Ciao, sono Claudia, questo è il mio blog :) Invento storie e scrivo romanzi fantasy, benvenuti nel mio mondo!

venerdì 13 luglio 2018

La Melodia Sibilante - secondo capitolo



Capitolo 2

Un uovo per tutti


Finalmente il grande giorno era arrivato. Era il tredici di settembre e gli studenti del primo anno erano riuniti nella sala arancione della Fattoria Muse. Avevano salutato i genitori ed erano pronti per varcare la porta verde.
Giulia aveva trascorso l’estate da sola, come al solito. A leggere, suonare, al limite a sfinirsi in piscina, ma sempre da sola. I suoi genitori erano contenti che andasse in una scuola dove finalmente sarebbe stata in mezzo ad altri ragazzi. Aveva fantasticato in lungo e in largo sulla scuola, su quello che avrebbe imparato e sui suoi nuovi compagni, su Camilla e, soprattutto, su Pietro.
Giulia li adocchiò subito e si mise in fila vicino a loro. L’accolsero molto calorosamente, Pietro l’abbracciò. Giulia si irrigidì per un momento, non amava il contatto fisico, ma capì subito che il ragazzo era molto espansivo e che quello era il suo comportamento abituale. Lo guardò imbarazzata, ma lui sfoderò un mezzo sorriso un po’ impertinente che la mise facilmente a suo agio. I suoi occhi scuri erano buoni e dolci, così lei rispose sorridendo divertita e si rilassò. Lo osservò senza farsene accorgere. Era molto abbronzato, probabilmente era tornato dal mare da poco e doveva essere cresciuto durante l’estate, adesso la superava di almeno dieci centimetri.
Luca, invece, non sarebbe venuto. Era stato bocciato, anzi non era stato ammesso nemmeno all’esame. Giulia l’aveva incontrato poco prima dell’inizio della scuola. Purtroppo dei problemi di salute gli avevano fatto perdere l’anno.
«Non disperarti per la mia assenza, ti raggiungerò sicuramente l’anno prossimo» si era raccomandato.
Arrogante!
Gli studenti erano piuttosto agitati. Camilla non la smetteva più di parlare e ridere, mentre Pietro stava zitto, ma giocherellava con la bretella del suo zaino. Giulia aveva mille domande, ma in quel momento si sentiva la gola serrata per l’ansia.
Una nuova vita stava per iniziare.
La preside Orchestri fece l’appello per controllare che ci fossero tutti. Quando pronunciò il nome di Giulia, tante facce curiose si voltarono a guardarla, mettendola a disagio.
Mi conoscono?
Pietro e Camilla si strinsero impercettibilmente verso di lei, come se volessero proteggerla e lei gliene fu grata.
Si misero in fila e la preside li condusse al di là della porta verde. Giulia ricordava la strana sensazione che aveva provato la volta precedente e cercò di prestare maggiore attenzione. Ancora quella specie di piccola caduta e il capogiro. Ebbe l’inspiegabile certezza che da quel momento, non sarebbe stata più la stessa.
Passarono vicino alla biblioteca e uscirono dall’edificio. Il cielo era rosa, di nuovo ebbe l’impressione che la luce fosse molto diversa.
E questo profumo!
Per tutta l’estate, ogni volta che aveva bevuto lo sciroppo di rosa, che lei adorava, il gusto e l’aroma l’avevano riportata con la mente a quella strana giornata passata alla scuola.
La preside li condusse verso un edificio a sinistra del grande prato, di fronte alle stalle. Il verde dell’erba era molto brillante, come se i colori fossero più vividi. Anche quella volta, sentì il desiderio di correre in quel bel prato, magari senza le scarpe. Adorava sentire l’erba sotto i piedi nudi.
Entrarono e si sedettero. Era una grande aula con sedie e tavoli. C’erano quattro finestre sul lato sinistro che rendevano l’ambiente molto luminoso.
La preside Orchestri cominciò a parlare.
«Buongiorno a tutti e benvenuti ad Armonia.» Il suo sorriso li avvolse come un abbraccio. «“Istituto Agrario ad indirizzo Musicale”, meglio conosciuta come Scuola di Musicomagia…»
Cosa? Musico cosa?
Giulia si guardò attorno confusa, doveva aver capito male.
