Capitolo 2
Un uovo per tutti
Finalmente
il grande giorno era arrivato. Era il tredici di settembre e gli
studenti del primo anno erano riuniti nella sala arancione della
Fattoria Muse.
Avevano salutato i genitori ed erano pronti per varcare la porta
verde.
Giulia aveva trascorso
l’estate da sola, come al solito. A leggere, suonare, al limite a
sfinirsi in piscina, ma sempre da sola. I suoi genitori erano
contenti che andasse in una scuola dove finalmente sarebbe stata in
mezzo ad altri ragazzi. Aveva fantasticato in lungo e in largo sulla
scuola, su quello che avrebbe imparato e sui suoi nuovi compagni, su
Camilla e, soprattutto, su Pietro.
Giulia li adocchiò subito e
si mise in fila vicino a loro. L’accolsero molto calorosamente,
Pietro l’abbracciò. Giulia si irrigidì per un momento, non amava
il contatto fisico, ma capì subito che il ragazzo era molto
espansivo e che quello era il suo comportamento abituale. Lo guardò
imbarazzata, ma lui sfoderò un mezzo sorriso un po’ impertinente
che la mise facilmente a suo agio. I suoi occhi scuri erano buoni e
dolci, così lei rispose sorridendo divertita e si rilassò. Lo
osservò senza farsene accorgere. Era molto abbronzato, probabilmente
era tornato dal mare da poco e doveva essere cresciuto durante
l’estate, adesso la superava di almeno dieci centimetri.
Luca, invece, non sarebbe
venuto. Era stato bocciato, anzi non era stato ammesso nemmeno
all’esame. Giulia l’aveva incontrato poco prima dell’inizio
della scuola. Purtroppo dei problemi di salute gli avevano fatto
perdere l’anno.
«Non disperarti per la mia assenza, ti raggiungerò sicuramente l’anno prossimo» si era raccomandato.
Arrogante!
Gli studenti erano piuttosto
agitati. Camilla non la smetteva più di parlare e ridere, mentre
Pietro stava zitto, ma giocherellava con la bretella del suo zaino.
Giulia aveva mille domande, ma in quel momento si sentiva la gola
serrata per l’ansia.
Una nuova vita stava per
iniziare.
La preside Orchestri fece
l’appello per controllare che ci fossero tutti. Quando pronunciò
il nome di Giulia, tante facce curiose si voltarono a guardarla,
mettendola a disagio.
Mi conoscono?
Pietro e Camilla si strinsero
impercettibilmente verso di lei, come se volessero proteggerla e lei
gliene fu grata.
Si misero in fila e la preside
li condusse al di là della porta verde. Giulia ricordava la strana
sensazione che aveva provato la volta precedente e cercò di prestare
maggiore attenzione. Ancora quella specie di piccola caduta e il
capogiro. Ebbe l’inspiegabile certezza che da quel momento, non
sarebbe stata più la stessa.
Passarono vicino alla
biblioteca e uscirono dall’edificio. Il cielo era rosa, di nuovo
ebbe l’impressione che la luce fosse molto diversa.
E questo profumo!
Per tutta l’estate, ogni
volta che aveva bevuto lo sciroppo di rosa, che lei adorava, il gusto
e l’aroma l’avevano riportata con la mente a quella strana
giornata passata alla scuola.
La preside li condusse verso
un edificio a sinistra del grande prato, di fronte alle stalle. Il
verde dell’erba era molto brillante, come se i colori fossero più
vividi. Anche quella volta, sentì il desiderio di correre in quel
bel prato, magari senza le scarpe. Adorava sentire l’erba sotto i
piedi nudi.
Entrarono e si sedettero. Era
una grande aula con sedie e tavoli. C’erano quattro finestre sul
lato sinistro che rendevano l’ambiente molto luminoso.
La preside Orchestri cominciò
a parlare.
«Buongiorno a tutti e
benvenuti ad Armonia.» Il suo sorriso li avvolse come un abbraccio.
«“Istituto
Agrario ad indirizzo Musicale”,
meglio conosciuta come Scuola di Musicomagia…»
Cosa? Musico cosa?
Giulia si guardò attorno
confusa, doveva aver capito male.
La preside continuò. «Forse
per qualcuno di voi sarà una sorpresa, ma non preoccupatevi, presto
vi verrà spiegata ogni cosa. Avrete il piano di studi e potrete
chiarire tutti i vostri dubbi.» Sorrise cordiale e a Giulia parve
che guardasse proprio nella sua direzione.
