, i suoi due più grandi
amori, non avessero ancora contratto la malattia, si diresse alle
stalle per accudire gli animusi. Nessun miglioramento per i
malati, altri invece cominciarono a presentarne i primi sintomi.
Si prese cura come al solito di tutti quanti, provando a suonare
ancora qualche melodia curativa e somministrando qualche medicina dei
Tecno.
Passò poi nella Sala Cure e in quella che fino a prima che
scoppiasse l’epidemia era la sala dove si cenava… già, ora era
adibita a infermeria. Tutti gli alunni e i professori che ancora
godevano di buona salute consumavano i pasti nelle proprie camere,
perfino le lezioni furono sospese, ma nessuno poté ritornare a casa
propria, si rischiava di portare il morbo anche sulla Terra.
Armonia era finita in quarantena, nessuno poteva allontanarsi e
nessuno poteva entrarvi.
Giulia aiutò ad assistere tutti i malati, ma neanche tra gli umani
c’erano miglioramenti.
«Non sappiamo più cosa fare» disse Camilla, la migliore amica di
Giulia e sua ex compagna di stanza e avventure. «Siamo in continuo
collegamento con i Tecno, ma i loro sofisticati strumenti non
riescono a esserci di nessun aiuto. Sembra che questo male sia
sconosciuto a tutti… e soprattutto sia incurabile».
Giulia si mise a riflettere sulle parole di Yamanuelle. Se la sua
bisnonna le aveva detto quella frase sibillina doveva esserci un
motivo, non era una persona che si perdeva in chiacchiere inutili o
prive di significato. Le sue parole ambigue proferivano sempre il
vero e la giusta soluzione.
Mentre meditava, si diresse verso la presidenza. Voleva discuterne
con un’altra donna saggia: la preside Gloria Orchestri. Bussò alla
porta, ma stranamente la preside non c’era.
Andò così nel laboratorio del signor Giorgio, per vedere se aveva
sperimentato nuove erbe… e con grande sorpresa ci trovò anche la
preside.
«Oh Giulia, sei qui».
«Signora Preside. Ero venuta a cercarla prima» disse Giulia.
«Ah, eccomi, mi hai trovata. Sono venuta qui a prendere qualche
tisana» rispose la preside, ma la giovane ragazza intuì che c’era
qualcosa di più, avvertiva delle emozioni strane provenire dalla
donna. «Comunque cosa volevi?» domandò la preside, cambiando
discorso.
Giulia le raccontò del messaggio di Yamanuelle.
«Solo nell’antichità puoi trovare la cura» ripeté la
preside, con lo sguardo perso nel vuoto.
«L’unica cosa che mi è venuta in mente è il viaggio nel tempo,
magari con Persi. Lei cosa ne pensa?».
La preside Orchestri rimase ancora in silenzio, poi alzò gli occhi
su Giulia. «Non saprei. I poteri del serpesce non ci sono ancora del
tutto chiari. In genere, come hai sperimentato qualche anno fa,
quando occorre il serpesce riesce a spostarsi nel tempo. E anche se
chiedessimo aiuto ai Tecno, non sappiamo in quale epoca viaggiare».
Poi la donna si portò una mano sulla fronte e chiuse gli occhi.
Giulia si allarmò. «Preside? Si sente bene?».
La preside riaprì gli occhi e le sorrise. «Non ti preoccupare per
me. Ora hai il compito di trovare la soluzione a tutto questo».
Dopodiché le augurò buona giornata e se ne andò.
Giulia rimase a guardare la porta chiusa e sospirò. Il signor
Giorgio le si avvicinò e le mise una mano sulla spalla. «Ha
contratto il morbo?» domandò la ragazza, anche se non era
una vera e propria domanda. La risposta la conosceva già il suo
cuore.
«Dobbiamo essere forti… finché possiamo».
Giulia e il signor Giorgio rimasero a parlare ancora per qualche
minuto. Poi l’uomo si mise a fare i suoi intrugli, per cercare di
scovare una qualche tipo di erba che potesse aiutare a sconfiggere il
morbo. La ragazza prima di andarsene rimase a osservarlo
ancora, guardandolo tutto concentrato mentre canticchiava una qualche
filastrocca, forse che lo aiutava a concentrarsi.
Quando però fece per uscire e tornare alle sue faccende, alcune
parole la bloccarono sull’uscio. Si voltò e guardò ancora il
signor Giorgio, il quale continuava il lavoro come se nulla fosse…
ma ormai nel cervello di Giulia era scattato qualcosa, quell’istinto
indomabile che possedeva da sempre e che l’aveva aiutata in più di
un’occasione.
«Come ha detto?» domandò Giulia.
L’uomo alzò la testa e la guardò confuso.
«Arcobaleno e di vita profumerà, cosa stava dicendo?» continuò la
ragazza.
«Ah, quello, ma non è niente di che. È una vecchia filastrocca che
mi aveva insegnato il mio nonno quando ero piccolo. Mi diceva che era
più potente di qualunque medicina e spartito. Parla del succo
ricavato dal Fiore Arcobaleno».
«Me la può ripetere per favore?».