La preside continuò. «Forse per qualcuno di voi sarà una sorpresa, ma non preoccupatevi, presto vi verrà spiegata ogni cosa. Avrete il piano di studi e potrete chiarire tutti i vostri dubbi.» Sorrise cordiale e a Giulia parve che guardasse proprio nella sua direzione.
«Vi spiego brevemente cosa facciamo qui: impariamo a fare ogni cosa con la musica dei nostri flauti. Faremo lezioni di teoria e di storia della Musicomagia e lezioni pratiche di artigianato, per costruire tutto ciò di cui abbiamo bisogno, come utensili, vestiti, vi insegneremo a coltivare fiori, ortaggi, alberi da frutto e ad allevare i nostri animusi. A tal proposito, lascio la parola al professor Filippo Gentile insegnante ed esperto di allevamento degli animusi
Musicomagia? Animusi?
Giulia era frastornata.
«Buongiorno, ragazzi.» Era un uomo alto, atletico e robusto, aveva i capelli brizzolati, leggermente ricci, occhi azzurri e pelle abbronzata. Cominciò a parlare con voce dolce e profonda.
«Innanzi tutto, vi prego, niente professore, ma solo Filippo.» Sorrise. «In secondo luogo, benvenuti a tutti anche da parte mia. Mi scuso se vi abbiamo portato direttamente qui senza neanche farvi posare i bagagli, ma dovete sapere che alcune uova sono state deposte già stamattina presto e non possono restare a lungo incustodite, perciò dobbiamo affidarvi immediatamente il vostro uovo…»
Uovo? Accidenti, ma che storia è questa?
Guardò Camilla. Sembrava perfettamente a suo agio, come se avessero appena detto che le avrebbero consegnato dei quaderni. Anche Pietro doveva saperne già qualcosa, perché era rilassato e le sorrideva entusiasta.
«Adesso, lasciate pure qui le borse e seguitemi nella sala nascite delle stalle. Fate silenzio, mi raccomando.» Si avviò fuori dall’aula seguito da tutti i ragazzi.
Attraversarono il prato e si infilarono nelle stalle. Giulia avrebbe voluto chiedere spiegazioni a Camilla, ma si sentiva tanto confusa che le parole le morirono in gola, così si affrettò a seguire gli altri ragazzi.
La costruzione era bassa e di legno, si sentiva un forte odore di fieno appena tagliato.
«A sinistra vedete le mamme delle vostre uova.» Il professore sorrise parlando a bassa voce. «Qui abbiamo la tenerissima Susi topogallo…»
Topogallo?
Sembrava un grosso criceto, ma incredibilmente colorato di tutte le possibili sfumature di giallo e arancione e...
Con le ali!
«E qua chi c’è? La bellissima Fifì gattufo, lei è la compagna della nostra preside.»
La gatta voltò il musetto nero verso il professor Filippo che avvicinò il proprio naso per farsi annusare, ma le zampe davanti avevano artigli da uccello. I suoi occhi erano molto più grandi del normale. Si alzò un attimo, per stiracchiarsi e allargò due grandi ali. Il professore le grattò la testa dietro alle orecchie.
«Oh sì, le piacciono le coccole, sapete?» Sorrise, si vedeva che amava davvero tanto quegli strani animali.
Proseguirono. Sdraiata in un angolo c’era una piccola cagnetta bruna e particolarmente pelosa che guaiva dolorante.
«Oh, povera piccola, la mia dolce Ciarli… Lei è un canorso. Ha deposto le uova da poco ed è ancora decisamente provata.» Era tozza e ricordava un chow chow.
Varcarono un’apertura sulla destra. Lì, su una distesa di paglia e fieno, c’erano probabilmente una ventina di uova grandi come pompelmi. Erano di vari colori, alcune nere, grigie e altre invece di tinte pastello.
«Venite» disse il professore.
Uno per uno i ragazzi scelsero un uovo. Il professore intanto dava loro una speciale borsa di lana grezza da mettere a tracolla, per sistemarvi il proprio uovo.
«Inutile dirvi quanto siano delicate le uova, dovete tenerle sempre al caldo a contatto con il vostro corpo. Non temete, nel giro di un paio di giorni, si schiuderanno. Il periodo di cova dei nostri animusi si svolge principalmente all’interno del corpo della madre, quindi molto presto ne uscirà il vostro prezioso amico. Quando vedrete che comincia a incrinarsi il guscio, venite subito da me, mi trovate sempre qui alle stalle o dietro ai recinti degli altri animusi
Giulia mise in fila e allungò il collo per vedere il professor Filippo.
