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lunedì 16 luglio 2018

La Melodia Sibilante - terzo capitolo

Questo sarà l'ultimo capitolo che posterò pubblicamente sul blog.
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Capitolo 3

Il tempo è relativo e anche lo spazio.




Mentre tornavano alle camerate accompagnati da Filippo, Giulia, come d’abitudine, alzò lo sguardo verso il cielo divenuto sereno, era limpido e si vedevano una miriade di stelle. Cercò di orientarsi, ma non riuscì a trovare né l’Orsa Maggiore né Cassiopea e neppure la costellazione di Orione.
Com’è possibile?
Poi Giulia rientrò in camera con il suo piccolo nuovo amico Ciccio. Dopo aver ricevuto un altro bacio della buonanotte da Pietro, si infilò sotto le coperte per dormire quel poco di notte che restava.
Si addormentò con il cuore gonfio di mille emozioni e la mente affollata da dubbi e pensieri.

Quando venne data la sveglia, Giulia aveva dimenticato le sue perplessità. Una campanella cominciò a suonare brillanti rintocchi, dapprima distanziati nel tempo e poi sempre più ravvicinati, fino a diventare uno scampanellio quasi insopportabile. Impossibile che qualcuno in tutta la scuola non si fosse svegliato.
Appena Camilla si alzò, Giulia si precipitò nel suo letto, mostrandole il suo tenerissimo Ciccio. Le raccontò per filo e per segno tutto quello che era successo durante la notte.
«Siete usciti dalla finestra?» ripeté Camilla preoccupata. «Tutta la notte nelle stalle?» Non riusciva a crederci. «Per fortuna dormivo, altrimenti mi avreste trascinato con voi» concluse, accarezzando il morbidissimo topogallo. «Certo che ti ci sei già molto affezionata, io lo avrei lasciato nelle mani esperte di Filippo…»
Poco dopo, erano tutti di sotto nel prato, schierati come aveva detto la professoressa Diana, pronti per fare ginnastica. Era una bellissima giornata, anche se piuttosto fresca. Il cielo era blu, molto intenso e il dolcissimo profumo di rose aleggiava nell’aria. Giulia lo inspirò assaporandolo soddisfatta. Nessuno notò Ciccio che se ne stava ancora nascosto nella borsa porta uovo.
Quando ebbero finito, Giulia si sedette sul prato a gambe incrociate.
Sarà meglio suonare un po’ per Ciccio.
L’erba brillante era fresca e un po’ umida, ci adagiò dolcemente la sua borsa. Tirò fuori il flauto e, dopo le prime note, Ciccio uscì stiracchiandosi. Inevitabilmente, tutti i ragazzi si avvicinarono per vedere il primo cucciolo nato nel nuovo anno scolastico. Lei si sentiva tutti gli occhi addosso, ma non le dava nessun fastidio, anzi era molto orgogliosa del suo piccolino e di come si era comportata in quella situazione. Pietro le si avvicinò molto assonnato. Non le disse nulla, sorrise soltanto, grattò la testa a Ciccio e le lanciò uno sguardo complice e compiaciuto.
«Sto morendo di fame» sentenziò quando Giulia ebbe finito e si avviò verso la Sala Comune.

