Come per la raccolta precedente, l'iniziativa è stata ampliata anche a tutti miei lettori di ogni età. Oggi è il turno di:
Patty Bra e Luca – La Sinfonia leggendaria
Anche
per Patty abbiamo un continuo, rispetto al racconto scritto nella
raccolta dell’anno scorso. Questa volta la storia l’ha scritta
con l’aiuto di suo figlio Luca.
Mi svegliai all’improvviso e mi ritrovai seduta sul letto con gli
occhi spalancati e gocce di sudore che scendevano lungo la schiena,
facendomi rabbrividire. Mi guardai intorno, ero nella mia stanza
frastornata e agitata, una voce potente continuava a rimbombarmi
nelle orecchie.
“Susanna è ora, vieni”.
Non c’era nessuno e l’unico suono reale era il mio respiro.
Sentii il bisogno di alzarmi e guardando fuori dalla finestra mi
vestii velocemente, dalla mia posizione potevo vedere solo una parte
del grande lago, coperto da una leggera nebbiolina, rendendo tutto
molto astratto.
Nel silenzio notturno, m’incamminai verso il bacino, una forza
ancestrale guidava i miei passi e calpestando l’erba umida arrivai
sulla sponda del lago, in una zona che non avevo mai esplorato.
Il silenzio avvolse il mio corpo, il mio sguardo era perso e quella
voce tornò.
Non lo lasciai finire e urlai al nulla. “Chi sei? Che cosa devo
sapere? Rivelati ai miei occhi, esci dal tuo nascondiglio.”
Ci fu un silenzio prolungato, poi tornò a parlare con calma, come se
fossi una bambina da assecondare.
“Non avere paura, tutto ti sarà svelato e capirai, ma per ora
continua a seguire il sentiero, fino a quando troverai una grande
quercia con un tronco unico, ma divisa in due sulla sommità, giraci
intorno tre volte cantando con la tua bellissima voce. Potenza,
vocalità e passione devono trapelare da te e attendi. Non posso
dirti altro, buon viaggio."
Il cammino non durò molto e quando vidi la quercia, mi misi a
correre, sicura di trovare qualcuno o qualcosa, ma niente si palesò
davanti a me, mi sentivo piccola, insignificante e sola.
Non sapendo cosa fare iniziai a girare in tondo, cantavo sempre,
anche solo nella mia mente, ma in quel momento nulla usciva dalla mia
bocca, neanche un borbottio. Allora pensai al mio stato d’animo e
le parole presero a uscire come un fiume in piena. Non era una
canzone conosciuta, la stavo componendo sul momento e mentre cantavo,
iniziai a muovermi intorno al grande tronco fino a completare i tre
giri e alla fine alzai lo sguardo, intonando l’ultimo passaggio con
enfasi e trasporto.
Le foglie vibrarono, come se qualcuno stesse scrollando con forza
l’albero, mi spaventai e cercai di arretrare, ma una radice
comparsa sul terreno mi fece cadere e rimasi lì a guardare quello
strano fenomeno. Una luce dorata fece risplendere tutto il tronco,
attraversando rami e foglie, fino a quando vidi degli scalini e
ancora una volta la voce mi comandò.
“Sali le scale senza fermarti e non guardare mai indietro”.
Rimasi ferma a guardare verso l’alto quell’insieme di scalini
infiniti, ormai non potevo più tornare indietro, così mi alzai e
iniziai la scalata, ogni passo era sempre più difficile, la pendenza
aumentava e lo spazio dove appoggiare i piedi rimpiccioliva o ero io
che m’ingrandivo? Arrivai a dovermi arrampicare, stringendo tra le
dita le piccole sporgenze, a un tratto la roccia sotto il mio piede
si sgretolò e rimasi aggrappata con solo una mano e una gamba che
reggeva tutto il peso del mio corpo, in bilico nel vuoto, iniziai a
gridare.
All’improvviso qualcuno mi afferrò il braccio e mi tirò su, ero
troppo stanca e avvilita per notare chi fosse il mio salvatore, ma
quando per la seconda volta allungò la mano verso di me, finalmente
lo vidi e il mio cuore ebbe un tuffo.
Mi lanciai tra le sue braccia e, senza rendermene conto, piansi come
una bambina.
“Luca non ci posso credere, sei tu!”
E lui stupito quanto me mi strinse ancora più forte.
Eravamo lì insieme, non ci potevo credere, dall’ultima volta erano
passati mesi e di cose ne erano successe tante. Capii che non era il
momento di pensare al passato e iniziai a tempestarlo di domande.
“Cosa ci fai qui? Che cosa sta succedendo?”
Luca mi afferrò per le braccia e delicatamente mi allontanò per
guardarmi negli occhi.
