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Capitolo 3
Il tempo è relativo e anche lo spazio.
Mentre
tornavano alle camerate accompagnati da Filippo, Giulia, come
d’abitudine, alzò lo sguardo verso il cielo divenuto sereno, era
limpido e si vedevano una miriade di stelle. Cercò di orientarsi, ma
non riuscì a trovare né l’Orsa Maggiore né Cassiopea e neppure
la costellazione di Orione.
Com’è possibile?
Poi
Giulia rientrò
in camera con il suo piccolo nuovo amico Ciccio. Dopo aver ricevuto
un altro bacio della buonanotte da Pietro, si infilò sotto le
coperte per dormire quel poco di notte che restava.
Si addormentò con il cuore
gonfio di mille emozioni e la mente affollata da dubbi e pensieri.
Quando venne data la sveglia,
Giulia aveva dimenticato le sue perplessità. Una campanella cominciò
a suonare brillanti rintocchi, dapprima distanziati nel tempo e poi
sempre più ravvicinati, fino a diventare uno scampanellio quasi
insopportabile. Impossibile che qualcuno in tutta la scuola non si
fosse svegliato.
Appena Camilla si alzò,
Giulia si precipitò nel suo letto, mostrandole il suo tenerissimo
Ciccio. Le raccontò per filo e per segno tutto quello che era
successo durante la notte.
«Siete usciti dalla
finestra?» ripeté Camilla preoccupata. «Tutta la notte nelle
stalle?» Non riusciva a crederci. «Per fortuna dormivo, altrimenti
mi avreste trascinato con voi» concluse, accarezzando il
morbidissimo topogallo. «Certo che ti ci sei già molto affezionata,
io lo avrei lasciato nelle mani esperte di Filippo…»
Poco
dopo, erano tutti di sotto nel prato, schierati come aveva detto la
professoressa Diana, pronti per fare ginnastica. Era una bellissima
giornata, anche se piuttosto fresca. Il cielo era blu, molto intenso
e il dolcissimo profumo di rose aleggiava nell’aria. Giulia lo
inspirò assaporandolo soddisfatta. Nessuno notò Ciccio che se ne
stava ancora nascosto nella borsa porta uovo.
Quando
ebbero finito, Giulia si sedette sul prato a gambe incrociate.
Sarà
meglio suonare un po’ per Ciccio.
L’erba
brillante era fresca e un po’ umida, ci adagiò dolcemente la sua
borsa. Tirò fuori il flauto e, dopo le prime note, Ciccio uscì
stiracchiandosi. Inevitabilmente, tutti i ragazzi si avvicinarono per
vedere il primo cucciolo nato nel nuovo anno scolastico. Lei si
sentiva tutti gli occhi addosso, ma non le dava nessun fastidio, anzi
era molto orgogliosa del suo piccolino e di come si era comportata in
quella situazione. Pietro le si avvicinò molto assonnato. Non le
disse nulla, sorrise soltanto, grattò la testa a Ciccio e le lanciò
uno sguardo complice e compiaciuto.
«Sto
morendo di fame» sentenziò quando Giulia ebbe finito e si avviò
verso la Sala Comune.
Fecero
una ricca colazione, a base di latte fresco appena munto, fette
tostate, marmellata e ogni tipo di frutta. Poi si recarono alla loro
prima lezione: “Cura
degli animusi”.
Filippo
li aspettava sulla porta. Diede una grattatina a Ciccio e una carezza
alle teste di Giulia e Pietro. C’era anche la professoressa Diana a
dare loro una mano.
«Venite
ragazzi. Vi divideremo in gruppi e svolgerete gli stessi lavori a
rotazione.»
Giulia
rimase con Camilla e altri due ragazzi, due gemelli biondi e
lentigginosi. Dovettero occuparsi degli animusi
da compagnia degli allievi più grandi.
«Durante
la pausa estiva, i ragazzi lasciano i loro amici che trascorrono il
periodo di chiusura in un lungo letargo»
spiegò Filippo.
Quel
pensiero contrariò molto Giulia.
Non
mi separerò mai dal mio Ciccio.
Gli
animusi
da accudire erano suddivisi in tre diverse sale di pensione, una per
ogni tipo, in modo che non si infastidissero. Giulia si infilò nella
stanza dei topogalli; erano molto più grandi di Ciccio, all’incirca
come un coniglietto. Correvano e svolazzavano da tutte le parti,
avevano dei colori bellissimi, ogni esemplare aveva infinite
sfumature.