Fecero una ricca colazione, a base di latte fresco appena munto, fette tostate, marmellata e ogni tipo di frutta. Poi si recarono alla loro prima lezione: “Cura degli animusi”.
Filippo li aspettava sulla porta. Diede una grattatina a Ciccio e una carezza alle teste di Giulia e Pietro. C’era anche la professoressa Diana a dare loro una mano.
«Venite ragazzi. Vi divideremo in gruppi e svolgerete gli stessi lavori a rotazione.»
Giulia rimase con Camilla e altri due ragazzi, due gemelli biondi e lentigginosi. Dovettero occuparsi degli animusi da compagnia degli allievi più grandi.
«Durante la pausa estiva, i ragazzi lasciano i loro amici che trascorrono il periodo di chiusura in un lungo letargo» spiegò Filippo.
Quel pensiero contrariò molto Giulia.
Non mi separerò mai dal mio Ciccio.
Gli animusi da accudire erano suddivisi in tre diverse sale di pensione, una per ogni tipo, in modo che non si infastidissero. Giulia si infilò nella stanza dei topogalli; erano molto più grandi di Ciccio, all’incirca come un coniglietto. Correvano e svolazzavano da tutte le parti, avevano dei colori bellissimi, ogni esemplare aveva infinite sfumature.
«Si sono svegliati da poco e hanno bisogno di mangiare molto» spiegò Filippo. «Quindi mano ai flauti.»
Nel secondo turno furono accompagnati in un’ala della stalla e videro le muccoche.
«Sembrano ippopotami, vero?» disse piano Giulia a Pietro.
«Beh, a parte i piedi palmati e le piume» considerò lui.
«Le nostre amiche sono già state munte per voi a colazione, non potete suonare per loro, perché si nutrono di melodie in fa maggiore.» Filippo diede una pacca affettuosa alla grande schiena dell’animale. «Però potete raccogliere le loro piume e dividerle per colore e grandezza, poi le porterete ai laboratori. Le usiamo per imbottire coperte e giacconi oppure per riempire cuscini e materassi.»
Filippo si spostò di lato e permise al gruppo di sistemarsi in cerchio attorno a lui.
«Le muccoche sono in assoluto gli unici animusi che oltre alla musica mangiano anche del fieno, questo perché sono necessari i loro escrementi per concimare la terra dell’orto.» Qualcuno arricciò il naso. «Un altro compito, forse meno gradito, sarà proprio quello di raccoglierli e portarli con una carriola fino agli orti dal signor Giorgio.»
Nel turno successivo dovettero occuparsi delle gallicore. Erano buffe galline che al posto delle piume avevano una lanugine che ricordava quella delle pecore. Correvano di qua e di là facendo un gran chiasso.
«Un giorno vedremo come si tosano, ma per oggi dovrete raccogliere le uova che loro amano nascondere tra il fieno e poi portarle alle cucine.»
Si divertirono molto e terminarono il loro lavoro tutti ricoperti di fieno.
Un rintocco molto profondo di una grossa campana, annunciò che la lezione era terminata. Giulia, in effetti, si era chiesta come avrebbero fatto a rispettare l’orario, visto che erano privi di orologi. Tutti i loro oggetti elettronici erano rimasti in una stanza al di là della porta verde.
Si diressero verso l’aula uno, avevano lezione di “Teoria della Musicomagia” e Giulia era molto curiosa.
«Giulia!»
Si voltò, Pietro la stava chiamando con una nota di urgenza nella voce.
«Presto, corri!» Lo vide spuntare dalla porta delle stalle.
Corse verso di lui. «Che succede?»
La afferrò per la mano e la trascinò dentro, su un mucchio di fieno era appoggiato il suo uovo, già tutto venato.
«Sta per schiudersi.» Annunciò fiero e si gettò accanto all’uovo.
Con un vigoroso scricchiolio l’uovo si aprì a metà e videro una pallina di pelo color miele che si srotolava e allungava le sue zampette annusando l’aria tutto intorno.
«È un bellissimo canorso.» Filippo lo esaminò, aveva già denti aguzzi e artigli, ma teneva gli occhi chiusi e con quelle minuscole orecchie pareva una talpa. «È un maschio.»
«Tobi» annunciò Pietro orgoglioso, lo prese in mano per dargli un bacio sulla testa poi lo porse raggiante a Giulia e a Camilla che nel frattempo era arrivata.
Filippo gli diede alcuni consigli. «Fallo camminare fin da subito» si raccomandò. «Crescerà molto in fretta e non deve assolutamente abituarsi a essere portato in braccio.»
«Complimenti, è bellissimo» disse Giulia e anche Ciccio camminando sul suo braccio andò ad annusarlo per dargli il benvenuto.
Pietro era commosso, Giulia vide che aveva gli occhi lucidi, così si avvicinò. Le fece tenerezza, era raro vedere un ragazzo commuoversi. Capì che, dietro la facciata, doveva essere molto sensibile. Gli appoggiò la mano sul braccio, lui le sorrise un po’ in imbarazzo, ma poi allargò le braccia aspettando un abbraccio. Giulia non poté fare a meno di accettare l’invito, circondò il suo petto con un po’ di timidezza, ma lui la strinse vigorosamente ridendo e quasi la stritolò.
Giulia si sentiva il cuore gonfio di emozioni, poi si voltò verso Camilla e la incluse nell’abbraccio. «Adesso rimane il tuo uovo.»