«Non so se tutti sapete che i nostri amici si nutrono esclusivamente di musica, è importante dunque che suoniate per loro con il vostro flauto, già adesso che sono ancora dentro l’uovo. Gli animusi da compagnia hanno bisogno solo di melodie in do maggiore, quindi facilmente eseguibili. Troverete brani già scritti in biblioteca, ma vi consiglio di inventare voi stessi una melodia che sia sempre la stessa. Vedrete che il vostro piccolo amico la riconoscerà. Scoprirete presto quali note preferisce così potrete regolarvi di conseguenza.»
Fu il turno di Camilla e Pietro, poi di Giulia che ne scelse uno azzurro con mani tremanti. Prese la borsa e si ritrovò a seguire i due ragazzi fuori nel prato, sempre più frastornata.
Erano tutti raggianti ed entusiasti. Certo, anche Giulia, ma…
In effetti, una parte di lei si sentiva felice e perfettamente a suo agio, ma l’altra si sentiva veramente confusa, come se fosse finita nel paese delle meraviglie.
Dov’è il bianconiglio?
Guardò Camilla, tutta intenta a cullare il suo uovo.
«Tu sapevi già tutto, vero?» chiese con un filo di voce.
Camilla annuì. «Tu no?» La guardò stupita. «Ma tu sei…»
«Sei contenta, però?» la interruppe Pietro.
Il ragazzo non parlava molto, ma non era la prima volta che interrompeva Camilla, come se volesse impedirle di dire qualcosa.
“Sei la nipote del grande e famoso professore Rodolfo Accordi…” Ecco cosa stava per dire Camilla, ma peccato che nessuno avesse pensato di dirle nulla. Sospirò ferita, ma cercò di sorridere a Pietro, sembrava proprio che lui avesse capito il suo disagio.
«Sì, ma mi sento veramente confusa» disse piano.
Pietro le appoggiò una mano sulla spalla per consolarla e le fece una piccola carezza sulla guancia.
Giulia arrossì e abbassò gli occhi imbarazzata, anche se dovette ammettere a se stessa che quel piccolo gesto d’affetto le aveva fatto provare un piacevole calore al cuore.
«Non ti preoccupare» disse il ragazzo dolcemente. «Anche io mi sento così. Camilla mi aveva raccontato ogni cosa, ma non riuscivo assolutamente a crederle e anche adesso…» Alzò entrambe le sopracciglia perplesso. «Non so se ci credo ancora.» Fece una faccia buffa.
Giulia si mise a ridere e sentì la tensione sciogliersi un pochino.
Si sedettero nel prato. Era una bella giornata, il sole splendeva, ma l’aria era piuttosto fredda e il cielo era di un blu molto scuro.
Giulia tirò fuori il suo uovo e lo osservò interessata.
«Si nutrono di musica? Non è pazzesco?» Prese il suo flauto dallo zainetto.
Pietro e Camilla la guardarono incuriositi.
«Cosa gli suoniamo? Forse, per iniziare, la scala andrà bene?» disse quasi tra sé.
Cominciò a suonare e subito anche Pietro la imitò.
«Conosci questa?» Pietro le fece ascoltare un motivetto, una popolare melodia per bambini.
Giulia annuì entusiasta, «La suoniamo a canone?»
«Dai!» rispose Pietro.
Cominciarono ad attirare l’attenzione degli altri ragazzi, suonando quella semplice canzoncina. Eseguivano la stessa melodia, ma sfalsata. Prima era partita Giulia e poi Pietro con un effetto di eco, dove la risposta si legava armonicamente con la frase musicale successiva. Si aggiunse anche Camilla con una terza voce.
Arrivò il professore. «Ma bravi!» Si accucciò vicino a loro. «Guardate le vostre uova.» Mentre loro suonavano, le uova emanavano una leggera luminescenza.
Terminarono la canzoncina e rimasero a guardarle stupefatti.
«Che meraviglia…» sussurrò Giulia.
«Bravi ragazzi.» Il professor Filippo si congratulò ancora. «Mi avete commosso, sapete?» Si asciugò gli occhi con la manica.
Appoggiò le mani una sulla spalla di Pietro e l’altra su quella di Giulia. Li guardò scrutandoli negli occhi, con aria molto soddisfatta.
