Capitolo 1
Diana
si recò come ogni mattina ai recinti. Gli aquilupo non erano ancora
tornati, mancava ancora una settimana all'inizio della scuola. Per il
momento avrebbe dovuto prendersi cura degli animusi
da allevamento, ormai si erano già tutti svegliati dal letargo.
Quello
sarebbe stato il suo terzo anno di apprendistato. Sostituiva il
professor Rodolfo Accordi che era sempre più latitante. I Tecno gli
stavano alle calcagna, era stato costretto a ritirarsi dalla scuola e
si faceva vedere sempre più raramente. Ovviamente Diana non svolgeva
quel compito da sola, le lezioni scoperte erano state equamente
divise tra lei e Filippo.
Filippo.
Il solo pensare a lui le faceva stringere lo stomaco. Non perché gli
volesse un bene immenso e lui fosse un giovane terribilmente
attraente...
Sospirò,
beh, forse anche per quello, ma...
Durante
l'estate erano stati lontani per due mesi e le era mancato molto,
ma...
Quel
periodo di solitudine l'aveva aiutata a riflettere sul loro rapporto.
Quando era stata da sola si era sentita libera, era stato faticoso ed
estenuante in quegli ultimi anni cercare di non deludere le
aspettative del ragazzo. Troppe volte si era accorta di averlo ferito
senza averne l'intenzione, era fermamente convinta che sarebbe stato
molto più felice con un’altra ragazza meno complicata di lei.
Da
quando si erano rivisti, però, non riusciva più a pensare
lucidamente. Era tornata ad Armonia con la precisa intenzione di
lasciarlo definitivamente libero, ma...
Non
ci era ancora riuscita.
«Diana!»
Eccolo.
In
un attimo il giovane la raggiunse correndo e l'abbracciò
stringendola forte tra le sue braccia muscolose, appoggiò dolcemente
le labbra alle sue travolgendo completamente ogni suo pensiero
razionale e la benché minima intenzione di stargli lontano.
Era
sempre stato bello, ma lo era diventato ancora di più. I suoi dolci
occhi azzurri erano incorniciati dai capelli scuri che adesso portava
più lunghi e che crescendo si erano arricciati.
Diana
adorava passare la mano tra i suoi riccioli.
La
barba che portava sempre lunga di qualche giorno gli conferiva
un'aria più matura e nello stesso tempo un po' trasandata.
Rispecchiava perfettamente la sua personalità: un ragazzo molto
responsabile, ma sempre talmente indaffarato da non trovare il tempo
di farsi la barba.
«Allora?»
Filippo la allontanò appena tenendole il viso tra le mani, la scrutò
con dolcezza e con un pizzico di apprensione.
Diana
scosse la testa e abbassò lo sguardo, non voleva vedere la sua
delusione.
Poco
più di un mese prima, il loro ritrovarsi si era trasformato in un
momento particolarmente passionale e Diana aveva avuto un ritardo sul
ciclo. Filippo le aveva confessato che sperava intensamente che lei
fosse rimasta incinta, ma...
Non
era così.
Diana
temeva che quello fosse un segno del destino.
«Ehi.»
Filippo le alzò il mento e lei non scorse nessuna delusione nel suo
sguardo. «Non fa niente» sussurrò, poi le sorrise malizioso.
«Vorrà dire che ci riproveremo...»
Diana
arrossì e si allontanò appena da lui.
«Oggi
ti porto a Les
Musiciens»
disse Filippo soddisfatto, sapeva bene che lei amava molto la scuola
africana.
Diana
non poté fare a meno di farsi contagiare dal suo entusiasmo.
«Ora
devo andare, mi aspetta il signor Giorgio, dobbiamo lavorare con le
apescioline.» Le regalò ancora un bacio veloce. «Se fai la brava,
ti porto un po' di miele.» Le strizzò l'occhio e corse via.
Diana
scosse la testa divertita e proseguì verso le muccoche.
Aprì
il cancello della stalla ed entrò; c'erano cinque grandi e tozze
muccoche dal manto piumoso e pezzato. Di notte stavano dentro al
riparo, prima di liberarle nel prato cintato, dovevano essere munte.
In quel periodo in cui gli studenti non erano ancora arrivati, il
latte in eccesso veniva trasformato in formaggio.