Arrivarono all’aula uno per ultimi e si sedettero in fondo alla sala. Inaspettatamente trovarono ad attenderli la preside Orchestri anziché la professoressa Severini.
«Come ogni anno, avrò il piacere di introdurre io stessa la prima lezione di questa importante materia: Musicomagia» scandì fiera.
«Le azioni che riusciamo a fare con la musica del nostri flauti possono essere paragonate a incantesimi di magia» spiegò loro. «Innanzitutto imparerete il potere generale di ogni singola nota. In seguito, tante piccole melodie che possono essere utilizzate per svolgere i vostri primi compiti.»
Giulia era entusiasta.
«Stamattina, per esempio, avete visto le muccoche; imparerete un semplice brano per mungere il loro latte. Poi la melodia per macinare il grano e quella per accendere il fuoco» continuò. «Nel giro di un mese, sarete in grado di compiere i più semplici servizi e presto vi insegneremo come inviare una lettera scritta ai vostri familiari. Essenzialmente, con la Musicomagia, facciamo a meno di tutti i congegni tecnologici che inquinano la nostra concitata vita, sostituendoli con incantesimi dolci e musicali.»
Alle nove, nell’aula accanto, ancora la preside Orchestri, presentò lo studio della sua materia, “Uso coscienzioso della tecnologia” e ripeté in qualche modo gli stessi concetti.
«La tecnologia sta soffocando la creatività delle menti umane. Capirete come distinguere la tecnologia buona, dettata dal progresso e dal miglioramento delle condizioni di vita, da quella che sostituisce o limita l’uso dell’intelligenza e dell’immaginazione.»
Mentre si recavano nell’orto per la lezione di botanica con il signor Giorgio, Giulia restò silenziosa a pensare a quello che aveva ascoltato nelle lezioni teoriche. Le parole della preside l’avevano toccata profondamente e sentiva di condividerle a pieno. Ricordava alla vecchia scuola, come i ragazzi si parlassero solo inviandosi messaggi con il telefonino e di come non riuscissero più a comunicare faccia a faccia, soprattutto a proposito dei loro sentimenti. Una sua compagna era stata lasciata dal suo ragazzo via messaggio.
Che tristezza!
Guardò Pietro senza farsene accorgere, stava facendo le coccole al suo Tobi che spuntava dalla borsa.
Lui non avrebbe mai fatto una cosa del genere.
Lui era diverso dai ragazzi che aveva conosciuto fino ad allora.
Pietro alzò lo sguardo verso di lei e le sorrise. Giulia arrossì e tornò a guardare fisso davanti a sé.

Il signor Giorgio li condusse attraverso l’orto fino alla serra.
«Oggi proveremo a far nascere una margherita.»
Ognuno di loro ebbe un vaso con un semino.
«Dopo aver piantato il seme eseguirete questa semplice melodia.» Il signor Giorgio suono e una piccola piantina crebbe in modo strabiliante, il gambo si allungò e il fiore si schiuse.
I ragazzi rimasero senza fiato.
«Avanti, adesso provate voi
Camilla riuscì alla prima. «Bravissima, Camilla» si complimentò il signor Giorgio.
Anche Giulia riuscì, ma sbagliò qualche nota e il suo fiore crebbe un po’ curvo. Pietro fu un vero disastro, stava pensando alla lezione successiva: pattinaggio, così fece crescere troppo il gambo che si curvò e appassì senza neanche fiorire. I due gemelli lentigginosi fecero nascere due fiori sullo stesso gambo. Mentre Marco, il compagno di stanza di Pietro, fece sbocciare il fiore prima di far cresce il gambo.
«Complimenti a tutti, non dovete scoraggiarvi, in fondo è solo il primo giorno!»
Già, questo giorno sembra non finire mai… È ancora mattina?