Lo sguardo benevolo del professore ispirò a Giulia una grande fiducia.
«Penso proprio che noi andremo molto d’accordo» aggiunse Filippo come se avesse letto i suoi pensieri.

Dopo aver preso ognuno il proprio uovo, passarono a recuperare i bagagli e vennero accompagnati alle camerate. Salirono delle scale esterne dietro la Sala Comune e si trovarono in un lungo corridoio, le femmine a sinistra e i maschi a destra, lì si separarono da Pietro. A Giulia e Camilla fu assegnata l’ultima stanza in fondo.
Era una graziosa cameretta a due letti, due scrivanie che fungevano anche da comodini e un unico armadio. In un angolo, c’era anche un catino, con una brocca per lavarsi, proprio come quelli che si vedevano nei vecchi film o nei musei. I bagni erano in comune ed erano al piano di sotto. Dalla finestra, che dava su un unico grande terrazzo, si vedeva uno scorcio del grande lago, mentre sulla destra, la collina boscosa, declinava dolcemente verso di esso.
Sono proprio camerette accoglienti. Non sarà difficile sentirsi presto a casa.
Durante il tragitto e mentre si sistemavano, Giulia non aveva smesso di sommergere Camilla di domande a proposito degli animusi.
«Non ho mai avuto un animaletto tutto mio, sai?»
«Sono intelligenti e molto sensibili» le spiegò Camilla. «Capiscono gli esseri umani senza alcuna difficoltà e, pensa, rimangono in vita finché vive il loro padrone!»
Rimarrà con me per sempre! Chi potrebbe desiderare di meglio?
«E quando finisce la scuola? Come faremo a portarli a casa?»
«Vengono in qualche modo camuffati in animali comuni. Noi a casa abbiamo una bellissima gatta, ma in realtà è una gattufo, l’ha ricevuta mia mamma quando frequentava Armonia.»
«Esistono altri animusi?» Giulia si sentiva sopraffatta dalle tante emozioni.
«Se non ricordo male ci sono quelli da allevamento e quelli da combattimento, che sono grandi e pericolosi.»
«Da combattimento?»
«Sì, come l’aquilupo….» Camilla rabbrividì.
L’aquilupo…
«E quali melodie impareremo?» Giulia aveva mille domande anche sulla Musicomagia.
«Ci sono melodie per fare qualsiasi cosa, ma il primo anno impareremo solo le cose più elementari.»
«Scusami.» Giulia si sedette sul letto e guardò Camilla temendo di averla messa sotto pressione. «Ti sto sommergendo di domande…» Era dispiaciuta, di solito lei era molto riflessiva e non parlava così tanto, ma in quel momento si sentiva come se il cuore volesse esploderle per l’entusiasmo.
«Ma no...» Camilla si accomodò accanto a lei e le rispose con dolcezza. «Ti capisco perfettamente, è tutto nuovo per te. E poi a me piace rispondere alle tue domande, mi sento così importante…» Rise e arrossì.
Giulia le si avvicinò e le strinse il braccio con la mano, si sentiva fortunata ad aver trovato una persona così buona come Camilla e che sembrava capirla alla perfezione.
Sui letti trovarono le loro divise. Consistevano in una giacca di lana verde scuro con il cappuccio, dietro la schiena c’era ricamato il loro cognome; una maglietta bianca a maniche corte con il colletto e un paio di pantaloni grigi, tipo jeans, ma morbidi come una tuta o in alternativa una gonna pantalone a pieghe dello stesso colore. Giulia mise subito via la gonna nell’armadio. C’era anche un piccolo sacchetto per il flauto che mise a tracolla, come la borsa porta uovo.
Poi si prepararono a scendere per il pranzo.
«Dopo mangiato riceveremo il nostro piano di studi.» Camilla era molto ansiosa ed era già sulla porta.
«Non vedo l’ora di leggerlo, ma, prima di scendere, suonerò ancora un po’ per il mio uovo. Tu va’ pure avanti.»
Giulia si sedette sul letto, prese il flauto e il prezioso uovo, poi intonò una canzoncina che aveva imparato a scuola.

La Sala Comune era esattamente come Giulia ricordava. Si avvicinò al tavolo accanto alla finestra dove l’aspettavano già Camilla e Pietro, le avevano lasciato un posto proprio in mezzo a loro. Si sedette e sorrise a Pietro. Vicino a lui c’era un altro ragazzo.