“Ne so quanto te Susanna, mi sono svegliato all’improvviso e
c’era un portale nella mia stanza, mi sono vestito e l’ho
attraversato, mi sono ritrovato in questa radura e ho sentito le tua
grida disperate e senza pensare ai pericoli ti ho preso. Sono stato
uno stupido a essere così impulsivo, potevo farti male o peggio non
riuscire a salvarti.”
Un rumore ci spaventò ed entrambi scattammo in piedi, Luca mi prese
la mano e iniziò a muoversi circospetto. Era bello stare di nuovo
vicino a lui, il suo viso era come lo ricordavo, mancava solo il suo
sorriso magnetico. Stavo studiando il suo profilo, quando intravidi
qualcosa in mezzo all’erba, un masso strano e lo tirai per il
braccio, in modo che lo vedesse anche lui e ci avvicinammo per
ammirarlo.
“Non è un masso, sembra una pergamena, ma è troppo grossa”. Il
mio compagno la toccò con la punta del piede, poi con un dito, con
sicurezza dichiarò che era proprio una pergamena.
Senza muoverla provò a srotolarla, ma un sigillo di cera la teneva
chiusa, mi avvicinai per studiarlo, rosso sangue con disegnato un
artiglio, non ne avevo mai visto uno così, neanche sui libri di
scuola, però avevamo appena studiato come romperli.
Chiesi a Luca se aveva il suo flauto, io stupidamente l’avevo
lasciato in camera, al suo accenno affermativo, gli chiesi di suonare
la melodia che avevo imparato qualche giorno prima. Il sigillo si
ruppe tagliando in due l’artiglio, rivelando al suo interno, uno
strumento piccolo e maneggevole, un’armonica a bocca.
Rimasi stupita vedendola, ma non come dalla reazione di Luca che la
prese senza indugio e l’avvicinò alla bocca, come se fosse sempre
stata sua. Non gli permisi di suonarla, lo fermai alzando una mano,
perché c’erano anche uno spartito e una canzone che bisognava
eseguire davanti alla porta antica.
“Luca sai di cosa parla? Non ho mai sentito parlare di questa porta
e ignoro come raggiungerla. Se abbiamo trovato la pergamena ci sarà
un motivo, bisogna trovarla.”
Ancora con lo strumento a pochi centimetri dalla bocca, mi guardò e
alzò le spalle, poi la sua attenzione fu attirata da qualcosa dietro
di me e mi girai incuriosita da tanto stupore.
Rimasi a bocca aperta, erano comparsi un laghetto e una cascata
altissima, tanto da non vederne la cima, l’acqua cadeva con potenza
per poi arrivare con calma a toccare la punta delle nostre scarpe.
Sentii nella mia mente il richiamo di Drago, si stava avvicinando
velocemente e presto vidi il suo muso spuntare dall’acqua, mi fece
capire che ci avrebbe accompagnato alla porta e che dovevamo
trattenere il fiato, il più possibile. Così Drago iniziò a
muoversi, andando verso la cascata; eravamo preoccupati, la potenza
dell’acqua in caduta ci avrebbe schiacciati, ma prima di arrivare
nella parte pericolosa, il grosso serpesce fece un verso acuto e
s’inabissò, in un attimo ci ritrovammo sotto il rombo dell’acqua.
Entrammo in una grotta e appena superato l’ingresso, Drago risalì
e ci lasciò al suo interno. Lo guardai, non volevo che ci lasciasse
lì da soli, avevo bisogno del suo appoggio e della sua forza, ma dal
suo sguardo capii che il suo compito era finito e mi fece un cenno
col muso, indirizzandomi verso la porta.
Ora era lì davanti a noi, enorme e chiusa, coperta da disegni e
scritte che raffiguravano una leggenda antica, come le origini del
mondo. Luca si avvicinò e mi porse la canzone, mentre lui si
preparava a suonare l’armonica.
“Segui il ritmo della musica e al terzo battito parti con la
canzone, ti lascio qualche minuto per studiarla, poi inizio.”
Era una bella canzone, ritmata e allo stesso tempo potente, un mix
tra pop e opera, accompagnata dal suono particolare dello strumento
del mio amico. Dalla seconda strofa spirali di luce si alzarono dal
basso verso l’alto, andando a illuminare quattro immagini presenti
sul portale, raffiguranti animali antichi, donandogli colore.
La porta scattò e tenendoci per mano ci inoltrammo all’interno,
seguimmo un corridoio lunghissimo e pieno di colonne altissime, buio
e silenzioso, non sapendo cosa aspettarci.
A un certo punto Luca mi trattenne. “Lo senti anche tu?”.