«Vi spiego brevemente cosa
facciamo qui: impariamo a fare ogni cosa con la musica dei nostri
flauti. Faremo lezioni di teoria e di storia della Musicomagia
e lezioni pratiche di artigianato, per costruire tutto ciò di cui
abbiamo bisogno, come utensili, vestiti, vi insegneremo a coltivare
fiori, ortaggi, alberi da frutto e ad allevare i nostri animusi.
A tal proposito, lascio la parola al professor Filippo Gentile
insegnante ed esperto di allevamento degli animusi.»
Musicomagia?
Animusi?
Giulia era frastornata.
«Buongiorno, ragazzi.» Era
un uomo alto, atletico e robusto, aveva i capelli brizzolati,
leggermente ricci, occhi azzurri e pelle abbronzata. Cominciò a
parlare con voce dolce e profonda.
«Innanzi tutto, vi prego,
niente professore, ma solo Filippo.» Sorrise. «In secondo luogo,
benvenuti a tutti anche da parte mia. Mi scuso se vi abbiamo portato
direttamente qui senza neanche farvi posare i bagagli, ma dovete
sapere che alcune uova sono state deposte già stamattina presto e
non possono restare a lungo incustodite, perciò dobbiamo affidarvi
immediatamente il vostro uovo…»
Uovo? Accidenti, ma che
storia è questa?
Guardò Camilla. Sembrava
perfettamente a suo agio, come se avessero appena detto che le
avrebbero consegnato dei quaderni. Anche Pietro doveva saperne già
qualcosa, perché era rilassato e le sorrideva entusiasta.
«Adesso, lasciate pure qui le
borse e seguitemi nella sala nascite delle stalle. Fate silenzio, mi
raccomando.» Si avviò fuori dall’aula seguito da tutti i ragazzi.
Attraversarono il prato e si
infilarono nelle stalle. Giulia avrebbe voluto chiedere spiegazioni a
Camilla, ma si sentiva tanto confusa che le parole le morirono in
gola, così si affrettò a seguire gli altri ragazzi.
La costruzione era bassa e di
legno, si sentiva un forte odore di fieno appena tagliato.
«A sinistra vedete le mamme
delle vostre uova.» Il professore sorrise parlando a bassa voce.
«Qui abbiamo la tenerissima Susi topogallo…»
Topogallo?
Sembrava un grosso criceto, ma
incredibilmente colorato di tutte le possibili sfumature di giallo e
arancione e...
Con le ali!
«E qua chi c’è? La
bellissima Fifì gattufo, lei è la compagna della nostra preside.»
La gatta voltò il musetto
nero verso il professor Filippo che avvicinò il proprio naso per
farsi annusare, ma le zampe davanti avevano artigli da uccello. I
suoi occhi erano molto più grandi del normale. Si alzò un attimo,
per stiracchiarsi e allargò due grandi ali. Il professore le grattò
la testa dietro alle orecchie.
«Oh sì, le piacciono le
coccole, sapete?» Sorrise, si vedeva che amava davvero tanto quegli
strani animali.
Proseguirono. Sdraiata in un
angolo c’era una piccola cagnetta bruna e particolarmente pelosa
che guaiva dolorante.
«Oh, povera piccola, la mia
dolce Ciarli… Lei è un canorso. Ha deposto le uova da poco ed è
ancora decisamente provata.» Era tozza e ricordava un chow chow.
Varcarono un’apertura sulla
destra. Lì, su una distesa di paglia e fieno, c’erano
probabilmente una ventina di uova grandi come pompelmi. Erano di vari
colori, alcune nere, grigie e altre invece di tinte pastello.
«Venite» disse il
professore.
Uno per uno i ragazzi scelsero
un uovo. Il professore intanto dava loro una speciale borsa di lana
grezza da mettere a tracolla, per sistemarvi il proprio uovo.
«Inutile dirvi quanto siano
delicate le uova, dovete tenerle sempre al caldo a contatto con il
vostro corpo. Non temete, nel giro di un paio di giorni, si
schiuderanno. Il periodo di cova dei nostri animusi
si svolge principalmente all’interno del corpo della madre, quindi
molto presto ne uscirà il vostro prezioso amico. Quando vedrete che
comincia a incrinarsi il guscio, venite subito da me, mi trovate
sempre qui alle stalle o dietro ai recinti degli altri animusi.»
Giulia mise in fila e allungò
il collo per vedere il professor Filippo.
«Non so se tutti sapete che i
nostri amici si nutrono esclusivamente di musica, è importante
dunque che suoniate per loro con il vostro flauto, già adesso che
sono ancora dentro l’uovo. Gli animusi
da compagnia hanno bisogno solo di melodie in do maggiore, quindi
facilmente eseguibili. Troverete brani già scritti in biblioteca, ma
vi consiglio di inventare voi stessi una melodia che sia sempre la
stessa. Vedrete che il vostro piccolo amico la riconoscerà.