«Lui è Marco, il mio compagno di stanza» spiegò a Giulia.
Aveva capelli scuri corti, occhiali, era mingherlino e sembrava timido. Anche loro indossavano la divisa e Pietro, con quella maglietta bianca, sembrava ancora più abbronzato.
Giulia notò che la sala era semi deserta.
«Ma dove sono i ragazzi più grandi?» chiese una ragazza con lunghi capelli neri e ricci.
«Lei si chiamava Valeria» disse Camilla sottovoce. «Si è presentata prima alle stalle.»
«In verità, non li vedrete ancora per qualche giorno» spiegò Filippo. «Vi abbiamo fatto arrivare un paio di giorni prima. In questo modo potete ambientarvi, imparare le prime basi della Musicomagia e le vostre uova avranno il tempo di schiudersi.»
La preside Orchestri prese la parola. «Allora ragazzi, innanzitutto, vi presento i vostri professori.» Indicò con una mano un tavolo sulla destra. «Il professor Filippo lo avete già conosciuto.»
Filippo sorrise e fece un cenno con la mano a Giulia.
La preside continuò. «Il signor Giorgio Verza...» Era un signore anziano con gli occhiali, non molto alto e dall’aria assai gentile. «La professoressa Erminia Severini...» Una spilungona asciutta con un’espressione severa e intransigente. «E infine la professoressa Diana Guerri.» Una bellissima donna con capelli corti rossi e vivaci occhi azzurri, trasmetteva forza e grinta.
Giulia notò che i professori erano vestiti come i ragazzi, a differenza della loro maglietta che era di colore nero e la gonna pantalone della professoressa Severini era molto, molto lunga.
«Prima di uscire, prendete uno dei fascicoli su quel tavolino rotondo vicino alla porta. Troverete il vostro piano di studi con gli orari delle lezioni e una piantina della scuola per orientarvi. Se avete bisogno di noi, sappiate che siamo a vostra disposizione. Nell’edificio qui accanto, vicino alla biblioteca, trovate il mio ufficio, mentre al piano superiore ci sono gli alloggi degli insegnanti. Il professor Filippo e la professoressa Diana li trovate più facilmente alle stalle o ai recinti, mentre il nostro caro Giorgio è sempre negli orti o nella serra.» Prima di sedersi a mangiare, concluse «Auguro a tutti buon appetito e vi ricordo che le lezioni e gli orari saranno validi da domani.»
Mangiarono una specie di focaccia con sopra le verdure. Un bel pezzo di formaggio e una ricca macedonia. Tutti prodotti dell’orto del signor Giorgio Verza che ricevette un bell’applauso.
Uscendo, i ragazzi presero il fascicolo e si sistemarono fuori nel prato per analizzarlo insieme.

Dopo aver letto e riletto mille volte l’orario sdraiati sul prato, commentarono per dritto e per traverso le materie e i professori.
«Non immaginate quanto sia felice che non ci sia nessuna lezione di matematica.» Pietro sorrideva soddisfatto, ma poi la sua espressione mutò. «No! Pattinaggio no! Ho provato una volta sola a salire sui pattini e mi sono rotto un braccio.» Aveva l’aria di un condannato a morte.
Le ragazze risero di cuore.
«Avete visto il signor Giorgio? Mi sembra molto simpatico. Mi ricorda tanto un mio vicino di casa molto gentile, non vedo l’ora di cominciare le lezioni di botanica.» Camilla era entusiasta
«E voi che ne pensate degli animusi? Secondo me sono pazzeschi… Ah, devo suonare per il mio uovo!» Giulia lo posò delicatamente davanti a sé.
«Se continui così, lo farai diventare talmente grasso che il tuo uovo esploderà» commentò Pietro.
Passarono il resto della giornata a visitare la vasta area della scuola, piantina alla mano. Prima di tutto le stalle, dove incontrarono Filippo. Giulia lo sommerse di domande, soprattutto a proposito degli animusi da allevamento e da combattimento.
«Ti assicuro che durante le lezioni potrai soddisfare tutta la tua curiosità» disse con gentilezza. «Ora scusatemi, ho molto da fare. Fino all’arrivo degli studenti più grandi, devo badare agli animusi da solo.»
«Possiamo aiutarti noi!» dissero in coro Pietro e Giulia.