Posizionò
i secchi sotto i loro addomi abbondanti, poi si sedette a gambe
incrociate sulla paglia e intonò il canto necessario a mungerle.
Mentre
suonava, si rilassò e poté permettere alla sua mente di vagare
libera.
Filippo
era fantastico, doveva ammetterlo e la faceva stare bene, ma...
C'era
sempre quel “ma” che la tormentava.
Dopo
la morte di Lili aveva continuato a stare male. Aveva smesso di
sentirsi responsabile e di desiderare di essere morta al posto suo.
Almeno
ci aveva provato razionalmente, ma la sensazione di malessere che
aveva dentro era rimasta a tormentarla.
Era
sempre vissuta prendendosi cura della sorella, mettendo le sue
esigenze davanti alle proprie, preoccupandosi solo ed esclusivamente
dei suoi problemi. Quando si era ritrovata a essere responsabile solo
di se stessa, aveva capito che non ne era capace.
Qual
era il suo scopo? Si era impegnata nella scuola con tutta se stessa,
poi si era diplomata e ora faceva del suo meglio per assolvere ogni
compito, ma non aveva ancora trovato un equilibrio emotivo.
Filippo
si era guadagnato a fatica la sua fiducia ed era diventato il suo
migliore amico, l'aveva aiutata a superare il lutto, con lui poteva
parlare di ogni cosa. Intanto, però aveva cominciato ad
abbracciarla, dirle che lei gli piaceva, a baciarla...
Anche
a lei piacevano sia lui che i suoi baci. Un giorno poi le aveva
chiesto di diventare la sua ragazza. “Non cambierà nulla tra noi”
l'aveva rassicurata, ma le cose erano lentamente cambiate.
Diana
aveva sempre concesso a Filippo tutto quello che lui le chiedeva, le
era sembrato naturale e giusto. Il suo nuovo scopo nella vita era
quello di rendere felice Filippo. Così le ripeteva lui, scherzando.
Lui
correva molto, parlava di matrimonio, figli... Mentre lei stava
cercando disperatamente di guadagnare tempo. Per quello Filippo aveva
sperato che lei fosse rimasta incinta, in modo da “spingerla” a
compiere quel passo che tanto la spaventava.
Ne
avevano parlato molte volte, perché prima di tutto Filippo era il
suo migliore amico. Lui era convinto che la sua paura fosse dovuta
alla poca fiducia che lei aveva nell'idea della famiglia. Il fatto di
essere cresciuta in un orfanotrofio di certo non aveva alimentato in
lei il naturale desiderio di ogni bambina di emulare la madre e di
avere una famiglia propria.
Il
problema non era solo quello. Purtroppo lei si sentiva egoista a
pretendere che Filippo stesse per sempre accanto a una creatura
tormentata come lei.
Ancora
non aveva capito come fosse stato possibile e per quale
incomprensibile ragione, il giovane e affascinante Filippo avesse
sempre preferito la sua compagnia a quella delle molte altre ragazze
della scuola. Non solo, ma continuava a ripeterle che lei era bella e
che l'amava.
Aveva
sempre creduto e temuto che un giorno o l'altro lui avrebbe
conosciuto una splendida ragazza “normale” e se ne sarebbe andato
via con lei.
Ma
non era ancora successo. E adesso lui voleva sposarla.
Anche
lei lo amava, ma non glielo aveva mai detto. Non era proprio sicura
che quel sentimento disperato che provava nei suoi confronti fosse
amore. Sapeva di stare bene con lui e che sarebbe morta dentro se lui
non le fosse stato accanto. Ma era quello l'amore? Diana non lo
sapeva. Le pareva più simile ad una forma di dipendenza e comunque
di un sentimento a senso unico.
Un
naso umido la riscosse dai suoi pensieri, era Poldo, il suo dolce e
morbido canorso.
«Ehi,
bel cucciolone.» Diana smise di suonare per le muccoche e fece le
coccole a Poldo.
I
secchi erano stracolmi di latte, pronti per essere portati alle
cucine. Poi, assieme al signor Giorgio, Diana avrebbe intonato il
canto trasformando così il latte in gustoso e fresco formaggio.
Cominciò
a portare i primi due secchi, arrivata alle cucine aveva le mani
doloranti.