«Il succo dell’arcobaleno aiuterà in un baleno.
Uno. Contro l’incedere dello starnuto, infuso di peperoncino va
bevuto.
Due. Contro il martellante mal di testa, mangiare torta di carote
come fosse festa.
Tre. Contro le nausee del mal di pancia, solo il succo di limone
bilancia.
Quattro. Contro il malessere della stanchezza, va il liquore di
menta e l’ebbrezza.
Cinque. Contro il calore della febbre, cucchiai di gelato al
mirtillo è celebre.
Sei. Contro il sonno eterno, bicchieri di vino d’uva per
sfuggire all’averno.
Sette. Contro la generale malattia, foglie di radicchio permettono
la dinastia.
Otto. Tutto per sconfiggere la morte, condito con l’aglio aiuta
la sorte.
Il Fiore Arcobaleno brillerà e di vita profumerà».
La ragazza ascoltò in rigoroso silenzio tutta l’allegra
filastrocca… e la sua mente già girava a velocità sorprendente.
Poteva non aver senso per nessun altro, ma a Giulia pareva proprio di
aver trovato la soluzione al morbo.
«E che fiore sarebbe il Fiore Arcobaleno?» continuò ancora a
chiedere.
«Oh, è una leggenda. Almeno esistesse un fiore con le proprietà
magiche di cui si vantano gli antichi testi».
Tante erano le informazioni che Giulia stava assorbendo come una
spugna, non aveva prove a riguardo, ma il suo indomabile istinto
continuava a insistere per proseguire su quella strampalata via. Così
si congedò velocemente, per correre in biblioteca.
Si immerse nei vari scaffali traboccanti di libri, ormai conosceva
ogni angolo di quella stanza, e dato che il signor Giorgio aveva
menzionato gli antichi testi, sapeva perfettamente dove
dirigersi: nella parte più remota nel reparto segreto, nascosto
dagli scaffali, la cui porta era avvolta da una nebbiolina verde e
riservato solamente ai professori e agli alunni dell’ultimo anno.
Gli antichi testi erano tomi vecchissimi, che esistevano ad
Armonia da tempo immemore. Nessuno sapeva chi li avesse scritti o
quando. Erano sempre esistiti e sempre stati custoditi gelosamente,
sotto a una particolare teca di cristallo per preservarli dagli
agenti atmosferici. In pochi – pochissimi – li avevano sfogliati,
sempre molto delicatamente per via delle pagine sottilissime e
usurate, e ancora meno era chi li aveva compresi. Il linguaggio in
cui erano vergati era molto complicato e non facilmente
comprensibile. Alcuni avevano cercato di tradurli, ma nel corso degli
anni poche pagine avevano trovato una traduzione completa, e che
avesse senso.
Giulia rimase qualche secondo ad osservare quei preziosi libri sotto
la teca. Poi si riscosse e prese il suo flauto, suonò una melodia
che aprì la teca sigillata.
Con molta cautela e attenzione prese uno dei libri. La copertina di
cuoio, finemente lavorata, le trasmise una sensazione inebriante. Non
aveva mai avuto l’occasione di sfogliare quei libri, anche perché
era concesso in rare occorrenze o solo dagli esperti traduttori…
infatti, come al suo solito, Giulia stava infrangendo una regola, e
come al solito non rimase ferma a riflettere prima di agire, o anche
solo prima chiedere il permesso. No. Era cresciuta, eppure il
suo carattere ribelle e ostinato non era mutato più di tanto. Doveva
sempre fare di testa sua.
Andò a uno dei tavoli e con più delicatezza che poteva, aprì il
libro e iniziò a leggerlo… per così dire…
Giulia perse la cognizione del tempo, non sapeva per quanto tempo
fosse rimasta ferma al tavolo, sfogliando lentamente gli antichi
testi uno dopo l’altro, cercando di decifrare qualcosa di
utile, qualcosa che potesse esserle utile sul morbo o
riguardante il Fiore Arcobaleno… qualcosa che confermasse la sua
sensazione.
«Maaammaaaa» sentì Giulia a un certo punto. Era Rudy, il suo
piccolo birichino che la stava cercando ovunque.
Subito allarmata, vista la situazione generale del morbo, si
alzò e corse da lui. «Ehi! Va tutto bene tesoro mio? Ti fa male da
qualche parte?». Dopodiché gli controllò la fronte, ma era fresca
come una rosa.
«No, mamma. Sto bene e sta bene anche Piccolo» rispose, così
Giulia trasse un respiro di sollievo. Fortunatamente i serpesci non
avevano ancora riscontrato nessuno dei sintomi del morbo. «Sei
stata via tutto il giorno» continuò il bambino, assumendo
un’espressione triste.
«Oh, piccolo mio. Ti sono mancata» espresse Giulia, abbracciando
forte il figlio. Sapeva bene che lui era molto speciale, e nonostante
fosse ancora piccolo aveva grandi poteri e comprendeva benissimo che
la situazione attuale era molto critica e pericolosa. Quasi le venne
da piangere pensando che Rudy si fosse preoccupato per lei, per cui
lo abbracciò ancora.