Scoprirete presto quali note preferisce così potrete regolarvi di
conseguenza.»
Fu il turno di Camilla e
Pietro, poi di Giulia che ne scelse uno azzurro con mani tremanti.
Prese la borsa e si ritrovò a seguire i due ragazzi fuori nel prato,
sempre più frastornata.
Erano tutti raggianti ed
entusiasti. Certo, anche Giulia, ma…
In effetti, una parte di lei
si sentiva felice e perfettamente a suo agio, ma l’altra si sentiva
veramente confusa, come se fosse finita nel paese delle meraviglie.
Dov’è il bianconiglio?
Guardò Camilla, tutta intenta
a cullare il suo uovo.
«Tu sapevi già tutto, vero?»
chiese con un filo di voce.
Camilla annuì. «Tu no?» La
guardò stupita. «Ma tu sei…»
«Sei contenta, però?» la
interruppe Pietro.
Il ragazzo non parlava molto,
ma non era la prima volta che interrompeva Camilla, come se volesse
impedirle di dire qualcosa.
“Sei
la nipote del grande e famoso professore Rodolfo Accordi…” Ecco
cosa stava per dire Camilla, ma peccato che nessuno avesse pensato di
dirle nulla. Sospirò ferita, ma cercò di sorridere a Pietro,
sembrava proprio che lui avesse capito il suo disagio.
«Sì, ma mi sento veramente
confusa» disse piano.
Pietro le appoggiò una mano
sulla spalla per consolarla e le fece una piccola carezza sulla
guancia.
Giulia arrossì e abbassò gli
occhi imbarazzata, anche se dovette ammettere a se stessa che quel
piccolo gesto d’affetto le aveva fatto provare un piacevole calore
al cuore.
«Non ti preoccupare» disse
il ragazzo dolcemente. «Anche io mi sento così. Camilla mi aveva
raccontato ogni cosa, ma non riuscivo assolutamente a crederle e
anche adesso…» Alzò entrambe le sopracciglia perplesso. «Non so
se ci credo ancora.» Fece una faccia buffa.
Giulia si mise a ridere e
sentì la tensione sciogliersi un pochino.
Si sedettero nel prato. Era
una bella giornata, il sole splendeva, ma l’aria era piuttosto
fredda e il cielo era di un blu molto scuro.
Giulia tirò fuori il suo uovo
e lo osservò interessata.
«Si nutrono di musica? Non è
pazzesco?» Prese il suo flauto dallo zainetto.
Pietro e Camilla la guardarono
incuriositi.
«Cosa gli suoniamo? Forse,
per iniziare, la scala andrà bene?» disse quasi tra sé.
Cominciò a suonare e subito
anche Pietro la imitò.
«Conosci questa?» Pietro le
fece ascoltare un motivetto, una popolare melodia per bambini.
Giulia annuì entusiasta, «La
suoniamo a canone?»
«Dai!» rispose Pietro.
Cominciarono ad attirare
l’attenzione degli altri ragazzi, suonando quella semplice
canzoncina. Eseguivano la stessa melodia, ma sfalsata. Prima era
partita Giulia e poi Pietro con un effetto di eco, dove la risposta
si legava armonicamente con la frase musicale successiva. Si aggiunse
anche Camilla con una terza voce.
Arrivò il professore. «Ma
bravi!» Si accucciò vicino a loro. «Guardate le vostre uova.»
Mentre loro suonavano, le uova emanavano una leggera luminescenza.
Terminarono la canzoncina e
rimasero a guardarle stupefatti.
«Che meraviglia…» sussurrò
Giulia.
«Bravi ragazzi.» Il
professor Filippo si congratulò ancora. «Mi avete commosso,
sapete?» Si asciugò gli occhi con la manica.
Appoggiò le mani una sulla
spalla di Pietro e l’altra su quella di Giulia. Li guardò
scrutandoli negli occhi, con aria molto soddisfatta.
Lo sguardo benevolo del
professore ispirò a Giulia una grande fiducia.
«Penso proprio che noi
andremo molto d’accordo» aggiunse Filippo come se avesse letto i
suoi pensieri.
Dopo aver preso ognuno il
proprio uovo, passarono a recuperare i bagagli e vennero accompagnati
alle camerate. Salirono delle scale esterne dietro la Sala Comune e
si trovarono in un lungo corridoio, le femmine a sinistra e i maschi
a destra, lì si separarono da Pietro. A Giulia e Camilla fu
assegnata l’ultima stanza in fondo.