«Oh,
aspetta ragazzina...» Appena la vide arrivare, il signor Giorgio le
si fece incontro per aiutarla, poi si rivolse a Filippo. «Ragazzo,
va' tu a prendere gli altri secchi.»
Diana
sorrise, anche se ormai erano adulti, lui continuava a chiamarli
“ragazzi” e a considerarli tali.
«Una
dolce signorina non dovrebbe affaticarsi in questo modo» la
rimproverò con affetto, poi le strizzò l'occhio. «Vieni, lasciamo
al tuo cavaliere il lavoro duro, intanto noi andiamo a divertirci...»
Diana
lo seguì all'interno delle cucine. Parevano più una sorta di
laboratorio. C'erano diversi piani di lavoro per le preparazioni e
una grande dispensa, l'angolo di cottura dove si accendeva il fuoco
magico veniva usato molto raramente, perché si potevano cuocere i
cibi usando le melodie necessarie.
Vide
che sugli scaffali erano allineate almeno due dozzine di barattoli di
miele e di marmellata.
Fece
un cenno di saluto alla signora Lucia, la moglie del signor Giorgio,
la quale stava suonando per impastare il pane.
Entrarono
in uno stanzino particolare che era riservato alla lavorazione del
formaggio. Versarono il latte in alcuni stampi preparati in
precedenza e poi intonarono la melodia necessaria per far cagliare il
latte. In men che non si dica il latte si rassodò e assunse
l'invitante aspetto di una bella formaggetta fresca. Soltanto una
forma venne portata in dispensa, le altre dovevano venire ancora
lavorate con la melodia per la stagionatura, così si sarebbero
conservate più a lungo.
Diana
adorava osservare come la Musicomagia
potesse agire sugli alimenti, sulle piante... Accelerava i processi
di crescita e di fioritura, di cottura e lievitazione.
Chissà
se c'era una melodia anche per accelerare la guarigione di un cuore
ferito?
Filippo
e Diana varcarono la porta verde nel pomeriggio e si trovarono a Les
Musicien.
Diana era felice per quella gita improvvisata, in realtà stavano
svolgendo una commissione per la professoressa Gloria Orchestri che
aveva chiesto a Filippo di portare dei documenti alla preside
Yamanuelle.
Giravano
molte voci su di lei, si diceva che fosse molto saggia e che avesse
il dono della preveggenza. Diana ne era molto incuriosita e non
vedeva l'ora di conoscerla, perché non ne aveva mai avuto
l'occasione.
L'ambientazione
della scuola africana era suggestiva, ma semplice. Non vi erano
grandi edifici come ad Armonia, ma tante piccole casette o capanne di
legno. La Sala Comune era costituita da una grande tettoia che veniva
chiamata la Grande Palma. La vegetazione era arida e brulla, un fiume
dalla scarsa portata scorreva pigro accanto ai recinti degli animusi.
Furono
accolti da un apprendista dalla pelle scura. «Ciao, Filippo» disse
con un forte accento francese.
I
due ragazzi si strinsero la mano, era evidente che si conoscevano.
Poi
Filippo si voltò verso di lei. «François, questa è la mia Diana.»
Sorrise raggiante.
Diana
arrossì e strinse imbarazzata la mano al giovane di colore, le dava
fastidio essere presentata come la “sua Diana”.
Furono
condotti nella capanna della preside, ma la donna non c'era. «La
preside ha detto di raggiungerla alle stalle» disse una giovane che
stava riordinando all'interno.
Diana
fu molto stupita nel vedere che la ragazza portava appeso alle spalle
un bambino piccolissimo, sicuramente non doveva avere più di qualche
mese. E la ragazza sembrava più giovane di lei.
Si
allontanarono, ma a Diana rimase addosso una sensazione di disagio.
Attraversarono
la zona degli alloggi che pareva proprio un piccolo villaggio.
Giunti
sulla riva del fiume, udirono una melodia e si avvicinarono.
La
donna era di spalle. Non era molto alta e aveva lunghi capelli
castani raccolti in una treccia che, scendendo sulla schiena,
dondolava appena.
François
la indicò con il mento, li salutò e sparì.