Filippo sorrise ma scosse la testa. «Per il momento, non potete essermi ancora molto utili, ma vi prometto che, appena avrete le capacità e le conoscenze adeguate, vi nominerò miei aiutanti» e detto ciò si allontanò.
I ragazzi proseguirono fino al campo sportivo. Era un piccolo stadio circondato da una bassa rete di recinzione, al centro c’era il campo da Tornado, simile a quello da hockey su pista. Dietro a una delle due piccole porte, invece, videro il campetto da Pallasuono che era proprio come quello da pallavolo. Tutt’intorno c’era la pista per le corse sui pattini. All’ingresso, prima degli spogliatoi, una piccola tettoia copriva grandi scaffali con pattini, ordinati per numero di scarpa.
«Io devo assolutamente fare un giro!» Giulia si sedette per indossare i pattini. «Adoro pattinare fin da quando ero molto piccola.» Strinse i lacci della scarpetta. «A volte, d’estate, giro per il mio paese con i pattini addosso e vado anche nei negozi!»
Camilla e Pietro la guardarono, mentre sfrecciava felice sulla pista. Quando pattinava le sembrava di volare, era una sensazione di fantastica libertà e la rendeva euforica. Vide che i suoi nuovi amici sorridevano, ammirati e divertiti dalle sue acrobazie.
Più tardi, accontentarono anche Camilla che desiderava tanto visitare la serra dei fiori, ma, mentre lei girava estasiata chiacchierando con il signor Giorgio, Giulia uscì.
Si ritrovò a camminare sul sentiero che conduceva allo splendido lago. L’aveva già colpita durante la sua prima visita. “Il Lago Sussurrante” c’era scritto sulla piantina. Era immenso, le sue acque verde scuro non lasciavano intravedere assolutamente nulla. Si perdeva in molte anse tra le colline boscose che lo circondavano. Quello che più la impressionò era il silenzio che regnava attorno a esso. Si sentiva attratta e nello stesso tempo impaurita da quelle acque.
«Non avvicinatevi alla sponda» si era raccomandato il signor Giorgio. «Il lago è pericoloso.»
«Perché?»
All’inevitabile domanda dei ragazzi, rispose evasivo. «È soggetto a improvvise maree e pericolosi gorghi.»
Eppure le acque sembrano così tranquille…
La giornata pareva proprio non finire più, ma finalmente arrivò l’ora di andare a dormire. Per cena mangiarono una crema di verdure, con deliziosi crostini e una frittata con le patate. Giulia era veramente stanca, ma prima di sdraiarsi, suonò una ninna nanna al suo adorato uovo.
Stava quasi per addormentarsi, quando sentì bussare alla finestra. Sorpresa sollevò il capo e vide il volto di Pietro sorridente, spiaccicato sul vetro.
Scese dal letto, gli andò incontro e aprì l’imposta. L’aria era fredda e il cielo sembrava nuvoloso.
«Ma che ci fai qua fuori? E come hai fatto ad arrivare, non ti sarai mica arrampicato?» disse Giulia preoccupata. Si affacciò e cercò di guardare nel buio.
«Volevo augurarvi buona notte.» Le stampò un bacio sulla guancia.
Giulia cominciava ad abituarsi alle sue attenzioni così espansive.
«Non lo sai? Tutte le stanze danno su questo terrazzo, basta scavalcare la finestra…»
Giulia scosse la testa divertita. «Camilla dorme già.»
Pietro lanciò un bacio anche alla compagna addormentata. «Sarà meglio che andiamo a dormire anche noi!» Le strizzò l’occhio e sparì nel buio.
Giulia tornò a letto, ma, mentre si sdraiava, sentì il suo uovo scricchiolare. «Accidenti!» esclamò preoccupata.
Cosa devo fare?
Si precipitò fuori dalla finestra con il suo uovo e chiamò Pietro sottovoce procedendo nella direzione in cui l’aveva visto sparire.
Per fortuna il ragazzo non era ancora arrivato alla sua finestra. «Che succede?»
«Il mio uovo! Sta scricchiolando» disse agitata.
«Lo sapevo che sarebbe esploso» scherzò, ma vedendo che Giulia era veramente preoccupata, si fece subito serio.
«Accidenti, starà per nascere?» chiese Giulia, ma sapeva benissimo che Pietro ne sapeva quanto lei.
«Andiamo da Filippo» disse lui con voce ferma e tranquilla.