Era una graziosa cameretta a
due letti, due scrivanie che fungevano anche da comodini e un unico
armadio. In un angolo, c’era anche un catino, con una brocca per
lavarsi, proprio come quelli che si vedevano nei vecchi film o nei
musei. I bagni erano in comune ed erano al piano di sotto. Dalla
finestra, che dava su un unico grande terrazzo, si vedeva uno scorcio
del grande lago, mentre sulla destra, la collina boscosa, declinava
dolcemente verso di esso.
Sono proprio camerette
accoglienti. Non sarà difficile sentirsi presto a casa.
Durante il tragitto e mentre
si sistemavano, Giulia non aveva smesso di sommergere Camilla di
domande a proposito degli animusi.
«Non
ho mai avuto un animaletto tutto mio, sai?»
«Sono
intelligenti e molto sensibili» le spiegò Camilla. «Capiscono gli
esseri umani senza alcuna difficoltà e, pensa, rimangono in vita
finché vive il loro padrone!»
Rimarrà
con me per
sempre! Chi potrebbe desiderare di meglio?
«E
quando finisce la scuola? Come faremo a portarli a casa?»
«Vengono
in qualche modo camuffati in animali comuni. Noi a casa abbiamo una
bellissima gatta, ma in realtà è una gattufo, l’ha ricevuta mia
mamma quando frequentava Armonia.»
«Esistono
altri animusi?»
Giulia si sentiva sopraffatta dalle tante emozioni.
«Se
non ricordo male ci sono quelli da allevamento e quelli da
combattimento, che sono grandi e pericolosi.»
«Da
combattimento?»
«Sì,
come l’aquilupo….» Camilla rabbrividì.
L’aquilupo…
«E
quali melodie impareremo?» Giulia aveva
mille domande anche sulla Musicomagia.
«Ci
sono melodie per fare qualsiasi cosa, ma il primo anno impareremo
solo le cose più elementari.»
«Scusami.» Giulia si sedette
sul letto e guardò Camilla temendo di averla messa sotto pressione.
«Ti sto sommergendo di domande…» Era dispiaciuta, di solito lei
era molto riflessiva e non parlava così tanto, ma in quel momento si
sentiva come se il cuore volesse esploderle per l’entusiasmo.
«Ma no...» Camilla si
accomodò accanto a lei e le rispose con dolcezza. «Ti capisco
perfettamente, è tutto nuovo per te. E poi a me piace rispondere
alle tue domande, mi sento così importante…» Rise e arrossì.
Giulia le si avvicinò e le
strinse il braccio con la mano, si sentiva fortunata ad aver trovato
una persona così buona come Camilla e che sembrava capirla alla
perfezione.
Sui letti trovarono le loro
divise. Consistevano in una giacca di lana verde scuro con il
cappuccio, dietro la schiena c’era ricamato il loro cognome; una
maglietta bianca a maniche corte con il colletto e un paio di
pantaloni grigi, tipo jeans, ma morbidi come una tuta o in
alternativa una gonna pantalone a pieghe dello stesso colore. Giulia
mise subito via la gonna nell’armadio. C’era anche un piccolo
sacchetto per il flauto che mise a tracolla, come la borsa porta
uovo.
Poi si prepararono a scendere
per il pranzo.
«Dopo
mangiato riceveremo il nostro piano di studi.» Camilla era molto
ansiosa ed era già sulla porta.
«Non
vedo l’ora di leggerlo, ma, prima di scendere, suonerò ancora un
po’ per il mio uovo. Tu va’ pure avanti.»
Giulia
si sedette sul letto, prese il flauto e il prezioso uovo, poi intonò
una canzoncina che aveva imparato a scuola.
La Sala Comune era esattamente
come Giulia ricordava. Si avvicinò al tavolo accanto alla finestra
dove l’aspettavano già Camilla e Pietro, le avevano lasciato un
posto proprio in mezzo a loro. Si sedette e sorrise a Pietro. Vicino
a lui c’era un altro ragazzo.
«Lui
è Marco, il mio compagno di stanza» spiegò a Giulia.
Aveva capelli scuri corti,
occhiali, era mingherlino e sembrava timido. Anche loro indossavano
la divisa e Pietro, con quella maglietta bianca, sembrava ancora più
abbronzato.
Giulia notò che la sala era
semi deserta.
«Ma dove sono i ragazzi più
grandi?» chiese una ragazza con lunghi capelli neri e ricci.
«Lei
si chiamava Valeria»
disse Camilla sottovoce. «Si
è presentata prima alle stalle.»
«In verità, non li vedrete
ancora per qualche giorno» spiegò Filippo. «Vi abbiamo fatto
arrivare un paio di giorni prima. In questo modo potete ambientarvi,
imparare le prime basi della
Musicomagia e le
vostre uova avranno il tempo di schiudersi.»