La lezione di pattinaggio non fu poi così tragica come aveva temuto Pietro. La professoressa Diana li divise in due gruppi. «Chi sa già pattinare da questa parte. Gli altri stiano ben attaccati alla ringhiera. Per oggi dovrete semplicemente camminare senza cadere cercando di sollevare il più possibile i piedi da terra.»
Pietro guardò le ragazze con aria terrorizzata.
Poi la professoressa si rivolse al gruppo dei più esperti, tra cui c’erano Giulia e Camilla. «Vi insegnerò come partire velocemente da fermi da un punto qualsiasi della pista e come fermarsi completamente, pur procedendo a velocità elevata. Naturalmente dovrete indossare tutti protezioni e caschi.» Qualcuno tornò allo sgabuzzino. «Per bloccare la vostra corsa, dovete fare una mezza piroetta e mettere un pattino di traverso, così.»
Mostrò loro l’esercizio e i ragazzi iniziarono a provare. Ci furono molte cadute. Giulia possedeva un grande equilibrio e riuscì con facilità a imparare il meccanismo della frenata.
Alla fine della lezione la professoressa li richiamò. «Ora faremo una gara di velocità. Schieratevi qui.»
I ragazzi si prepararono.
«Pronti, via!»
Giulia partì, sfrecciò via velocemente e stracciò tutti, battendo il secondo di mezzo giro.
«Sembra che Giulia voli sulla pista!» commentò la professoressa Diana ammirata.
La preside Orchestri li attendeva nella sala musica numero uno. Fortunatamente era vicino al campo sportivo.
«Sono stanchissimo e ho un mal di gambe terribile.» Pietro si lamentò per tutto il tragitto.
Comunque anche Giulia fu felice di sedersi, era incredibile come una sola ora di pattinaggio le fosse parsa così lunga.
Impararono due brevi melodie da suonare ai loro animusi. Tutti sapevano suonare il flauto, ma alcuni non riuscivano a leggere la musica. Anche Giulia faceva confusione con la lettura delle note.
«Ti consiglio di frequentare il corso di recupero con la professoressa Serverini nel tardo pomeriggio» le disse la preside.

A pranzo si abbuffarono tutti quanti, sembravano reduci da un naufragio. Dopo mangiato, andarono sul prato grande a suonare per i loro piccoli amici e a riposarsi.
Finalmente era si è fatto più caldo, stamattina invece l’aria era già molto fredda, per essere ancora a settembre.
Ciccio si addormentò sazio e beato sulla pancia di Giulia che si sdraiò. Osservò il cielo, era di un azzurro intenso, molto scuro per la verità, ma il sole era strano. Nonostante fosse luminoso da non riuscire a guardarlo, sembrava più piccolo e la sua luce azzurrina.
«Fate largo.» Pietro si infilò prepotentemente tra le due ragazze sdraiate, portava in braccio il suo Tobi, lo sistemò sul suo petto e si sdraiò anche lui. Poi infilò le sue braccia sotto le loro teste appoggiate sul prato e le abbracciò. «Come stanno le mie ragazze?» Sorrise impertinente.
Giulia e Camilla si voltarono a guardarlo indispettite. «Che dici?» Camilla gli mollò una gomitata, mentre Giulia scosse la testa esasperata.
Lui rise divertito e regalò loro un bacio sulla guancia. «Vi prego non fatemi del male!» recitò disperato. «Sono stanco morto, non credo che arriverò alla fine della giornata.» E fece finta di svenire senza più muoversi.
Anche Giulia era stanca.
È bello ricevere tutte queste coccole…
Chiuse gli occhi e sprofondò in un piacevole torpore.