«Si
sono svegliati da poco e hanno bisogno di mangiare
molto» spiegò Filippo.
«Quindi mano ai flauti.»
Nel
secondo turno furono accompagnati in un’ala della stalla e videro
le muccoche.
«Sembrano
ippopotami, vero?» disse piano Giulia a Pietro.
«Beh,
a parte i piedi palmati e le piume» considerò lui.
«Le
nostre amiche sono già state munte per voi a colazione, non potete
suonare per loro, perché si nutrono di melodie in fa maggiore.»
Filippo diede una pacca affettuosa alla grande schiena dell’animale.
«Però potete raccogliere le loro piume e dividerle per colore e
grandezza, poi le porterete ai laboratori. Le usiamo per imbottire
coperte e giacconi oppure per riempire cuscini e materassi.»
Filippo
si spostò di lato e permise al gruppo di sistemarsi in cerchio
attorno a lui.
«Le
muccoche sono in assoluto gli unici animusi
che oltre alla musica mangiano anche del fieno, questo perché sono
necessari i loro escrementi per concimare la terra dell’orto.»
Qualcuno arricciò il naso. «Un
altro compito, forse meno gradito, sarà proprio quello di
raccoglierli e portarli con una carriola fino agli orti dal signor
Giorgio.»
Nel
turno successivo dovettero occuparsi delle gallicore. Erano buffe
galline che al posto delle piume avevano una lanugine che ricordava
quella delle pecore. Correvano di qua e di là facendo un gran
chiasso.
«Un
giorno vedremo come si tosano, ma per oggi dovrete raccogliere le
uova che loro amano nascondere tra il fieno e poi portarle alle
cucine.»
Si
divertirono molto e terminarono il loro lavoro tutti ricoperti di
fieno.
Un
rintocco molto profondo di una grossa campana, annunciò che la
lezione era terminata. Giulia, in effetti, si era chiesta come
avrebbero fatto a rispettare l’orario, visto che erano privi di
orologi. Tutti i loro oggetti elettronici erano rimasti in una stanza
al di là della porta verde.
Si
diressero verso l’aula uno, avevano lezione di “Teoria
della Musicomagia” e
Giulia era
molto curiosa.
«Giulia!»
Si
voltò, Pietro la stava chiamando con una nota di urgenza nella voce.
«Presto,
corri!» Lo vide spuntare dalla porta delle stalle.
Corse
verso di lui. «Che succede?»
La
afferrò per la mano e la trascinò dentro, su un mucchio di fieno
era appoggiato il suo uovo, già tutto venato.
«Sta
per schiudersi.» Annunciò fiero e si gettò accanto all’uovo.
Con
un vigoroso scricchiolio l’uovo si aprì a metà e videro una
pallina di pelo color miele che si srotolava e allungava le sue
zampette annusando l’aria tutto intorno.
«È
un bellissimo canorso.» Filippo lo esaminò, aveva già denti aguzzi
e artigli, ma teneva gli occhi chiusi e con quelle minuscole orecchie
pareva una talpa. «È
un maschio.»
«Tobi»
annunciò Pietro orgoglioso, lo prese in mano per dargli un bacio
sulla testa poi lo porse raggiante a Giulia e a Camilla che nel
frattempo era arrivata.
Filippo
gli diede alcuni consigli. «Fallo
camminare fin da subito»
si raccomandò. «Crescerà molto in fretta e non deve assolutamente
abituarsi a essere portato in braccio.»
«Complimenti,
è bellissimo» disse Giulia e anche Ciccio camminando sul suo
braccio andò ad annusarlo per dargli il benvenuto.
Pietro
era commosso, Giulia vide che aveva gli occhi lucidi, così si
avvicinò. Le fece tenerezza, era raro vedere un ragazzo commuoversi.
Capì che, dietro la facciata, doveva essere molto sensibile. Gli
appoggiò la mano sul braccio, lui le sorrise un po’ in imbarazzo,
ma poi allargò le braccia aspettando un abbraccio. Giulia non poté
fare a meno di accettare l’invito, circondò il suo petto con un
po’ di timidezza, ma lui la strinse vigorosamente ridendo e quasi
la stritolò.