La
preside Orchestri prese la parola. «Allora ragazzi, innanzitutto, vi
presento i vostri professori.» Indicò con una mano un tavolo sulla
destra. «Il professor Filippo lo avete già conosciuto.»
Filippo
sorrise e fece un cenno con la mano a Giulia.
La
preside continuò. «Il signor Giorgio Verza...» Era un signore
anziano con gli occhiali, non molto alto e dall’aria assai gentile.
«La professoressa Erminia Severini...» Una spilungona asciutta con
un’espressione severa e intransigente. «E infine la professoressa
Diana Guerri.» Una bellissima donna con capelli corti rossi e vivaci
occhi azzurri, trasmetteva forza e grinta.
Giulia notò che i professori
erano vestiti come i ragazzi, a differenza della loro maglietta che
era di colore nero e la gonna pantalone della professoressa Severini
era molto, molto lunga.
«Prima di uscire, prendete
uno dei fascicoli su quel tavolino rotondo vicino alla porta.
Troverete il vostro piano di studi con gli orari delle lezioni e una
piantina della scuola per orientarvi. Se avete bisogno di noi,
sappiate che siamo a vostra disposizione. Nell’edificio qui
accanto, vicino alla biblioteca, trovate il mio ufficio, mentre al
piano superiore ci sono gli alloggi degli insegnanti. Il professor
Filippo e la professoressa Diana li trovate più facilmente alle
stalle o ai recinti, mentre il nostro caro Giorgio è sempre negli
orti o nella serra.» Prima di sedersi a mangiare, concluse «Auguro
a tutti buon appetito e vi ricordo che le lezioni e gli orari saranno
validi da domani.»
Mangiarono una specie di
focaccia con sopra le verdure. Un bel pezzo di formaggio e una ricca
macedonia. Tutti prodotti dell’orto del signor Giorgio Verza che
ricevette un bell’applauso.
Uscendo, i ragazzi presero il
fascicolo e si sistemarono fuori nel prato per analizzarlo insieme.
Dopo aver letto e riletto
mille volte l’orario sdraiati sul prato, commentarono per dritto e
per traverso le materie e i professori.
«Non
immaginate quanto sia felice che non ci sia nessuna lezione di
matematica.» Pietro
sorrideva soddisfatto, ma poi la sua espressione mutò. «No!
Pattinaggio no! Ho
provato una volta sola a salire sui pattini e mi sono rotto un
braccio.» Aveva l’aria di un condannato a morte.
Le ragazze risero di cuore.
«Avete
visto il signor Giorgio? Mi sembra molto simpatico. Mi ricorda
tanto un mio vicino di casa molto gentile, non vedo l’ora di
cominciare le lezioni di botanica.»
Camilla era entusiasta
«E
voi che ne pensate degli animusi?
Secondo me sono pazzeschi… Ah, devo suonare per il mio uovo!»
Giulia lo posò
delicatamente davanti a sé.
«Se continui così, lo farai
diventare talmente grasso che il tuo uovo esploderà» commentò
Pietro.
Passarono il resto della
giornata a visitare la vasta area della scuola, piantina alla mano.
Prima di tutto le stalle, dove incontrarono Filippo. Giulia lo
sommerse di domande, soprattutto a proposito degli animusi
da allevamento e da combattimento.
«Ti
assicuro che durante le
lezioni potrai soddisfare tutta la tua curiosità»
disse con gentilezza.
«Ora
scusatemi, ho molto da
fare. Fino all’arrivo degli studenti più grandi, devo badare agli
animusi
da solo.»
«Possiamo
aiutarti noi!»
dissero in coro Pietro
e Giulia.
Filippo sorrise ma scosse la
testa. «Per
il momento, non potete essermi ancora molto utili, ma vi prometto
che, appena avrete le capacità e le conoscenze adeguate, vi nominerò
miei aiutanti»
e detto ciò si allontanò.
I ragazzi proseguirono fino al
campo sportivo. Era un piccolo stadio circondato da una bassa rete di
recinzione, al centro c’era il campo da Tornado,
simile a quello da hockey su pista. Dietro a una delle due piccole
porte, invece, videro il campetto da Pallasuono
che era proprio come quello da pallavolo. Tutt’intorno c’era la
pista per le corse sui pattini. All’ingresso, prima degli
spogliatoi, una piccola tettoia copriva grandi scaffali con pattini,
ordinati per numero di scarpa.
«Io
devo assolutamente fare un giro!» Giulia si sedette per indossare i
pattini. «Adoro pattinare fin da quando ero molto piccola.» Strinse
i lacci della scarpetta. «A volte, d’estate, giro per il mio paese
con i pattini addosso e vado anche nei negozi!»