Dopodiché, insieme, tornarono in biblioteca. Giulia si rimise a
leggere e Rudy a curiosare in giro, come sempre, guardando i libri
con le immagini degli animusi che gli piacevano tanto.
Dopo altro tempo interminabile, dove Giulia non aveva trovato ancora
nulla di utile, arrivò anche Pietro a farle notare la sua assenza.
I due sposi parlarono, seduti al tavolo tra i libri, per un po’,
dove Giulia gli illustrò la sua strampalata teoria sul fantomatico
Fiore Arcobaleno in grado di guarire tutti i mali, perciò
presumibilmente anche il morbo. Il problema era: esisteva
davvero? E se esisteva, dove si trovava? Era per rispondere a quelle
domande che la ragazza si era isolata in biblioteca.
Pietro, che sapeva benissimo quanto l’intuito della moglie fosse
sempre azzeccato, l’ascoltò in silenzio, senza mai interromperla,
poi cominciò a dire le sue idee e a porre domande, ma a cui Giulia
non sapeva rispondere.
I due ragazzi erano così intenti a parlare della situazione e a
trovare una qualche possibile spiegazione, che non si accorsero di
quello che stava facendo il piccolo Rudy. Il bambino si stava
arrampicando sul tavolo, ma una manina perse la presa e cadde a
terra, trascinando con sé i libri e gli antichi testi.
Subito allarmati i genitori si precipitarono per vedere come stesse
il figlio… e per fortuna non aveva subito niente di grave, solo una
botta per la caduta, così tutti e due trassero un lungo sospiro.
Rudy non sapeva mai stare fermo e tranquillo, era una continua fonte
di preoccupazione per Giulia e Pietro… senza contare l’immenso
potere della sua mente, che per fortuna, dopo gli eventi di Natale,
era sotto controllo.
Giulia prese in braccio il figlio, mentre Pietro raccolse i libri,
quando la sua attenzione venne attratta da un particolare disegno
stilizzato su una pagina degli antichi testi, così anche il
suo intuito cominciò a prendere una strana piega, forse fomentato
anche da quello della ragazza.
La moglie vide chiaramente l’espressione concentrata del marito,
rimanendo a fissarlo e percependo le sue emozioni.
Pietro alzò alla fine gli occhi su Giulia e le passò il libro. Lei
guardò l’immagine e cercò di leggere ciò che c’era scritto
nella pagina. Poi guardò Pietro e lui disse: «Dobbiamo parlarne con
Filippo».
Appena fu libero dai suoi impegni, Filippo raggiunse i suoi ex alunni
in biblioteca, dove fu ragguagliato sugli ultimi eventi: il messaggio
di Yamanuelle, la filastrocca del signor Giorgio, gli antichi
testi…
«Il Fiore Arcobaleno dite?» pronunciò alla fine, con gli occhi
fissi su quell’immagine sbiadita, disegnato su quel voluminoso
libro con le pagine ingiallite.
«Non sai dirci nulla?» domandò Giulia, con la speranza nel cuore
che lui sapesse dare conferma ai suoi sospetti.
«No, mi spiace» rispose scuotendo la testa. Poi alzò lo sguardo su
Giulia e le sorrise: «Però mi fido del tuo intuito, perciò
dobbiamo cercare di trovare questo fiore».
«Ma come facciamo se non sappiamo dove si trova, anzi se esiste
davvero?» domandò Pietro, alle spalle di Giulia.
Filippo prese in mano il libro e lo dette al ragazzo. «C’è solo
un modo per scoprirlo, cercarlo nel luogo citato qui» disse,
indicando un breve passo del testo. «La Valle del Tempo Perduto».
«L’ho già letta da qualche parte oggi, esiste veramente un posto
chiamato così? Non l’ho mai sentito» disse Giulia, dopo aver
guardato anche lei il libro.
«Sì, esiste. Si trova qui, su questo pianeta, molto lontano da
Armonia, ma in pochi ne sono a conoscenza. Quel luogo… diciamo non
è molto ospitale» espresse Filippo molto seriamente.
«E come mai?» domandarono quasi contemporaneamente Giulia e Pietro.
«Per via dei suoi abitanti» rispose, per poi andare a
cercare un particolare libro. Quando lo trovò lo consegnò ai due
ragazzi, che subito iniziarono a sfogliarlo… rimanendo pietrificati
dalle inquietanti immagini.
Il giorno dopo fu indetta una riunione tra i professori, dove
parteciparono anche Giulia e Pietro. Si discusse a lungo sulla
possibilità di formare una squadra per affrontare le insidie e le
belve de La Valle del Tempo Perduto, solo per cercare di
trovare il misterioso e prodigioso Fiore Arcobaleno.
Ci fu chi d’accordo con la missione e chi invece contrario, era
troppo pericolosa e inoltre non era detto che esistesse davvero il
Fiore Arcobaleno, e se anche fosse esistito nessuno poteva dire che
sarebbe stato la cura del morbo.