«Adesso?» Era già buio e, da lì a dieci minuti, avrebbero spento le luci.
«Sì, vieni. Da qui si arriva alla scala esterna, scendiamo e costeggiamo la Sala Comune, finché arriviamo alla biblioteca» disse Pietro e, prendendola per mano, cominciò a camminare svelto.
«Sarà già nel suo alloggio o sarà ancora alle stalle?» Giulia per fortuna, ricordava bene la piantina della scuola, comunque si stava già tranquillizzando, la presenza di Pietro la aveva dato immediato conforto.
«Prima proviamo nella sua camera» disse il ragazzo.
Un attimo dopo, erano già saliti al secondo piano dove c’erano gli alloggi degli insegnanti e stavano bussando alla porta, con scritto sulla targhetta “Professor Filippo Gentile”. La scritta “Professor” era stata cancellata.
«Che succede?» Dalla porta accanto, sbucò fuori la professoressa Diana che li guardò severa. «Che ci fate qui a quest’ora?»
«È per il mio uovo!» si giustificò subito Giulia e glielo mostrò.
«Filippo è ancora alle stalle.» Sembrò comprendere la situazione. «Vi accompagnerò da lui.» Rientrò un momento nella sua stanza a prendersi la giacca, chiuse la porta alle sue spalle e fece loro strada.
Camminarono svelti, attraversarono il prato e si infilarono nelle stalle, lì per fortuna faceva più caldo. In quel momento Giulia si rese conto che, sia lei che Pietro, erano in pigiama.
«L’uovo sta per schiudersi» spiegò brevemente la professoressa a Filippo.
Il professore sorrise. «E siete venuti subito da me come vi avevo detto. Ben fatto.» Prese l’uovo tra le sue grandi mani e lo osservò attentamente.
«C’è solo una piccola spaccatura, in questo punto.» Fece loro segno. «Sicuramente ci vorrà ancora tempo, ma sarà meglio che lo lasciate qui, così potrò tenerlo d’occhio e domattina verrete a vedere se si è schiuso. Diana, puoi accompagnare i ragazzi in camera?»
«No, no, per favore!» sbottò Giulia, forse un po’ troppo forte.
I professori la guardarono allarmati.
«Scusatemi tanto.» Abbassò il tono. «Ma non mi voglio perdere la nascita del mio animusi, per nessuna ragione al mondo.»
Filippo la guardò sorpreso.
Giulia restituì lo sguardo a Filippo, implorante ma irremovibile. «Non mi separerò dal mio uovo.»
Filippo sorrise e sospirò. «E va bene, puoi restare qui con me, avvolgiti in una di quelle coperte laggiù e siediti qua sul fieno.»
Filippo non aveva ancora finito di parlare che Pietro si era precipitato a prendere due coperte e si era già sistemato. «Io resto con lei.»
I due professori si guardarono perplessi, ma divertiti.
«Allora io vado» disse la professoressa Diana. «Ma non crediate che tutto questo giustifichi una vostra assenza o ritardo per domattina.» Li guardò severa. «Ci vediamo puntuali alle sette, sul prato, per la ginnastica mattutina.»
«Certo professoressa e grazie» risposero i ragazzi, quasi in coro, poi si guardarono e scoppiarono a ridere.
Giulia era felice ed emozionata, era contenta che Pietro avesse deciso di rimanere con lei, la sua presenza la tranquillizzava, come se si conoscessero da tanto tempo.
«Ehm… Filippo» chiese Giulia dopo un po’. «È tutto a posto, vero? Voglio dire, perché si sta già schiudendo il mio uovo, avevi detto un paio di giorni…»
«Oh, sì, non ti preoccupare, piccola.» Filippo le scompigliò i capelli. «Probabilmente hai suonato molto per lui… Anche io feci schiudere il mio uovo, durante la prima notte passata qua a scuola.» Sorrise con lo sguardo perso nei ricordi.
Dopo un po’ guardò verso di lei. «E anche io dormii proprio qui, accanto al mio uovo. Pensavo che non avrei mai rivissuto quel momento… In tutti questi anni me n’ero quasi dimenticato, feci letteralmente impazzire il mio professore per convincerlo a non mandarmi via» rise al ricordo.
Poi si fece serio e la guardò negli occhi, con affetto. «Sai? Il mio professore era proprio tuo nonno…»
Dopo quella rivelazione, calò il silenzio. Ogni volta che sentiva nominare suo nonno, Giulia provava un senso di vuoto e di frustrazione.