Camilla e Pietro la
guardarono, mentre sfrecciava felice sulla pista. Quando pattinava le
sembrava di volare, era una sensazione di fantastica libertà e la
rendeva euforica. Vide che i suoi nuovi amici sorridevano, ammirati e
divertiti dalle sue acrobazie.
Più tardi, accontentarono
anche Camilla che desiderava tanto visitare la serra dei fiori, ma,
mentre lei girava estasiata chiacchierando con il signor Giorgio,
Giulia uscì.
Si ritrovò a camminare sul
sentiero che conduceva allo splendido lago. L’aveva già colpita
durante la sua prima visita. “Il Lago Sussurrante” c’era
scritto sulla piantina. Era immenso, le sue acque verde scuro non
lasciavano intravedere assolutamente nulla. Si perdeva in molte anse
tra le colline boscose che lo circondavano. Quello che più la
impressionò era il silenzio che regnava attorno a esso. Si sentiva
attratta e nello stesso tempo impaurita da quelle acque.
«Non avvicinatevi alla
sponda» si era raccomandato il signor Giorgio. «Il lago è
pericoloso.»
«Perché?»
All’inevitabile domanda dei
ragazzi, rispose evasivo. «È
soggetto a improvvise maree e pericolosi gorghi.»
Eppure le acque sembrano
così tranquille…
La giornata pareva proprio non
finire più, ma finalmente arrivò l’ora di andare a dormire. Per
cena mangiarono una crema di verdure, con deliziosi crostini e una
frittata con le patate. Giulia era veramente stanca, ma prima di
sdraiarsi, suonò una ninna nanna al suo adorato uovo.
Stava quasi per addormentarsi,
quando sentì bussare alla finestra. Sorpresa sollevò il capo e vide
il volto di Pietro sorridente, spiaccicato sul vetro.
Scese dal letto, gli andò
incontro e aprì l’imposta. L’aria era fredda e il cielo sembrava
nuvoloso.
«Ma che ci fai qua fuori? E
come hai fatto ad arrivare, non ti sarai mica arrampicato?» disse
Giulia preoccupata. Si affacciò e cercò di guardare nel buio.
«Volevo augurarvi buona
notte.» Le stampò un bacio sulla guancia.
Giulia cominciava ad abituarsi
alle sue attenzioni così espansive.
«Non lo sai? Tutte le stanze
danno su questo terrazzo, basta scavalcare la finestra…»
Giulia scosse la testa
divertita. «Camilla dorme già.»
Pietro lanciò un bacio anche
alla compagna addormentata. «Sarà meglio che andiamo a dormire
anche noi!» Le strizzò l’occhio e sparì nel buio.
Giulia tornò a letto, ma,
mentre si sdraiava, sentì il suo uovo scricchiolare. «Accidenti!»
esclamò preoccupata.
Cosa devo fare?
Si precipitò fuori dalla
finestra con il suo uovo e chiamò Pietro sottovoce procedendo nella
direzione in cui l’aveva visto sparire.
Per fortuna il ragazzo non era
ancora arrivato alla sua finestra. «Che succede?»
«Il mio uovo! Sta
scricchiolando» disse agitata.
«Lo sapevo che sarebbe
esploso» scherzò, ma vedendo che Giulia era veramente preoccupata,
si fece subito serio.
«Accidenti, starà per
nascere?» chiese Giulia, ma sapeva benissimo che Pietro ne sapeva
quanto lei.
«Andiamo da Filippo» disse
lui con voce ferma e tranquilla.
«Adesso?» Era già buio e,
da lì a dieci minuti, avrebbero spento le luci.
«Sì, vieni. Da qui si arriva
alla scala esterna, scendiamo e costeggiamo la Sala Comune, finché
arriviamo alla biblioteca» disse Pietro e, prendendola per mano,
cominciò a camminare svelto.
«Sarà già nel suo alloggio
o sarà ancora alle stalle?» Giulia per fortuna, ricordava bene la
piantina della scuola, comunque si stava già tranquillizzando, la
presenza di Pietro la aveva dato immediato conforto.
«Prima proviamo nella sua
camera» disse il ragazzo.
Un attimo dopo, erano già
saliti al secondo piano dove c’erano gli alloggi degli insegnanti e
stavano bussando alla porta, con scritto sulla targhetta “Professor
Filippo Gentile”. La scritta “Professor” era stata cancellata.
«Che succede?» Dalla porta
accanto, sbucò fuori la professoressa Diana che li guardò severa.
«Che ci fate qui a quest’ora?»
«È per il mio uovo!» si
giustificò subito Giulia e glielo mostrò.
«Filippo è ancora alle
stalle.» Sembrò comprendere la situazione. «Vi accompagnerò da
lui.» Rientrò un momento nella sua stanza a prendersi la giacca,
chiuse la porta alle sue spalle e fece loro strada.