Giulia però con la sua tenacia e caparbietà riuscì alla fine a
ottenere il permesso per la missione. Lei, Pietro, Arci e Luca ne
sarebbero stati i prodi protagonisti, in quanto, dato la pericolosità
nel luogo in cui si dovevano addentrare e soprattutto quella degli
abitanti autoctoni de La Valle del Tempo Perduto, bisognava scegliere
dei valorosi membri dei Guardiani, ma poiché Armonia era sotto
quarantena solo loro erano i candidati ideali.
I giorni seguenti si proseguì a sistemare i dettagli della missione,
mentre gli studiosi degli antichi testi cercavano di mettere
assieme più informazioni possibili sul Fiore Arcobaleno.
Al quarto giorno tutto era pronto, non si poteva indugiare
ulteriormente, le condizioni degli infetti si stavano aggravando
sempre di più, per cui i ragazzi si avviarono ai recinti degli
aquilupo, loro li avrebbero portati a destinazione.
Quando però Giulia montò in groppa a Furia, la voce di suo figlio
le giunse alle orecchie. Rudy la stava chiamando, così si voltò e
lo vide correre verso di lei, seguito dalla buona Camilla che aveva
accettato di prendersene cura in assenza dei genitori.
«Mamma, voglio venire anch’io!» affermò deciso il piccolo,
aggrappandosi al pelo di Furia.
«Rudy, non puoi. Devo andare in un posto molto brutto. Ti potresti
fare male» cercò di farlo ragionare Giulia.
«Anche tu e papà potreste farvi male» li accusò, con la sua
vocina sincera e innocente.
«Ma noi siamo grandi, e dobbiamo andare per cercare la cura per
tutti gli altri. Tu vuoi che guariscano vero? – e il bambino, con
le lacrime che quasi scorrevano, annuì – vedi, allora dobbiamo
andare».
«Ma, mamma…» cercò di protestare ancora.
«Ora basta! Dai retta alla mamma» si intromise Pietro, così Rudy
fu preso in braccio da Camilla e portato via, tra i singhiozzi che
cercava di trattenere.
Giulia si intenerì ancora al pensiero che il figlio fosse così
buono e generoso, e che si preoccupasse dei suoi genitori, a tal
punto di volerli accompagnare in un posto da brivido come quello che
avrebbero dovuto affrontare.
Ora, che tutto era a posto, Giulia diede il segnale e gli aquilupo
spiccarono il volo…
Un giorno intero ci volle prima di giungere a destinazione,
attraversando anche buona parte di quel deserto che Giulia e Pietro
avevano già visitato quando erano dovuti tornare ad Armonia dalla
scuola africana, a causa della distruzione della porta verde a
seguito dell’incendio.
Gli aquilupo atterrarono davanti a un’immensa porta, grande quando
le alte montagne che segnavano l’inizio di quella gola e
dell’ingresso de La Valle del Tempo Perduto.
Pietro si avvicinò al dispositivo di serratura, prese il suo flauto
e iniziò a suonare la difficilissima melodia che aveva dovuto
imparare per aprire quel complicato sistema. Piano piano, nota dopo
nota, gli ingranaggi scattarono uno dopo l’altro, e solo una
piccola porticina – di dimensioni normali – si aprì, quel tanto
che bastava per farli entrare. Dopodiché si richiuse ermeticamente
come lo era prima.
Giulia si guardò attorno, aveva il cuore che le batteva
all’impazzata. Non era così preoccupata, agitata ed eccitata
nemmeno quando era stata sul pianeta dei Tecno. Sapeva che quello era
un luogo pericoloso e che tutti temevano, ma la sua curiosità e
intraprendenza facevano sempre capolino in un angolo della sua
coscienza.
Aveva appreso che La Valle del Tempo Perduto era sempre esistita, non
si sa chi l’avesse costruita, ma chiunque l’avesse fatto era solo
per la propria salvaguardia, poiché lì dentro erano state sigillate
quelle creature tanto terrificanti e aggressive che aveva visto sui
libri. Vari sistemi di sicurezza erano stati installati, anche se
avessero sfruttato il cielo nessuno avrebbe potuto andarsene, in
quanto era presente una barriera elettrica invisibile. Solo pochi e
preparatissimi Guardiani si occupavano periodicamente di controllare
che tutto fosse in ordine e funzionante, ma nessuno avrebbe mai
pensato di metterci piede.
Con i flauti in mano, lentamente i ragazzi procedevano all’interno
della gola. Il deserto aveva già da un po’ lasciato il posto a un
terreno più denso e ricoperto di sassi… e ora iniziavano a
spuntare alcuni ciuffi di erba qua e là. In lontananza si vedeva la
giungla, fitta, lussureggiante e misteriosa.
Tutti sapevano che dovevano stare attenti, per questo procedevano in
silenzio e con estrema cautela. Dietro ogni albero, ogni masso, ogni
liana, poteva trovarsi il pericolo…
Poi all’improvviso un suono, come dei rami rotti, immobilizzò
tutti quanti. Si acquattarono e lentamente strisciarono verso la
fonte del rumore, per non essere colti impreparati dai possibili
aggressori.