«Giulia! Pietro!» La voce di Camilla allarmata li costrinse ad aprire gli occhi e ad alzarsi. Giulia si rese conto imbarazzata che si erano addormentati abbracciati.
«L’uovo!» Finalmente anche l’uovo di Camilla stava per schiudersi.
«Presto, andiamo da Filippo.» I tre ragazzi si diressero di corsa verso le stalle.
All’interno c’era buio e ci volle un po’ perché i loro occhi si abituassero alla penombra. Sopra un mucchio di fieno videro una sagoma, si avvicinarono e scoprirono che era Filippo che dormiva. Provarono a chiamarlo e a scuoterlo leggermente, ma sembrava profondamente addormentato. Giulia ripensò alla notte precedente che il professore aveva passato nelle stalle a lavorare e quella mattina molto presto, era già in piedi, per mungere e nutrire le muccoche.
«Possiamo cavarcela da soli» disse sicura di sé. «Non preoccuparti Camilla. Ti aiutiamo noi.» Guardò Pietro in cerca di una conferma.
Il ragazzo annuì con fare rassicurante.
Appoggiarono l’uovo di Camilla sul fieno e rimasero ad aspettare. Si crearono varie spaccature e si intravide un piccolo batuffolo nero che spuntava. Allungò le zampette dietro, la testa spuntò da un altro buchetto, anche quel piccolo sembrava essere rimasto incastrato. Succedeva spesso, le aveva spiegato Filippo, perché i gusci degli animusi tutto sommato erano piuttosto resistenti.
Senza farsi prendere dal panico, Giulia suonò la stessa canzoncina con le note acute che aveva usato con Ciccio. Pietro e Camilla la seguirono copiando la posizione delle dita sul suo flauto.
Dopo pochi minuti, un piccolo gattufo con grandi occhi gialli si liberava dell’ultimo pezzo di uovo che gli era rimasto sulla testa come cappello.
Camilla smise di suonare, allungò le braccia e strinse a sé l’animale. «Che bella!»
«È una femmina?» chiese sorpresa Giulia.
«Sì, vedi? Ha la punta della coda bianca» spiegò Camilla. «Anche mia mamma ne aveva una, i maschi invece sono sempre tutti neri, la chiamerò Sofi.»
In quel momento il professore si svegliò alzandosi rapidamente un po’ allarmato e confuso. «Che succede? Scusatemi ragazzi, devo essermi appisolato…»
«Non ti preoccupare, è nata una bella gattufo» raccontò Giulia. Poi lo guardò: aveva un’aria stravolta. «Tu lavori troppo» lo rimproverò sorridendogli. «E noi ti aiuteremo.»
Giulia era contenta e fiera di come se l’erano cavata, di slancio abbracciò Filippo che ricambiò e si grattò la testa imbarazzato.
«E va bene, mi farò aiutare da voi.» Filippo sorrise. «Vi siete guadagnati il posto di aiutanti. Venite con me.»
I ragazzi lo seguirono entusiasti.
«Mi aiuterete con le muccoche e le gallicore. Questi compiti solitamente sono svolti dai ragazzi più grandi, ma voi siete davvero in gamba e sarete sicuramente all’altezza.»
Ciccio e Tobi uscirono per conoscere la loro nuova amica. Si annusarono, poi Ciccio si arrampicò sulla schiena di Tobi che correva felice di qua e di là, senza accorgersi del passeggero clandestino. I ragazzi risero divertiti.
Poco dopo arrivarono tutti gli altri ragazzi, le lezioni riprendevano nuovamente con “Cura degli animusi”. Così Filippo li divise ancora in gruppi, ma portò Giulia e Pietro in un’altra stanza, lasciarono Camilla a prendersi cura della sua piccola amica.
«Come vi dicevo stamattina» spiegò Filippo «questi animusi hanno bisogno di melodie in fa maggiore, quindi con il si bemolle in chiave.» Guardò i ragazzi. «Voi conoscete la posizione per il si bemolle sul flauto?»
I ragazzi annuirono, mostro loro come eseguire soltanto la scala dal fa basso fino al fa alto, sostituendo il si con il si bemolle. Giulia e Pietro provarono un paio di volte, appena si sentirono sicuri cominciarono il lavoro.
Gli animusi pascolavano all’esterno in un recinto che dava verso l’orto. Al rintocco della grande campana i due ragazzi si scambiarono un’occhiata d’intesa. Avevano la gola secca per il gran suonare, ma si sentivano molto soddisfatti.