Giulia
si sentiva il cuore gonfio di emozioni, poi si voltò verso Camilla e
la incluse nell’abbraccio. «Adesso rimane il tuo uovo.»
Arrivarono
all’aula uno per ultimi e si sedettero in fondo alla sala.
Inaspettatamente trovarono ad attenderli la preside Orchestri anziché
la professoressa Severini.
«Come
ogni anno, avrò il piacere di introdurre io stessa la prima lezione
di questa importante materia: Musicomagia»
scandì fiera.
«Le
azioni che riusciamo a fare con la musica del nostri flauti possono
essere paragonate a incantesimi di magia»
spiegò loro.
«Innanzitutto
imparerete il potere generale di ogni singola nota. In seguito, tante
piccole melodie che possono essere utilizzate per svolgere i vostri
primi compiti.»
Giulia
era entusiasta.
«Stamattina,
per esempio, avete visto le muccoche; imparerete un semplice brano
per mungere il loro latte. Poi la melodia per macinare il grano e
quella per accendere il fuoco» continuò. «Nel giro di un mese,
sarete in grado di compiere i più semplici servizi e presto vi
insegneremo come inviare una lettera scritta ai vostri familiari.
Essenzialmente, con la Musicomagia,
facciamo a meno di tutti i congegni tecnologici che inquinano la
nostra concitata vita, sostituendoli con incantesimi dolci e
musicali.»
Alle
nove, nell’aula accanto, ancora la preside Orchestri, presentò lo
studio della sua materia, “Uso
coscienzioso della tecnologia”
e ripeté in qualche modo gli stessi concetti.
«La
tecnologia sta soffocando la creatività delle menti umane. Capirete
come distinguere la tecnologia buona, dettata dal progresso e dal
miglioramento delle condizioni di vita, da quella che sostituisce o
limita l’uso dell’intelligenza e dell’immaginazione.»
Mentre
si recavano nell’orto per la lezione di botanica con il signor
Giorgio, Giulia restò silenziosa a pensare a quello che aveva
ascoltato nelle lezioni teoriche. Le parole della preside l’avevano
toccata profondamente e sentiva di condividerle a pieno. Ricordava
alla vecchia scuola, come i ragazzi si parlassero solo inviandosi
messaggi con il telefonino e di come non riuscissero più a
comunicare faccia a faccia, soprattutto a proposito dei loro
sentimenti. Una sua compagna era stata lasciata dal suo ragazzo via
messaggio.
Che
tristezza!
Guardò
Pietro senza farsene accorgere, stava facendo le coccole al suo Tobi
che spuntava dalla borsa.
Lui
non avrebbe mai fatto una cosa del genere.
Lui
era diverso dai ragazzi che aveva conosciuto fino ad allora.
Pietro
alzò lo sguardo verso di lei e le sorrise. Giulia arrossì e tornò
a guardare fisso davanti a sé.
Il
signor Giorgio li condusse attraverso l’orto fino alla serra.
«Oggi
proveremo a far nascere una margherita.»
Ognuno
di loro ebbe un vaso con un semino.
«Dopo
aver piantato il seme eseguirete questa semplice melodia.»
Il signor Giorgio suono e una piccola piantina crebbe in modo
strabiliante, il gambo si allungò e il fiore si schiuse.
I
ragazzi rimasero senza fiato.
«Avanti,
adesso
provate
voi.»
Camilla
riuscì alla prima. «Bravissima,
Camilla» si complimentò il
signor Giorgio.
Anche
Giulia riuscì, ma sbagliò qualche nota e il suo fiore crebbe un po’
curvo. Pietro fu un vero disastro, stava pensando alla lezione
successiva: pattinaggio, così fece crescere troppo il gambo che si
curvò e appassì senza neanche fiorire. I due gemelli lentigginosi
fecero nascere due fiori sullo stesso gambo. Mentre Marco, il
compagno di stanza di Pietro, fece sbocciare il fiore prima di far
cresce il gambo.
«Complimenti
a tutti, non dovete scoraggiarvi, in fondo è solo il primo giorno!»
Già,
questo giorno sembra non finire mai… È
ancora mattina?