I cespugli di felce si muovevano e suoni di masticazione arrivavano
alle loro orecchie. Poi sbucò fuori un musino grigio verde, che
masticava tranquillamente le foglie, guardando i ragazzi come se non
fossero estranei. Al contrario loro fissarono quell’animale
ammaliati e timorosi allo stesso tempo, lo studiarono lentamente,
contemplando anche la lunga cresta cranica.
«È, è…» balbettò Arci, senza trovare le parole per continuare.
«È un anchisaurolofo» affermò Pietro, con gli occhi pieni di
ammirazione e meraviglia. Ogni creatura per lui era straordinaria.
«Questo è erbivoro… da quello che vedo» disse Luca, senza
abbassare il flauto.
«Sì, non dovrebbero esserci problemi con loro, anche se lui è solo
un cucciolo. La madre sarà nei dintorni» confermò Pietro. Prima di
partire per la missione si era informato accuratamente sulle creature
che vivevano lì, documentandosi il più possibile.
Intanto Giulia non aveva detto ancora niente, stava guardando
quell’animale affascinata e senza rendersene conto si avvicinò.
L’anchisaurolofo non si spostò, rimase fermo a mangiare la felce,
così la ragazza allungò la mano e gli accarezzò il muso. L’animale
non sembrò spaventato, ma emise comunque un verso acuto… così
diversi suoi simili fecero la comparsa, decisamente più grandi,
almeno dieci metri di lunghezza, con il corpo ricoperto da spesse
placche ossee e la lunga coda corazzata che finiva in una grossa
mazza caudale fatta d'ossa fuse. Un’arma micidiale contro i
predatori.
«Forse è il caso di togliere il disturbo adesso» disse Arci e
tutti seguirono il suo consiglio, era meglio non farli arrabbiare.
Si allontanarono lentamente e sparirono dalla zona, lontano dagli
occhi di quel branco.
«Wow!» fu l’esclamazione di Giulia non appena si furono
allontanati abbastanza. «Quindi quelli sono gli animusisauri?».
«Sono solo una delle tante specie, loro sono l’incrocio tra
anchilosauro e parasaurolofo» puntualizzò Pietro. Da amante di ogni
genere di animale e animusi, nei giorni precedenti si era
messo a studiare tutte le varie razze di quelle particolari creature,
conosciute come animusisauri. Della loro genesi non si sa un
granché, non si sa chi li creò, quando e perché. C’era chi
ipotizzava che fossero addirittura sempre esistiti e poi per via
della loro pericolosità rinchiusi ne La Valle del Tempo Perduto.
Quel che era certo è che erano il risultato della combinazione degli
estinti dinosauri che popolavano la terra milioni di anni fa, e altri
addirittura mammiferi preistorici.
«Ora però direi di concentrarci sul Fiore Arcobaleno» espresse
Luca, guardandosi sempre attorno.
«Sempre che esista» continuò Arci, anche lui con i sensi ben in
all’erta.
«Deve esistere! Non abbiamo altre soluzioni!» affermò decisa
Giulia, dopodiché continuarono il cammino.
Attraversarono la giungla e per fortuna incontrarono solo
animusisauri erbivori, che non crearono troppi problemi.
I ragazzi poi si ritrovarono davanti a una radura e lì videro vari
branchi di animusisauri, ma tutti procedevano calmi e non si
curarono degli estranei.
Un verso terrificante, come la fusione di un ruggito e un barrito,
attirò però l’attenzione di tutti, animali e ragazzi. Da un altro
punto della giungla uscì un animusisauro gigantesco, quasi
cinque metri di altezza e solo la testa doveva essere lunga almeno un
metro e mezzo. Ciò che spaventò tutti furono soprattutto i denti
aguzzi, di almeno trenta centimetri. Sulla schiena, fino alla fine
della lunga coda, spiccavano delle piastre dermiche dorsali rosse. La
coda poi terminava con quattro lunghi aculei.
«Rimaniamo nascosti qui!» disse prontamente Pietro, anche se
nessuno aveva minimamente voglia di uscire allo scoperto con
quell’animusisauro che stava cacciando gli altri. «Quello è
uno stegorex. È l’incrocio tra uno tirannosauro e uno stegosauro.
Ed è carnivoro e pericoloso», aggiunse alla fine, proprio mentre
l’esemplare feroce aveva isolato uno degli erbivori, azzannandolo
al collo.
Rimasero così nella foresta, al confine con la radura, sperando che
tutti i predatori cacciassero dall’altra parte.
Le alte conifere impedivano alla luce del sole di illuminare fino a
terra, per cui dovettero stare attenti, non solo agli animusisauri,
ma anche ad altre insidie, come le sabbie mobili, piante carnivore
grandi come loro stessi, che con i loro colori sfavillanti invitavano
ad avvicinarsi e a toccarle, senza contare il loro profumo dolce e
invitante.
I loro occhi però erano sempre attenti anche per i molti fiori
incontrati, ma nessuno di loro sembrava fosse quello raffigurato nel
libro.