Si affrettarono a raggiungere gli altri nell’aula uno. La professoressa Severini li aspettava per la prima lezione di “Storia della Musicomagia”.
«Le origini della Musicomagia si confondono con la storia della musica stessa» spiegò loro. «Lentamente i primi uomini costruirono degli strumenti per imitare i suoni della natura e si accorsero che la musica riusciva a toccare la loro anima procurando un grande senso di benessere.»
«Troppo noiosa la professoressa...» si lamentò Pietro mentre uscivano dall’aula. «Davvero, sono stato costretto a schiacciare un pisolino.»

«Oggi impareremo una melodia per modellare il legno.» Poco dopo erano già tutti seduti nei laboratori artigianali ad ascoltare il signor Giorgio. «Costruirete una cuccia per il vostro piccolo animusi.»
Prima ascoltarono e impararono il semplice brano musicale. «Adesso immaginate esattamente quello che volete creare e poi prendete un pezzo di legno ciascuno.»
Il signor Giorgio mostrò gli effetti dell’incantesimo. Mentre suonava il flauto, il ceppo levitò e iniziò a vibrare. I suoi contorni si fecero sfocati e sotto gli occhi increduli dei ragazzi si trasformò in una piccola casetta di legno.
Anche quella volta Camilla non ebbe problemi e fece una graziosissima casetta con un buco tondo e un piccolo cuoricino intagliato sul tetto.
Pietro riuscì abilmente a sagomare il suo tronco a forma di cesto per il suo Tobi.
Giulia invece si trovò in difficoltà, avrebbe voluto fare una specie di piccolo nido da appendere, ma assottigliò troppo il legno che si spaccò a metà. Si sentì molto contrariata.
Povero Ciccio, rimarrà senza un nido.
Si alzò per accantonare il suo pasticcio, ma Pietro la fermò e si sedette accanto a lei.
«Aspetta, si può riparare» le disse dolcemente e suonò la melodia che avevano appena imparato. Abilmente, riuscì a modellare il legno ed eseguire esattamente ciò che Giulia aveva in mente.
«Grazie!» Giulia gli sorrise. Si sentiva strana, perché a lei solitamente non piaceva per niente farsi aiutare, ma Pietro aveva un modo di fare molto dolce. Non la faceva sentire inferiore, anzi era come se pensasse che fosse lei a fargli un favore, permettendogli di aiutarla. «Grazie anche da parte di Ciccio» aggiunse.
Sentendosi nominato, il piccolo batuffolino trotterellò fuori dalla borsa porta uovo e si avvicinò alla guancia di Pietro dandogli una leccatina con un leggero squittio.
La lezione successiva, “Studio degli animusi”, toccò ancora all’instancabile Filippo. «I primi Musimaghi, con una difficilissima e potentissima musica magica, crearono gli animusi da allevamento. Unirono in ogni esemplare le caratteristiche di due normali animali. Le muccoche, per esempio, sono frutto dell’unione magica tra le bellissime oche dal bianco manto piumoso e le prolifiche mucche da latte. In questo modo si ottengono i doni dei due importanti animali, da un’unica e utilissima creatura.»
Il rintocco della grande campana fu seguito dai piccoli e brillanti suoni della campanella della sveglia: le lezioni erano finite.
Andarono a mangiare della gustosa frutta dell’orto per lo spuntino. Giulia era stanca e un po’ frastornata dalle tante nozioni e informazioni così insolite che aveva immagazzinato. Quella scuola era veramente pazzesca, inoltre c’era quella costante sensazione di dilatazione del tempo. Ogni lezione durava mezz’ora sulla carta, ma sembrava sempre molto più lunga.
«Allora adesso cosa facciamo? Andiamo di nuovo ad aiutare Filippo?» Pietro si era un po’ ripreso, quando c’erano di mezzo gli animusi il suo entusiasmo saliva alle stelle.
«Io andrò a Pallasuono» dichiarò Giulia, era un po’ indecisa, perché in cuor suo avrebbe voluto andare anche lei dagli animusi, con Pietro… La Pallasuono, però, la incuriosiva, così si decise.
Camilla le aveva anticipato che assomigliava alla pallavolo, ma si giocava con una palla incantata, più piccola e leggera che si doveva guidare con il flauto. Non vedeva l’ora di provare.
«Ancora sport!» si lamentò Pietro. «No, io vado da Filippo.»
«Intanto la Pallasuono è solo per le femmine» spiegò Camilla. «Se proprio vuoi» disse divertita «più tardi c’è il Tornado che è riservato ai maschi. E sai? Si gioca sui pattini!» scherzò.
«Allora mi volete morto!» disse tragicamente fingendo di cadere, come se gli avessero sparato.
«Che pagliaccio!» Camilla scosse la testa.
«Sui pattini? Perché è riservato ai maschi?» chiese Giulia indispettita.
«Mah… Non so, mia mamma diceva che è uno sport un po’ duro» disse Camilla. «Credo che sia ritenuto troppo violento per le femmine.»
Giulia non rispose, ma si sentì infastidita, non sopportava quando c’era qualche discriminazione. Era profondamente convinta che una ragazza in gamba potesse fare le stesse cose di un ragazzo.