Lo guardai preoccupata. “Non sento niente”, ma qualcosa mi attirò
verso il fondo del corridoio, superai delle nicchie con statue di
draghi enormi che sembravano seguirmi, davanti all’ultima caddi in
ginocchio e mi strinsi la testa con le mani. Un dolore acuto mi stava
trapanando il cervello, pensavo solo a stringere più forte per
trovare sollievo, la vista mi si annebbiò di colpo e lo vidi.
Un bambino mi stava osservando accoccolato tra le spire di un giovane
drago, era tranquillo e non smetteva di guardarmi e quando capii,
urlai sconvolta dalle emozioni.
“Nooo, non è possibile, non è possibile.”
I draghi si mossero e ci circondarono. “Susanna, è sangue del tuo
sangue, è carne della tua carne, quello che stai guardando è vostro
figlio e il momento è arrivato, siete tornati per svegliarci, i
custodi sono arrivati.”
Il cuore mi stava esplodendo, avevo diciassette anni, eppure sapevo
che era mio figlio, era come se quegli occhi li avessi sempre visti,
se lo avessi stretto a me dal suo primo respiro, un legame solo
nostro, madre e figlio. Trovai la prontezza di guardare Luca per
capire se aveva sentito e realizzato cosa stava succedendo, lo vidi
impietrito sul posto con lo sguardo fisso sul bambino, commosso e
pronto a proteggerlo da qualsiasi pericolo. Ci avvicinammo e lo
abbracciammo forte, riunendo così la nostra famiglia.
Uno dei draghi raccontò che non erano leggendari, erano l’origine,
gli antichi fautori dell’equilibrio tra la terra e i mondi della
musica. Il primo fu Glacialus, il capo divino, ricordato e amato da
tutti che compose e suonò da solo la melodia riunificatrice dei
mondi per secoli, ma si arrivò che un assolo non poteva tenere
stretto il legame, troppi fattori estranei interrompevano la magia
del suo suono. Si decise così che i quattro draghi più grandi e
forti, dovessero suonare insieme, c’era bisogno di una sinfonia, la
melodia non era più abbastanza, le loro grandi ali fungevano da
fisarmonica e ognuno di loro secondo il colore e l’apertura alare
poteva emettere un suono diverso, creando un insieme di musica,
colori e atmosfera. I grandi draghi si riunivano una volta l’anno e
questo momento di raccoglimento e magia era visibile a tutti, anche
sulla terra, perché si esprimeva attraverso l’alba boreale, le
sfumature dei colori non erano altro che l’insieme e l’unione di
magia e musica.
Nei secoli neanche questa soluzione parve bastare e si aggiunsero i
custodi perché i draghi erano cercati e abbattuti, rischiando
l’estinzione, così si ritirarono nelle grotte e i custodi furono i
loro protettori, fino a quando divennero parte integrante della
sinfonia, dando più forza ai loro colori: rosso, azzurro, verde e
bianco. I quattro draghi prescelti avevano un colore personale, più
brillante, più importante, come i metalli: oro, argento, bronzo e
platino.
Rimasero addormentanti per anni, nel frattempo ci fu scompiglio nel
mondo magico, i Tecno ruppero gli equilibri, creando scompensi anche
sulla Terra.
“Siamo gli ultimi draghi antichi, in questi anni ci avete lasciato
vostro figlio per proteggerlo e attendervi, siete rinati e siete
giunti com’era stato scritto, nel frattempo grazie all’influenza
del bambino è nato un nuovo drago, siamo alle porte di una nuova era
e di un cambiamento.”
Mancava poco all’alba boreale. Tutto doveva essere perfetto: Luca
con l’armonica, io col canto e il nostro bambino vicino a noi. Lui
era speciale, il suo destino era scritto e un giorno si sarebbe
compiuto.
Arrivò la sera della sinfonia, noi custodi eravamo in mezzo ai
grandi draghi che aprirono le loro meravigliose ali e iniziarono a
suonare, Luca li accompagnò con l’armonica ed io con la voce.
L’alba boreale nacque da noi, i colori iniziarono a spargersi in
cielo, il mio canto li sfumava e creava un’esplosione di luce, la
musica creava atmosfera e infondeva la magia su tutto il mondo,
ricreando e rafforzando gli equilibri.
Quella sera io e mio figlio eravamo al lago, stavamo guardando un
bellissimo tramonto, dove il cielo aveva mille sfumature di rosa, un
fenomeno mai visto, tanto da parlarne anche nei telegiornali locali e
se quello che abbiamo raccontato, non sia poi tanto lontano dalla
verità? Che i draghi di Armonia stessero davvero muovendo le loro
ali, non per volare, ma per inviarci la loro magia? Ci siamo
divertiti a scrivere questo racconto, ringrazio Claudia che ogni
volta ci regala un piccolo spazio dove esprimere le nostre fantasie
su Armonia.
Grazie da Patrizia e Luca
Grazie a voi di aver partecipato e per averci regalato questo splendido racconto.
Claudia
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