Per ore i ragazzi si addentrarono in quel mondo, tanto magico, quanto
pericoloso e fuori da ogni immaginazione. In più di un’occasione
dovettero far uso dei loro flauti per tenere a bada alcuni
animusisauri, per lo più erbivori troppo curiosi o solamente
spaventati dalla loro presenza, i pochi carnivori che incontrarono
erano di dimensioni e di ferocia molto minori a quella dello
stegorex.
Videro molti animusisauri particolari, di varie specie di
dinosauri, altri assomigliavano alle tigri dai denti a sciabola,
altri ai grandi mammut, poi videro anche mandrie di uro, in più
insetti grandi come gatti. La giungla poi finì, lasciando il posto a
una scogliera, dove le onde del mare si infrangevano violente,
schizzando gocce d’acqua sopra di loro, e furono così spettatori
di un altro scontro tra colossi: quello che assomigliava a un
megalodonte (lo squalo più grande che pare abbia nuotato negli
oceani terrestri, e c’è chi dice esista ancora) che attaccò un
animusisauro dal collo lunghissimo.
Sì, La Valle del Tempo Perduto non era certo una meta turistica.
Non avendo più la protezione degli alberi, i prodi giovani furono
costretti ad affrontare le insidie della radura, sperando di non
trovarsi faccia a faccia con lo stegorex o altri suoi simili.
«Perché io ho la sensazione di essere osservato?» domandò dopo un
po’ Arci.
«Perché siamo osservati» precisò Giulia. Con il suo grande
dono dell’Umanimusi, aveva percepito già da un po’ di
essere pedinata, ma non riusciva a capire chi fosse e quali
intenzioni avesse. Su una cosa non aveva dubbi: gli occhi che
li osservavano non erano solo due.
Quella risposta però mise i ragazzi in allarme, inquietandoli come
non mai.
A quel punto Pietro si fermò e si guardò attorno. Tutti lo
fissarono incuriositi, mentre il ragazzo analizzava dettagli che solo
lui riusciva a cogliere, un po’ per aver letto tutto ciò che si
sapeva di quel luogo e dei vari animusisauri, soprattutto
quelli carnivori, e un po’ anche perché, come Giulia, il dono
dell’Umanimusi lo rendeva più attento a cogliere certe
particolarità che gli altri non notavano.
Poi di colpo si girò e guardò verso l’erba alta attorno a quella
sorta di sentiero che avevano preso. Giulia intuì subito che
qualcosa non andava nel marito, infatti lo vide deglutire più volte.
Poi si girò ancora e sembrò guardare l’orizzonte in cerca di
qualcosa.
«Appena ve lo dico, correte e cercate degli alberi e arrampicatevi!»
affermò Pietro, serio come non lo era mai stato.
Nessuno però riuscì a chiedergli spiegazione, perché diede subito
il segnale. Tutti scattarono e tornarono a risalire quella collinetta
che stavano scalando, questa volta a velocità sostenuta. Pietro
dietro a tutti si voltò velocemente, e vide l’erba alta muoversi…
poi sei o sette animusisauri sbucarono fuori e presero a
rincorrerli.
«Non fermatevi! Correte più velocemente!» incitò Pietro.
«Cosa sono?!» urlò Luca preoccupato, appena riuscì a voltarsi e
vide gli inseguitori.
«Non giratevi! Correte!» continuò Pietro allarmato.
Corsero più che poterono, ma gli animusisauri erano più
veloci e presto li raggiunsero. Uno spiccò un balzo e atterrò Arci.
Giulia prontamente usò il suo flauto e lo spinse via, così il
ragazzo poté rimettersi in piedi e continuare a correre.
Presto però arrivarono al capolinea!
Gli animusisauri li spinsero verso il punto più alto della
collina, fino a uno strapiombo che dava su un fiume… molto, ma
molto in basso.
I ragazzi si fermarono sull’orlo, per poi girarsi verso gli
inseguitori.
«Sono dei triceraptor. È forse la specie più pericolosa di
animusisauri. Sono l’unione tra i triceratopi e gli
utahraptor» spiegò Pietro, senza togliere gli occhi da addosso i
sette esemplari che si stavano avvicinando lentamente e
pericolosamente, dondolando la testa.
Tutti li stavano studiando bene, bipedi, alti poco più di due metri,
minacciosi, con un grande artiglio a falce di almeno venti centimetri
sul secondo dito del piede. La testa era caratterizzata da un collare
osseo che si proiettava all'indietro e da due corna sopraorbitali,
più un terzo corno, più piccolo, situato sopra le narici.
Quando si avvicinarono ulteriormente, Giulia suonò il flauto. La
musica formò una barriera d’aria che li protesse. I triceraptor
piombarono sulla barriera, cercando di scalfirla con il loro potente
artiglio, con le corna e con i morsi. Fortunatamente non riuscirono a
scalfirla, ma Giulia doveva continuare a suonare per mantenere la
barriera attiva.
Dopo Giulia, prese a suonare Arci per tenere alzata la barriera,
dando un po’ di tregua alla ragazza, e intanto pensavano anche a
qualche soluzione per scappare da quella situazione estremamente
critica.
«Sirio e Leo non possono fare nulla?» domandò poi Luca.
«Sono forti, ma non al punto di affrontare un gruppo di triceraptor»
rispose Pietro, dopo aver valutato bene la possibilità di un
combattimento.