La
lezione di pattinaggio non fu poi così tragica come aveva temuto
Pietro. La professoressa Diana li divise in due gruppi. «Chi
sa già pattinare da questa parte. Gli altri stiano ben attaccati
alla ringhiera. Per oggi dovrete semplicemente camminare senza cadere
cercando di sollevare il più possibile i piedi da terra.»
Pietro
guardò le ragazze con aria terrorizzata.
Poi
la professoressa si rivolse al gruppo dei più esperti, tra cui
c’erano Giulia e Camilla. «Vi
insegnerò come
partire velocemente da fermi da un punto qualsiasi della pista e come
fermarsi completamente, pur procedendo a velocità elevata.
Naturalmente dovrete indossare tutti protezioni e caschi.»
Qualcuno tornò allo sgabuzzino. «Per
bloccare la vostra corsa, dovete fare una mezza piroetta e mettere un
pattino di traverso, così.»
Mostrò
loro l’esercizio
e i ragazzi iniziarono a provare. Ci furono molte cadute. Giulia
possedeva un grande equilibrio e riuscì con facilità a imparare il
meccanismo della frenata.
Alla
fine della lezione la professoressa li richiamò. «Ora
faremo una gara di velocità. Schieratevi qui.»
I
ragazzi si prepararono.
«Pronti,
via!»
Giulia
partì, sfrecciò via velocemente e stracciò tutti, battendo il
secondo di mezzo giro.
«Sembra
che Giulia voli sulla pista!» commentò la professoressa Diana
ammirata.
La
preside Orchestri li attendeva nella sala musica numero uno.
Fortunatamente era vicino al campo sportivo.
«Sono
stanchissimo e ho un mal di gambe terribile.» Pietro si
lamentò per tutto il tragitto.
Comunque anche Giulia fu
felice di sedersi, era incredibile come una sola ora di pattinaggio
le fosse parsa così lunga.
Impararono
due brevi melodie da suonare ai loro animusi.
Tutti sapevano suonare il flauto, ma alcuni non riuscivano a leggere
la musica. Anche Giulia faceva confusione con la lettura delle note.
«Ti
consiglio di frequentare il corso di recupero con la professoressa
Serverini nel tardo pomeriggio» le disse la preside.
A pranzo si abbuffarono tutti
quanti, sembravano reduci da un naufragio. Dopo mangiato, andarono
sul prato grande a suonare per i loro piccoli amici e a riposarsi.
Finalmente era si è fatto
più caldo, stamattina invece l’aria era già molto fredda, per
essere ancora a settembre.
Ciccio si addormentò sazio e
beato sulla pancia di Giulia che si sdraiò. Osservò il cielo, era
di un azzurro intenso, molto scuro per la verità, ma il sole era
strano. Nonostante fosse luminoso da non riuscire a guardarlo,
sembrava più piccolo e la sua luce azzurrina.
«Fate largo.» Pietro si
infilò prepotentemente tra le due ragazze sdraiate, portava in
braccio il suo Tobi, lo sistemò sul suo petto e si sdraiò anche
lui. Poi infilò le sue braccia sotto le loro teste appoggiate sul
prato e le abbracciò. «Come stanno le mie
ragazze?» Sorrise impertinente.
Giulia e Camilla si voltarono
a guardarlo indispettite. «Che dici?» Camilla gli mollò una
gomitata, mentre Giulia scosse la testa esasperata.
Lui rise divertito e regalò
loro un bacio sulla guancia. «Vi prego non fatemi del male!» recitò
disperato. «Sono stanco morto, non credo che arriverò alla fine
della giornata.» E fece finta di svenire senza più muoversi.
Anche Giulia era stanca.
È
bello ricevere tutte queste coccole…
Chiuse gli occhi e sprofondò
in un piacevole torpore.
«Giulia! Pietro!» La voce di
Camilla allarmata li costrinse ad aprire gli occhi e ad alzarsi.
Giulia si rese conto imbarazzata che si erano addormentati
abbracciati.
«L’uovo!» Finalmente anche
l’uovo di Camilla stava per schiudersi.
«Presto, andiamo da Filippo.»
I tre ragazzi si diressero di corsa verso le stalle.
All’interno c’era buio e
ci volle un po’ perché i loro occhi si abituassero alla penombra.