Si recarono al campo sportivo.
«Io, per questo primo allenamento, rimarrò a guardare.» Camilla si accomodò sulle gradinate.
Giulia era curiosissima di come si potesse giocare a pallavolo con il flauto, la salutò e corse verso il centro del campo.
Erano cinque ragazze, ovviamente tutte del primo anno, perché le allieve più grandi sarebbero arrivate il giorno dopo. Oltre a Giulia e a Valeria che aveva già conosciuto, c’era Laura, che sembrava la sua ombra, poi due cugine, Maria e Lucia, capelli castani lisci a caschetto, un po’ grassottelle, sembravano due gemelle.
«Conoscete tutte la pallavolo tradizionale?» chiese la professoressa Diana.
Le ragazze annuirono.
«Bene, allora oggi e domani lavoreremo sui fondamentali della Pallasuono con la Musicomagia
Presero i loro flauti.
«Indossate questo guanto nella mano sinistra, servirà per non farlo scivolare durante il gioco.»
Giulia vide che il guanto fissava il flauto alla mano, ma non dava nessun fastidio.
«Cominceremo con la battuta: do alto per quella a campana, mentre il re alto per quella tesa. A turno, una batte e le altre dall’altra parte ricevono con il do basso, ma prima dovrete spostarvi per avere la sfera ben posizionata davanti a voi.»
Provarono con buoni risultati per la battuta, mentre la ricezione si rivelò più complicata del previsto, non era facile correre con il flauto ed emettere una nota bassa con il fiatone.
«È stato fantastico! Mi sono divertita da morire.» Finito l’allenamento Giulia aveva raggiunto Camilla. «Dai, devi provare anche tu!»
«Va bene, ti prometto che domani farò una prova» promise l’amica.

Come le aveva consigliato la preside Orchestri, Giulia si recò alla lezione di recupero con la professoressa Severini. Camilla non ne aveva bisogno, aveva studiato due anni pianoforte, così fece un salto alla serra.
Giulia raggiunse poi Pietro da Filippo. Entrambi la accolsero con molto entusiasmo e Giulia si sentì felice e a suo agio come non le capitava da tempo.
Filippo li portò a vedere i cavalfanti, erano due enormi cavalli con tozze gambe da elefante. «Sono animali docili, ma fortissimi. Essendo così alti, però, sono pericolosi, perché a volte possono schiacciare qualcuno senza neanche accorgersene.»
Insegnò ai ragazzi come strigliarli a mano, finché non avrebbero imparato qualche melodia in sol maggiore.