Camminarono svelti,
attraversarono il prato e si infilarono nelle stalle, lì per fortuna
faceva più caldo. In quel momento Giulia si rese conto che, sia lei
che Pietro, erano in pigiama.
«L’uovo sta per schiudersi»
spiegò brevemente la professoressa a Filippo.
Il professore sorrise. «E
siete venuti subito da me come vi avevo detto. Ben fatto.» Prese
l’uovo tra le sue grandi mani e lo osservò attentamente.
«C’è solo una piccola
spaccatura, in questo punto.» Fece loro segno. «Sicuramente ci
vorrà ancora tempo, ma sarà meglio che lo lasciate qui, così potrò
tenerlo d’occhio e domattina verrete a vedere se si è schiuso.
Diana, puoi accompagnare i ragazzi in camera?»
«No, no, per favore!» sbottò
Giulia, forse un po’ troppo forte.
I professori la guardarono
allarmati.
«Scusatemi tanto.» Abbassò
il tono. «Ma non mi voglio perdere la nascita del mio animusi,
per nessuna ragione al mondo.»
Filippo la guardò sorpreso.
Giulia restituì lo sguardo a
Filippo, implorante ma irremovibile. «Non mi separerò dal mio
uovo.»
Filippo sorrise e sospirò. «E
va bene, puoi restare qui con me, avvolgiti in una di quelle coperte
laggiù e siediti qua sul fieno.»
Filippo non aveva ancora
finito di parlare che Pietro si era precipitato a prendere due
coperte e si era già sistemato. «Io resto con lei.»
I due professori si guardarono
perplessi, ma divertiti.
«Allora io vado» disse la
professoressa Diana. «Ma non crediate che tutto questo giustifichi
una vostra assenza o ritardo per domattina.» Li guardò severa. «Ci
vediamo puntuali alle sette, sul prato, per la ginnastica mattutina.»
«Certo professoressa e
grazie» risposero i ragazzi, quasi in coro, poi si guardarono e
scoppiarono a ridere.
Giulia era felice ed
emozionata, era contenta che Pietro avesse deciso di rimanere con
lei, la sua presenza la tranquillizzava, come se si conoscessero da
tanto tempo.
«Ehm… Filippo» chiese
Giulia dopo un po’. «È
tutto a posto, vero? Voglio dire, perché si sta già schiudendo il
mio uovo, avevi detto un paio di giorni…»
«Oh, sì, non ti preoccupare,
piccola.» Filippo le scompigliò i capelli. «Probabilmente hai
suonato molto per lui… Anche io feci schiudere il mio uovo, durante
la prima notte passata qua a scuola.» Sorrise con lo sguardo perso
nei ricordi.
Dopo un po’ guardò verso di
lei. «E anche io dormii proprio qui, accanto al mio uovo. Pensavo
che non avrei mai rivissuto quel momento… In tutti questi anni me
n’ero quasi dimenticato, feci letteralmente impazzire il mio
professore per convincerlo a non mandarmi via» rise al ricordo.
Poi si fece serio e la guardò
negli occhi, con affetto. «Sai? Il mio professore era proprio tuo
nonno…»
Dopo quella rivelazione, calò
il silenzio. Ogni volta che sentiva nominare suo nonno, Giulia
provava un senso di vuoto e di frustrazione.
Io non riesco a ricordarlo
e nessuno a casa me ne ha mai parlato, perché?
Sospirò e decise di suonare
ancora un po’.
«Le
note basse fanno tranquillizzare e dormire l’animusi,
mentre quelle acute gli danno forza»
spiegò Filippo.
Il tempo passava e Giulia
stava morendo di sonno, ma non riusciva a dormire, perché era
agitata e aveva freddo.
A un certo punto Pietro si
alzò avvicinandosi a lei.
«Vediamo se riusciamo a stare
un po’ più caldi» le disse piano.
Si sedette dietro di lei,
stendendo le gambe a lato delle sue, quindi l’abbracciò
avvolgendola anche con la sua coperta. Giulia trattenne il fiato
sorpresa.
«Facciamo a turno, prima
dormi un po’ tu, se l’uovo scricchiola ti sveglio subito» le
promise con voce dolce.
Giulia annuì. Si era
irrigidita. Quell’abbraccio le sembrava un po’ troppo intimo, era
decisamente consapevole della sua presenza e del calore che emanava.
Non era mai stata così
vicina a un ragazzo. Il suo cuore accelerò. Il disagio durò solo
per un attimo, in realtà la vicinanza di Pietro le diede conforto,
la fece sentire al sicuro e poco dopo si tranquillizzò. Era molto
strano, perché in generale era piuttosto infastidita dal contatto
fisico con le altre persone, soprattutto se le conosceva da poco
tempo, ma con Pietro aveva notato subito una sorta di affinità a
pelle.