Sopra un mucchio di fieno videro una sagoma, si avvicinarono e
scoprirono che era Filippo che dormiva. Provarono a chiamarlo e a
scuoterlo leggermente, ma sembrava profondamente addormentato. Giulia
ripensò alla notte precedente che il professore aveva passato nelle
stalle a lavorare e quella mattina molto presto, era già in piedi,
per mungere e nutrire le muccoche.
«Possiamo
cavarcela da soli» disse sicura di sé. «Non preoccuparti Camilla.
Ti aiutiamo noi.» Guardò Pietro in cerca di una conferma.
Il
ragazzo annuì con fare rassicurante.
Appoggiarono l’uovo di
Camilla sul fieno e rimasero ad aspettare. Si crearono varie
spaccature e si intravide un piccolo batuffolo nero che spuntava.
Allungò le zampette dietro, la testa spuntò da un altro buchetto,
anche quel piccolo sembrava essere rimasto incastrato. Succedeva
spesso, le aveva spiegato Filippo, perché i gusci degli animusi
tutto sommato erano piuttosto resistenti.
Senza
farsi prendere dal panico, Giulia suonò la stessa canzoncina con le
note acute che aveva usato con Ciccio. Pietro e Camilla la seguirono
copiando la posizione delle dita sul suo flauto.
Dopo pochi minuti, un piccolo
gattufo con grandi occhi gialli si liberava dell’ultimo pezzo di
uovo che gli era rimasto sulla testa come cappello.
Camilla smise di suonare,
allungò le braccia e strinse a sé l’animale. «Che bella!»
«È una femmina?» chiese
sorpresa Giulia.
«Sì, vedi? Ha la punta della
coda bianca» spiegò Camilla. «Anche mia mamma ne aveva una, i
maschi invece sono sempre tutti neri, la chiamerò Sofi.»
In quel momento il professore
si svegliò alzandosi rapidamente un po’ allarmato e confuso. «Che
succede? Scusatemi ragazzi, devo essermi appisolato…»
«Non ti preoccupare, è nata
una bella gattufo» raccontò Giulia. Poi lo guardò: aveva un’aria
stravolta. «Tu lavori troppo» lo rimproverò sorridendogli. «E noi
ti aiuteremo.»
Giulia era contenta e fiera di
come se l’erano cavata, di slancio abbracciò Filippo che ricambiò
e si grattò la testa imbarazzato.
«E va bene, mi farò aiutare
da voi.» Filippo sorrise. «Vi siete guadagnati il posto di
aiutanti. Venite con me.»
I ragazzi lo seguirono
entusiasti.
«Mi
aiuterete con le muccoche e le gallicore. Questi compiti solitamente
sono svolti dai ragazzi più grandi, ma voi siete davvero in gamba e
sarete sicuramente all’altezza.»
Ciccio e Tobi uscirono per
conoscere la loro nuova amica. Si annusarono, poi Ciccio si arrampicò
sulla schiena di Tobi che correva felice di qua e di là, senza
accorgersi del passeggero clandestino. I ragazzi risero divertiti.
Poco dopo arrivarono tutti gli
altri ragazzi, le lezioni riprendevano nuovamente con “Cura
degli animusi”.
Così Filippo li divise ancora in gruppi, ma portò Giulia e Pietro
in un’altra stanza, lasciarono Camilla a prendersi cura della sua
piccola amica.
«Come vi dicevo stamattina»
spiegò Filippo «questi
animusi
hanno bisogno di melodie in fa maggiore, quindi con il si bemolle in
chiave.» Guardò i ragazzi. «Voi conoscete la posizione per il si
bemolle sul flauto?»
I ragazzi annuirono, mostro
loro come eseguire soltanto la scala dal fa basso fino al fa alto,
sostituendo il si con il si bemolle. Giulia e Pietro provarono un
paio di volte, appena si sentirono sicuri cominciarono il lavoro.
Gli animusi
pascolavano all’esterno in un recinto che dava verso l’orto. Al
rintocco della grande campana i due ragazzi si scambiarono
un’occhiata d’intesa. Avevano la gola secca per il gran suonare,
ma si sentivano molto soddisfatti.
Si affrettarono a raggiungere
gli altri nell’aula uno. La professoressa Severini li aspettava per
la prima lezione di “Storia
della Musicomagia”.
«Le
origini della
Musicomagia
si confondono con la storia della musica stessa»
spiegò loro.