«Neanche se intanto noi usiamo la Musicomagia?» continuò
Luca.
«Potrei usare anche la mia scossa» aggiunse Giulia.
«Non penso proprio» espresse Pietro, abbassando gli occhi. «I
triceraptor sono delle vere macchine d’assalto».
I ragazzi si dettero il cambio a suonare la melodia per tenere la
barriera alzata, e non avendo altre idee su come sfuggire da quella
situazione decisero di aspettare che i triceraptor si stancassero…
ma non fu così, gli animusisauri non desistettero, anzi
richiamarono altri esemplari con i loro versi acuti, che cercarono in
ogni modo di agguantare i ragazzi… fortunatamente la barriera era
solida, ma non sarebbe resistita per sempre, tutti erano molto
stanchi di suonare e i triceraptor sempre più cocciuti!
I primi cenni di stanchezza si fecero sentire, la barriera risultava
meno spessa e più malleabile.
«Dobbiamo fare qualcosa, subito!» affermò Giulia, guardandosi
attorno, ma non le era venuto in mente nulla.
Mentre Arci continuava a suonare, Giulia e Pietro assunsero l’aspetto
di Sirio e Leo, pronti a combattere, anche Luca impugnò bene il
flauto per prepararsi all’imminente battaglia.
Arci arrivò al limite e smise di suonare e la barriera si dissolse
piano piano, così i triceraptor avanzarono lentamente, consapevoli
che le loro prede erano totalmente inermi.
Prima che però facessero il loro balzo finale, una sorta di nuvola
grigio verde si frappose tra loro. I ragazzi, soprattutto Giulia e
Pietro, sgranarono gli occhi quando misero bene a fuoco l’immagine.
Dalla nuvola sbucarono Rudy, sotto forma di Umanimusi, e
Piccolo.
Il bambino, incurante del pericolo e delle grida dei genitori, si
voltò verso i triceraptor e fece vari versi animaleschi. Gli
animusisauri rimasero a osservarlo fissi e fermi, come fossero
ipnotizzati. Intanto Giulia e Pietro, tornati al loro aspetto,
avrebbero voluto correre dal figlio e abbracciarlo, salvandolo dal
pericolo, ma qualcosa dentro di loro diceva di rimanere lì, fermi ad
aspettare… cosa? Non sapevano dirlo neanche loro.
Tutti poi spalancarono completamente occhi e bocca quando i
triceraptor, dopo vari versi verso Rudy – come se stessero parlando
– fecero dietrofront e tornarono da dove erano sbucati fuori.
Nessuno aveva idea di cosa fosse successo, era incredibile e
sconcertante. Fu come se Rudy gli avesse ordinato di andarsene.
Il bambino poi, mentre riprendeva il suo aspetto umano, si voltò
verso i ragazzi e sorrise, con l’ingenuità tipica dei bambini, per
poi correre dai genitori, che lo abbracciarono fortissimo, quasi
volessero stritolarlo affettuosamente.
Rimandare Rudy ad Armonia era inutile ormai, avrebbero dovuto mandare
un messaggio a qualcuno per aprire un portale, così magari
disturbandolo dai doveri verso i malati. Poi se avesse voluto, era
chiaro che li avrebbe raggiunti nuovamente, perciò Giulia e Pietro
permisero al figlio e al suo fido animusi Piccolo di restare
con loro. Solo un piccolo messaggio venne spedito a Camilla per dirle
dove fosse finito il bambino.
Ripresero perciò il cammino verso la loro meta ignota, alla continua
ricerca di quel fiore prodigioso e per niente certi della sua
esistenza.
I triceraptor non si fecero più vedere per fortuna, ma altri
animusisauri fecero la loro comparsa, ma fortunatamente per la
maggior parte erano erbivori a cui si sfuggiva facilmente, per gli
altri carnivori bastarono pochi attacchi con la Musicomagia,
nessuno fu insistente e agguerrito come i triceraptor. Incontrarono
anche varie volte lo stegorex, ma bastava nascondersi in piccoli
posti chiusi, dove la sua mole imponente non poteva passare, e non
aveva la pazienza sufficiente di aspettare che la sua preda sbucasse
fuori.
Il gruppo di esploratori attraversò la pianura, i boschi, si
inerpicò su delle ripide montagne. Passarono da climi totalmente
differenti, un momento faceva un caldo equatoriale e un momento dopo
un freddo siberiano. Anche il territorio cambiava in modo repentino,
dal deserto sabbioso alle valli rigogliose, dall’erba alta e con
fiori colorati alla neve candida e soffice. La Valle del Tempo
Perduto era davvero un posto irrazionale e mutevole… ma in un posto
così non era poi tanto assurda l’idea dell’esistenza del Fiore
Arcobaleno.
Il mutare improvviso del tempo e del paesaggio però disorientò non
poco i ragazzi, tanto da non sapere più da quanto stavano vagando
lì, non sapevano se erano passate solo ore o addirittura giorni. Lì
il tempo era incalcolabile… davvero perduto…
Fortunatamente, anche quando finirono le provviste, seppero
arrangiarsi, trovando frutta, bacche e radici commestibili, però
sapevano che dovevano sbrigarsi a concludere la missione. Armonia era
seriamente in pericolo!