Pensando a quello si assopì.
«Giulia, svegliati.» Pietro
la scrollò dolcemente. «L’uovo» le disse eccitato.
Giulia abbassò lo sguardo.
Vide che la spaccatura si era diramata in tante piccole altre
venature e l’animusi
all’interno
faceva scrollare l’uovo di qua e di là.
Si guardò intorno. «Dov’è
Filippo?» chiese allarmata.
«Mi ha detto che tornava
subito.» Pietro alzò le spalle.
All’improvviso, uno
scrollone più vigoroso fece saltar via un bel pezzo di guscio e
Giulia vide spuntare un piumino di colore azzurrino.
«È
un topogallo!» esclamò.
Una zampetta era uscita fuori,
ma sembrava che avesse qualche problema a tirar fuori il musetto. Un
altro colpo e da un buco nuovo uscì il nasino e il resto della
testa, ma rimase intrappolato. L’animusi
squittì e si agitò, sembrava in difficoltà. Giulia voleva
aiutarlo, ma aveva paura di ferirlo, il guscio dell’uovo era molto
spesso e pareva tagliente.
«Sta male… Che facciamo?»
Anche Pietro era preoccupato.
Improvvisamente, a Giulia
venne un’idea. Prese il suo flauto e intonò una canzoncina con
note molto acute.
Filippo ha detto che danno
forza!
La melodia di Giulia fece
effetto. Il piccolo batuffolo azzurro cominciò a rosicchiare l’uovo
con i suoi dentoni, tutto intorno al buco dov’era incastrata la
testa, poi, con due vigorosi calcioni, finalmente l’uovo si aprì
definitivamente.
Giulia sospirò di sollievo e
appoggiò le mani per terra vicino all’uovo rotto. Il piccolo
topogallo alzò il musetto verso di lei.
«È
tenerissimo!»
La annusò un momento e salì
fiducioso acciambellandosi comodamente. Giulia tremava per
l’emozione, aveva l’impressione di tenere tra le mani la cosa più
preziosa del mondo. Sembrava un criceto o forse una marmotta, aveva
un musetto da topolino con le orecchie piccole, ma era di quello
strano colore azzurro. Le ali non si vedevano quasi, erano ripiegate
dietro la schiena e al posto della coda aveva lunghe penne come gli
uccelli. Sospirò e si accorse che lacrime di gioia le stavano
offuscando la vista. Avvicinò lentamente il topogallo al suo viso e
l’animusi
strisciò il musetto sulla sua guancia.
È
il momento più
bello della mia vita.
Nel frattempo arrivò Filippo
e Pietro gli raccontò a raffica tutto per filo e per segno. Il
professore abbracciò i due ragazzi, poi grattò la testa
dell’animusi.
«È
in ottima forma e con te starà benissimo.» Sorrise benevolo.
«Adesso, però, ci vuole un bel nome…»
«È un maschio?» chiese
Giulia.
«Sì, le femmine sono rosa o
gialle, i maschi azzurri o verdi» spiegò Filippo.
«Allora Ciccio» Giulia ci
aveva già pensato, era il nome del suo primo pupazzetto fatto a
topolino che aveva avuto da bambina. «È
bellissimo.»
Pietro rise. «Certo, Ciccio è
proprio azzeccato.» Anche lui lo accarezzò sopra la testa e strinse
Giulia per le spalle. «Con tutto quello che gli suonerai, diventerà
tanto grasso che non riuscirà mai a volare.»
Risero divertiti e
soddisfatti.
i caratteri sono ottimali ora, nonostante gli strani cambi di scrittura e misura che fa il tuo blog, sicuramente tutto si aggiusterà con la pubblicazione. Purtroppo non riesco ad apprezzare i cambiamenti che hai fatto perchè non li recepisco io li leggo ma non trovo i cambi o le modifiche che hai fatto a parte i pensieri di giulia perchè il mio cervello funziona in un modo strano probabilmente quando rileggerò la melodia sibilante "vecchia" forse li noterò.
RispondiEliminacomunque mi piace molto anche questa versione
Grazie Barbara, in realtà non ci sono grandi cambiamenti e se non li noti, meglio così! Vuol dire che non ho "rovinato" nulla!! Il mio intento è solo quello di renderlo più scorrevole. Ma non solo. Ho organizzato questa lettura collettiva per rivivere insieme i momenti più belli e magari raccontarvi qualche curiosità o retroscena e ovviamente vorrei sapere anche quello che è piaciuto di più a voi!
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