Quando i due rintocchi profondi della campana della cena risuonarono nell’aria, i ragazzi faticarono ad arrivare alla Sala Comune. Giulia era esausta, considerando che la notte prima, (era solo la notte prima?) non aveva dormito molto, si stupì di riuscire a stare ancora in piedi. A tavola c’era molto silenzio. Tutti terminarono la loro minestra di fagioli, mangiarono la focaccia di sesamo e andarono dritti in camera a prepararsi per la notte. Buona parte delle uova si era ormai schiusa e le borse contenevano quasi tutte i nuovi cuccioli.
Il cielo stava diventando scuro, viola scuro. Giulia provò ancora quella strana sensazione di estraneità. Dopo essersi messa il pigiama ed essere tornata dai bagni si affacciò alla finestra. Pietro aveva promesso che sarebbe andato ad augurare buonanotte alle “sue ragazze”.
Infatti arrivò. Giulia gli sorrise, si stava affezionando a lui, era così espansivo e riusciva sempre a farla sorridere.
In quel momento, dietro a Pietro, vide nel cielo qualcosa che le fece sgranare gli occhi, rimase decisamente scioccata.
La luna che splendeva in cielo era troppo piccola e verdina, ma non solo. Un’altra luna, invece molto più grande stava sorgendo, spuntando dalla collina ed era inequivocabilmente rossa.
Giulia rimase bloccata con il respiro a metà.
«Che ti prende?» disse Pietro preoccupato. «Va beh che sono così splendido da lasciar tutte le ragazze a bocca aperta…» scherzò poco convinto. Seguì il suo sguardo, si voltò e allora capì.
Si avvicinò a Giulia e la scosse. «Vieni andiamo dalla preside Orchestri.» Lanciò uno sguardo a Camilla. «Mi aveva detto di portarla da lei, appena si fosse accorta…» e indicò le lune.
Giulia si lasciò condurre, un’altra volta, sul terrazzo e giù per le scale, fino all’ufficio della preside.

La preside la fece accomodare e le fece bere una tisana.
«Potresti gentilmente dare a Giulia la tua giacca in modo che possa stare più calda?» chiese a Pietro.
Giulia si sentiva come se stesse guardando la scena dall’esterno, una parte di lei era spaventata e incredula, l’altra invece trovava una conferma delle sue sensazioni.
«Come ormai avrai intuito» esordì la preside «Armonia non si trova sulla Terra, ma su di un pianeta lontano con due lune e che orbita attorno a una grande stella, una “gigante azzurra”» raccontò con voce pacata. «Questo sole sembra più piccolo perché effettivamente la distanza che lo separa da noi è maggiore rispetto a quella tra la Terra e il Sole.»
La preside riempì nuovamente la tazza di Giulia e fece una pausa forse per darle il tempo di metabolizzare tutte quelle notizie. «La porta verde è un portale interdimensionale attivato da una melodia a infrasuoni che l’orecchio umano non può udire. Le giornate durano molto di più, quasi il doppio e le stagioni sono invertite rispetto alla zona della Terra da cui proveniamo noi, infatti adesso è quasi primavera e l’inverno stava finendo. Le altre scuole sono distribuite tutte su questo pianeta e hanno accessi simili alla nostra porta verde, in altri paesi, in altre Fattorie Muse sparse sulla Terra.»
Giulia rimase un po’ senza parlare. Pietro le circondò le spalle con il braccio e cercò di scuoterla. Dopo aver bevuto la sua seconda tazza di tisana, lentamente ritornò in sé, ma l’unica cosa che si sentì di chiedere alla preside Orchestri fu: «Perché non me lo avete detto subito?» La sua voce era appena un sussurro.
La preside spiegò. «Preferiamo che gli studenti se ne rendano conto da soli, per poi dar loro tutte le spiegazioni, quando la loro coscienza ha già cominciato a intuire qualcosa.»
Dopo un po’ di silenzio la preside li congedò. «Caro Pietro, potresti gentilmente accompagnare Giulia nella sua stanza?» Poi li rassicurò: «Domani, dopo averci dormito sopra, starà molto meglio.»
Giulia percorse la strada fino alla sua stanza sentendosi spersa. Immaginava di essere su di un minuscolo pianeta lontanissimo dalla Terra e da tutto ciò che conosceva, il braccio di Pietro sembrava l’unica cosa reale e concreta a cui aggrapparsi.
Come in un sogno salì le scale. Camilla, per combinazione, dormiva della grossa, così Pietro fu costretto a infrangere la regola, secondo la quale i maschi non potevano entrare nelle camere delle femmine, e varcò la soglia proibita della finestra.
La fece sdraiare e le si sedette accanto. «Va tutto bene» le sussurrò dolcemente. «Non devi preoccuparti di nulla.»
Ciccio, che era rimasto sul letto nella borsa, uscì immediatamente e si sistemò a dormire sul cuscino, vicino alla guancia di Giulia. Pietro rimase con lei finché non si addormentò, lasciandogli finalmente il braccio.

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