Diana
rimase per un attimo perplessa, la preside non era africana di
origine. Sebbene le sue braccia fossero dorate da un’abbronzatura
lieve, era sicuramente europea.
La
donna si voltò e loro rimasero senza fiato. Era bella, anche se il
suo viso aveva un'espressione austera. Possedeva il fascino di una
creatura divina e selvaggia. Nonostante sul suo viso fossero evidenti
le tracce lasciate dal tempo, tutto il suo essere emanava una grande
forza. I suoi occhi brillanti e azzurri sorrisero loro con
indulgenza.
Filippo
fu il primo a riscuotersi. «Buongiorno, preside Yamanuelle.» Si
schiarì la voce in imbarazzo.
Diana
ebbe l'impressione che il ragazzo non sapesse più il motivo della
loro visita.
In
effetti nemmeno lei lo ricordava, in quel momento provava un grande
desiderio di avvicinarsi alla donna, piangere tra le sue braccia e
lasciarsi consolare.
«Allora,
ragazzi» la sua voce era melodiosa e quel suo sguardo intenso aveva
qualcosa di familiare. «Mi avete portato i documenti» fece loro
notare, indicando la cartellina che aveva in mano Filippo.
Il
ragazzo si guardò perplesso le mani e poi gliela porse come in uno
stato di trance.
«Grazie
Filippo.» La donna si era avvicinata e il suo effetto si era
accentuato. «Ora va', raggiungi François» lo invitò. «Io e Diana
dobbiamo parlare.»
Filippo
annuì ancora imbambolato. Guardò appena Diana sorpreso e poi si
allontanò.
Solo
nel momento esatto in cui la preside lo aveva detto, Diana aveva
saputo che era proprio così. Doveva parlare con lei.
La
preside si incamminò lungo il corso del fiume e Diana la seguì. Si
sedettero su di un grande tronco abbattuto che fungeva da panca.
«Tu
temi di non poter concepire.» La donna le prese le mani.
Diana
annuì senza stupirsi di come potesse sapere.
«È
tutto nella tua mente» le spiegò. «Il tuo corpo non ha alcun
problema» la rassicurò.
Diana
sospirò di sollievo, ma allora che doveva fare?
«Devi
capirlo da sola, devi imparare ad amarti» le disse dolce. «Finché
non ti riterrai degna di essere amata da lui» aggiunse piano «non
guarirai.»
Degna
di essere amata. Sì, era proprio quello il punto. Lei non lo era
affatto. Poteva solo essere infinitamente grata a Filippo perché le
era stato accanto, ma lei non lo meritava e non poteva andare avanti
così.
Devi
capirlo da sola. Da sola... Quelle parole le si impressero nella
mente e nell'animo. Sentì che le stavano dando la forza per recidere
quel rapporto che lei non riusciva a troncare.
Poco
più tardi Diana si ritrovò ad Armonia senza nemmeno essersene resa
conto, stava accarezzando Furia.
Da
sola... Continuava a ripeterlo come un mantra.
«Allora
Diana?» Filippo era accanto a lei, non lo aveva proprio sentito
arrivare, o forse era rimasto con lei per tutto il tempo?
Si
sentiva estraniata, come le era capitato quando era morta Lili.
«Ascoltami
Diana» Filippo si frappose tra lei e Furia, le prese il viso tra le
mani accarezzandola dolcemente. «Qualsiasi cosa ti abbia detto, a me
non importa.»
Diana
non lo vedeva veramente, non lo sentiva. Sapeva che prima o poi
sarebbe dovuto succedere. Era necessario sciogliere il loro rapporto,
doveva farlo, anche se sarebbe stato terribilmente doloroso.
«Diana,
per favore» disse implorante. «Dimmi qualcosa...»
«Da
sola...» sussurrò appena.
Filippo
la guardò sconcertato, lo vide deglutire a fatica «Vuoi stare un
po' da sola?» chiese triste.
Diana
scosse la testa e, senza capire bene come, lo disse. «Filippo io
devo stare da sola...» Si voltò di lato perché non poteva guardare
il suo viso, si schiarì la voce che era suonata poco convincente
«Dobbiamo lasciarci.» Questa volta la sua voce risuonò ferma,
inamovibile, granitica.
Volete saperne di più?
Qui il link a un vecchio post.
E il link Amazon.
Claudia
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