«Lentamente
i primi uomini costruirono degli
strumenti per imitare i suoni della natura e si accorsero che la
musica riusciva a toccare la loro anima procurando un grande senso di
benessere.»
«Troppo
noiosa la professoressa...» si lamentò Pietro mentre uscivano
dall’aula. «Davvero, sono stato costretto
a schiacciare un pisolino.»
«Oggi
impareremo una melodia per modellare il legno.» Poco dopo erano già
tutti seduti nei laboratori artigianali ad ascoltare il signor
Giorgio. «Costruirete una cuccia per il vostro piccolo animusi.»
Prima
ascoltarono e impararono il semplice brano musicale. «Adesso
immaginate esattamente quello che volete creare e poi prendete un
pezzo di legno ciascuno.»
Il
signor Giorgio mostrò gli effetti dell’incantesimo. Mentre suonava
il flauto, il ceppo levitò e iniziò a vibrare. I suoi contorni si
fecero sfocati e sotto gli occhi increduli dei ragazzi si trasformò
in una piccola casetta di legno.
Anche quella volta Camilla non
ebbe problemi e fece una graziosissima casetta con un buco tondo e un
piccolo cuoricino intagliato sul tetto.
Pietro riuscì abilmente a
sagomare il suo tronco a forma di cesto per il suo Tobi.
Giulia invece si trovò in
difficoltà, avrebbe voluto fare una specie di piccolo nido da
appendere, ma assottigliò troppo il legno che si spaccò a metà. Si
sentì molto contrariata.
Povero Ciccio, rimarrà
senza un nido.
Si alzò per accantonare il
suo pasticcio, ma Pietro la fermò e si sedette accanto a lei.
«Aspetta, si può riparare»
le disse dolcemente e suonò la melodia che avevano appena imparato.
Abilmente, riuscì a modellare il legno ed eseguire esattamente ciò
che Giulia aveva in mente.
«Grazie!» Giulia gli
sorrise. Si sentiva strana, perché a lei solitamente non piaceva per
niente farsi aiutare, ma Pietro aveva un modo di fare molto dolce.
Non la faceva sentire inferiore, anzi era come se pensasse che fosse
lei a fargli un favore, permettendogli di aiutarla. «Grazie anche da
parte di Ciccio» aggiunse.
Sentendosi nominato, il
piccolo batuffolino trotterellò fuori dalla borsa porta uovo e si
avvicinò alla guancia di Pietro dandogli una leccatina con un
leggero squittio.
La lezione successiva, “Studio
degli animusi”,
toccò ancora all’instancabile Filippo. «I
primi Musimaghi,
con una difficilissima e potentissima musica magica, crearono gli
animusi
da allevamento. Unirono in ogni esemplare le caratteristiche di due
normali animali. Le muccoche, per esempio, sono frutto dell’unione
magica tra le bellissime oche dal bianco manto piumoso e le
prolifiche mucche da latte. In questo modo si ottengono i doni dei
due importanti animali, da un’unica e utilissima creatura.»
Il
rintocco della grande campana fu seguito dai piccoli e brillanti
suoni della campanella della sveglia: le lezioni erano finite.
Andarono
a mangiare della gustosa frutta dell’orto per lo spuntino. Giulia
era stanca e un po’ frastornata dalle tante nozioni e informazioni
così insolite che aveva immagazzinato. Quella scuola era veramente
pazzesca, inoltre c’era quella costante sensazione di dilatazione
del tempo. Ogni lezione durava mezz’ora sulla carta, ma sembrava
sempre molto più lunga.
«Allora adesso cosa facciamo?
Andiamo di nuovo ad aiutare Filippo?» Pietro si era un po’
ripreso, quando c’erano di mezzo gli animusi
il suo entusiasmo saliva alle stelle.
«Io
andrò a Pallasuono»
dichiarò Giulia, era un po’ indecisa, perché in cuor suo avrebbe
voluto andare anche lei dagli animusi,
con Pietro… La Pallasuono,
però, la incuriosiva, così si decise.
Camilla
le aveva anticipato che assomigliava alla pallavolo, ma si giocava
con una palla incantata, più piccola e leggera che si doveva guidare
con il flauto. Non vedeva l’ora di provare.
«Ancora sport!» si lamentò
Pietro. «No, io vado da Filippo.»