Una notte tutto cambiò!
Si erano sistemati su degli alberi, come le altre volte, per
ripararsi dal possibile attacco di qualche carnivoro, quando Giulia
si accorse che Rudy era sparito.
La ragazza svegliò tutti e videro che pure Piccolo non c’era più.
Scesero dagli alberi e cominciarono a cercarli, chiamandoli, anche se
non potevano urlare i nomi per non rischiare di attirare l’attenzione
di qualche predatore.
Vagarono per il bosco, fino a quando non furono attratti da una
strana luminosità argentea.
Giulia e Pietro seguirono il loro istinto e andarono in quella
direzione. Presto si ritrovarono in un grande prato punteggiato da
lucine argentate, ma quelle passarono in secondo piano, dato che i
ragazzi videro Rudy e Piccolo giocare allegri in mezzo al prato.
Tutti trassero un sospiro di sollievo, poi Giulia si avvicinò al
figlio per sgridarlo, per dirgli che non doveva allontanarsi così,
senza dire nulla a nessuno… ma non riuscì a pronunciare una sola
parola. Rudy le corse incontro e le diede qualcosa in mano.
«Guarda che belli mamma» disse il bambino.
Giulia rimase a fissare a bocca aperta quei fiori, molto simili a
delle margherite, ma con i petali dei sette colori dell’arcobaleno.
Il gambo e le foglie invece bianchi e luminosi, erano quelli che
provocavano tanta luce.
La ragazza poi si volse verso gli altri e vide che anche loro si
erano messi a osservare incuriositi quei fiori.
Pietro poi le si avvicinò. «Sembrano proprio quelli del disegno del
libro».
Giulia lo abbracciò. «È il Fiore Arcobaleno» gridò felice.
I ragazzi raccolsero un bel po’ di fiori, compresi molti con le
radici – come aveva raccomandato il signor Giorgio per cercare di
trapiantarli ad Armonia –, sperando che bastassero, e soprattutto
che fosse davvero il famigerato fiore prodigioso e che guarisse tutti
dal morbo.
Dopodiché tornarono a dormire.
L’indomani ripresero il cammino di casa, cercando di fare il più
svelto possibile e cercando di non perdersi. Sulla via del ritorno
non ebbero grandi problemi, seppero tenere a bada tutti i possibili
aggressori, così riuscirono a ritrovare l’entrata e, suonando
ancora la melodia, aprirono la porta e uscirono dalla valle.
Furia e gli altri aquilupo erano rimasti lì fuori ad aspettarli, e
subito furono felici di rivederli. Aspettarono che montassero in
groppa e poi partirono per la volta di Armonia.
Una volta tornati a scuola, vennero a sapere che la situazione non
era migliorata, anzi i sintomi peggiorarono.
I fiori furono portati dal signor Giorgio, che subito si rinchiuse
nel suo laboratorio per esaminarli e ricavarci qualche antidoto per
il morbo.
Un giorno intero ci volle prima che l’uomo uscisse. In mano aveva
un brocca di vetro con all’interno una sorta di infuso di vari
colori che cominciò a somministrare un po’ a tutti gli ammalati,
umani e animusi. Per giorni lo fece bere a tutti, cambiando le
dosi e le composizioni, dato che non dava particolari segni di
miglioramento… ma poi qualcosa iniziò a funzionare.
L’infuso, con l’aiuto della Musicomagia, fece effetto e
lentamente i sintomi del morbo sparirono uno dopo l’altro.
Tutti si ripresero, con fatica e con molto tempo e terapie, ma alla
fine il morbo fu debellato.
Armonia fu salvata!
Tante furono le domande irrisolte sul morbo, su La Valle del
Tempo Perduto, sugli animusisauri, sul Fiore Arcobaleno… ma
ciò che continuava a domandarsi Giulia riguardava gli straordinari
poteri della mente di Rudy, così potente da plagiare la mente
aggressiva degli triceraptor.
Solo in futuro, quando sarebbe diventato grande, si sarebbe svelato
forse il suo mistero.
Ringrazio
Ilaria per aver partecipato, come l’anno scorso, a questa nuova
edizione della mia raccolta. Ilaria Vecchietti è un’autrice
esordiente e una bravissima blogger, qui trovate il link al suo blog
dove potete trovare notizie su di lei e sulle sue attività:
Claudia
Grazie per aver pubblicato anche il mio racconto, ne sono felicissima.
RispondiEliminaSpero che piaccia a tutti i tuoi lettori!
Ne sono certa! ^^
RispondiEliminaSPETTACOLARE NON è CHE NE SCRIVERESTI ANCORA QUALCUNO GIUSTO COME CHICCA
RispondiEliminaOh, ma grazie per i complimenti, non sai quanto mi faccia felice :)
EliminaVisto, Ilaria? Che ti dicevo? Grazie Barbara per aver commentato 😘
RispondiEliminaSono proprio felice che il mio racconto piaccia :)
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