«Intanto la Pallasuono
è solo per le femmine» spiegò Camilla. «Se proprio vuoi» disse
divertita «più tardi c’è il Tornado
che è riservato ai maschi. E sai? Si gioca sui pattini!» scherzò.
«Allora
mi volete morto!» disse tragicamente fingendo di cadere, come se gli
avessero sparato.
«Che pagliaccio!» Camilla
scosse la testa.
«Sui pattini? Perché è
riservato ai maschi?» chiese Giulia indispettita.
«Mah… Non so, mia mamma
diceva che è uno sport un po’ duro» disse Camilla. «Credo che
sia ritenuto troppo violento per le femmine.»
Giulia non rispose, ma si
sentì infastidita, non sopportava quando c’era qualche
discriminazione. Era profondamente convinta che una ragazza in gamba
potesse fare le stesse cose di un ragazzo.
Si recarono al campo sportivo.
«Io,
per questo primo allenamento, rimarrò a guardare.» Camilla si
accomodò sulle gradinate.
Giulia era curiosissima di
come si potesse giocare a pallavolo con il flauto, la salutò e corse
verso il centro del campo.
Erano cinque ragazze,
ovviamente tutte del primo anno, perché le allieve più grandi
sarebbero arrivate il giorno dopo. Oltre a Giulia e a Valeria che
aveva già conosciuto, c’era Laura, che sembrava la sua ombra, poi
due cugine, Maria e Lucia, capelli castani lisci a caschetto, un po’
grassottelle, sembravano due gemelle.
«Conoscete
tutte la pallavolo tradizionale?» chiese la professoressa Diana.
Le
ragazze annuirono.
«Bene,
allora oggi e domani lavoreremo sui fondamentali della Pallasuono
con la Musicomagia.»
Presero i loro flauti.
«Indossate
questo guanto nella mano sinistra, servirà per non farlo scivolare
durante il gioco.»
Giulia
vide che il guanto fissava il flauto alla mano, ma non dava nessun
fastidio.
«Cominceremo con la battuta:
do alto per quella a campana, mentre il re alto per quella tesa. A
turno, una batte e le altre dall’altra parte ricevono con il do
basso, ma prima dovrete spostarvi per avere la sfera ben posizionata
davanti a voi.»
Provarono con buoni risultati
per la battuta, mentre la ricezione si rivelò più complicata del
previsto, non era facile correre con il flauto ed emettere una nota
bassa con il fiatone.
«È
stato fantastico! Mi sono divertita da morire.» Finito l’allenamento
Giulia aveva raggiunto Camilla. «Dai, devi provare anche tu!»
«Va
bene, ti prometto che domani farò una prova» promise l’amica.
Come
le aveva consigliato la preside Orchestri, Giulia si recò alla
lezione di recupero con la professoressa Severini. Camilla non ne
aveva bisogno, aveva studiato due anni pianoforte, così fece un
salto alla serra.
Giulia raggiunse poi Pietro da
Filippo. Entrambi la accolsero con molto entusiasmo e Giulia si sentì
felice e a suo agio come non le capitava da tempo.
Filippo li portò a vedere i
cavalfanti, erano due enormi cavalli con tozze gambe da elefante.
«Sono
animali docili, ma fortissimi. Essendo così alti, però, sono
pericolosi, perché a volte possono schiacciare qualcuno senza
neanche accorgersene.»
Insegnò ai ragazzi come
strigliarli a mano, finché non avrebbero imparato qualche melodia in
sol maggiore.
Quando i due rintocchi
profondi della campana della cena risuonarono nell’aria, i ragazzi
faticarono ad arrivare alla Sala Comune. Giulia era esausta,
considerando che la notte prima, (era
solo la notte prima?)
non aveva dormito molto, si stupì di riuscire a stare ancora in
piedi. A tavola c’era molto silenzio. Tutti terminarono la loro
minestra di fagioli, mangiarono la focaccia di sesamo e andarono
dritti in camera a prepararsi per la notte. Buona parte delle uova si
era ormai schiusa e le borse contenevano quasi tutte i nuovi
cuccioli.
Il cielo stava diventando
scuro, viola scuro. Giulia provò ancora quella strana sensazione di
estraneità. Dopo essersi messa il pigiama ed essere tornata dai
bagni si affacciò alla finestra. Pietro aveva promesso che sarebbe
andato ad augurare buonanotte alle “sue ragazze”.
Infatti arrivò. Giulia gli
sorrise, si stava affezionando a lui, era così espansivo e riusciva
sempre a farla sorridere.
In quel momento, dietro a
Pietro, vide nel cielo qualcosa che le fece sgranare gli occhi,
rimase decisamente scioccata.
La luna che splendeva in cielo
era troppo piccola e verdina, ma non solo. Un’altra luna, invece
molto più grande stava sorgendo, spuntando dalla collina ed era
inequivocabilmente rossa.
Giulia rimase bloccata con il
respiro a metà.
«Che ti prende?» disse
Pietro preoccupato. «Va beh che sono così splendido da lasciar
tutte le ragazze a bocca aperta…» scherzò poco convinto. Seguì
il suo sguardo, si voltò e allora capì.
Si avvicinò a Giulia e la
scosse. «Vieni andiamo dalla preside Orchestri.» Lanciò uno
sguardo a Camilla. «Mi aveva detto di portarla da lei, appena si
fosse accorta…» e indicò le lune.
Giulia si lasciò condurre,
un’altra volta, sul terrazzo e giù per le scale, fino all’ufficio
della preside.
La preside la fece accomodare
e le fece bere una tisana.
«Potresti
gentilmente dare a Giulia la tua giacca in modo che possa stare più
calda?»
chiese a Pietro.
Giulia si sentiva come se
stesse guardando la scena dall’esterno, una parte di lei era
spaventata e incredula, l’altra invece trovava una conferma delle
sue sensazioni.
«Come
ormai avrai intuito»
esordì la preside
«Armonia
non si trova sulla Terra, ma su di un pianeta lontano con due lune e
che orbita attorno a una grande stella, una “gigante azzurra”»
raccontò con voce pacata. «Questo
sole sembra più piccolo perché effettivamente la distanza che lo
separa da noi è maggiore rispetto a quella tra la Terra e il Sole.»
La
preside riempì nuovamente la tazza di Giulia e fece una pausa forse
per darle il tempo di metabolizzare tutte quelle notizie. «La
porta verde è un portale interdimensionale attivato da una melodia a
infrasuoni che l’orecchio umano non può udire. Le giornate durano
molto di più, quasi il doppio e le stagioni sono invertite rispetto
alla zona della Terra da cui proveniamo noi, infatti adesso è quasi
primavera e l’inverno stava finendo. Le altre scuole sono
distribuite tutte su questo pianeta e hanno accessi simili alla
nostra porta verde, in altri paesi, in altre Fattorie
Muse sparse sulla
Terra.»
Giulia rimase un po’ senza
parlare. Pietro le circondò le spalle con il braccio e cercò di
scuoterla. Dopo aver bevuto la sua seconda tazza di tisana,
lentamente ritornò in sé, ma l’unica cosa che si sentì di
chiedere alla preside Orchestri fu: «Perché non me lo avete detto
subito?» La sua voce era appena un sussurro.
La preside spiegò.
«Preferiamo che gli studenti se ne rendano conto da soli, per poi
dar loro tutte le spiegazioni, quando la loro coscienza ha già
cominciato a intuire qualcosa.»
Dopo un po’ di silenzio la
preside li congedò. «Caro
Pietro, potresti gentilmente accompagnare
Giulia nella sua stanza?»
Poi li rassicurò: «Domani,
dopo averci dormito sopra, starà molto meglio.»
Giulia percorse la strada fino
alla sua stanza sentendosi spersa. Immaginava di essere su di un
minuscolo pianeta lontanissimo dalla Terra e da tutto ciò che
conosceva, il braccio di Pietro sembrava l’unica cosa reale e
concreta a cui aggrapparsi.
Come in un sogno salì le
scale. Camilla, per combinazione, dormiva della grossa, così Pietro
fu costretto a infrangere la regola, secondo la quale i maschi non
potevano entrare nelle camere delle femmine, e varcò la soglia
proibita della finestra.
La fece sdraiare e le si
sedette accanto. «Va
tutto bene» le
sussurrò dolcemente. «Non
devi preoccuparti di nulla.»
Ciccio, che era rimasto sul
letto nella borsa, uscì immediatamente e si sistemò a dormire sul
cuscino, vicino alla guancia di Giulia. Pietro rimase con lei finché
non si addormentò, lasciandogli finalmente il braccio.
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