Io non riesco a ricordarlo e nessuno a casa me ne ha mai parlato, perché?
Sospirò e decise di suonare ancora un po’.
«Le note basse fanno tranquillizzare e dormire l’animusi, mentre quelle acute gli danno forza» spiegò Filippo.
Il tempo passava e Giulia stava morendo di sonno, ma non riusciva a dormire, perché era agitata e aveva freddo.
A un certo punto Pietro si alzò avvicinandosi a lei.
«Vediamo se riusciamo a stare un po’ più caldi» le disse piano.
Si sedette dietro di lei, stendendo le gambe a lato delle sue, quindi l’abbracciò avvolgendola anche con la sua coperta. Giulia trattenne il fiato sorpresa.
«Facciamo a turno, prima dormi un po’ tu, se l’uovo scricchiola ti sveglio subito» le promise con voce dolce.
Giulia annuì. Si era irrigidita. Quell’abbraccio le sembrava un po’ troppo intimo, era decisamente consapevole della sua presenza e del calore che emanava. Non era mai stata così vicina a un ragazzo. Il suo cuore accelerò. Il disagio durò solo per un attimo, in realtà la vicinanza di Pietro le diede conforto, la fece sentire al sicuro e poco dopo si tranquillizzò. Era molto strano, perché in generale era piuttosto infastidita dal contatto fisico con le altre persone, soprattutto se le conosceva da poco tempo, ma con Pietro aveva notato subito una sorta di affinità a pelle.
Pensando a quello si assopì.

«Giulia, svegliati.» Pietro la scrollò dolcemente. «L’uovo» le disse eccitato.
Giulia abbassò lo sguardo. Vide che la spaccatura si era diramata in tante piccole altre venature e l’animusi all’interno faceva scrollare l’uovo di qua e di là.
Si guardò intorno. «Dov’è Filippo?» chiese allarmata.
«Mi ha detto che tornava subito.» Pietro alzò le spalle.
All’improvviso, uno scrollone più vigoroso fece saltar via un bel pezzo di guscio e Giulia vide spuntare un piumino di colore azzurrino.
«È un topogallo!» esclamò.
Una zampetta era uscita fuori, ma sembrava che avesse qualche problema a tirar fuori il musetto. Un altro colpo e da un buco nuovo uscì il nasino e il resto della testa, ma rimase intrappolato. L’animusi squittì e si agitò, sembrava in difficoltà. Giulia voleva aiutarlo, ma aveva paura di ferirlo, il guscio dell’uovo era molto spesso e pareva tagliente.
«Sta male… Che facciamo?» Anche Pietro era preoccupato.
Improvvisamente, a Giulia venne un’idea. Prese il suo flauto e intonò una canzoncina con note molto acute.
Filippo ha detto che danno forza!
La melodia di Giulia fece effetto. Il piccolo batuffolo azzurro cominciò a rosicchiare l’uovo con i suoi dentoni, tutto intorno al buco dov’era incastrata la testa, poi, con due vigorosi calcioni, finalmente l’uovo si aprì definitivamente.
Giulia sospirò di sollievo e appoggiò le mani per terra vicino all’uovo rotto. Il piccolo topogallo alzò il musetto verso di lei.
«È tenerissimo!»
La annusò un momento e salì fiducioso acciambellandosi comodamente. Giulia tremava per l’emozione, aveva l’impressione di tenere tra le mani la cosa più preziosa del mondo. Sembrava un criceto o forse una marmotta, aveva un musetto da topolino con le orecchie piccole, ma era di quello strano colore azzurro. Le ali non si vedevano quasi, erano ripiegate dietro la schiena e al posto della coda aveva lunghe penne come gli uccelli. Sospirò e si accorse che lacrime di gioia le stavano offuscando la vista. Avvicinò lentamente il topogallo al suo viso e l’animusi strisciò il musetto sulla sua guancia.
È il momento più bello della mia vita.
Nel frattempo arrivò Filippo e Pietro gli raccontò a raffica tutto per filo e per segno. Il professore abbracciò i due ragazzi, poi grattò la testa dell’animusi.
«È in ottima forma e con te starà benissimo.» Sorrise benevolo. «Adesso, però, ci vuole un bel nome…»
«È un maschio?» chiese Giulia.
«Sì, le femmine sono rosa o gialle, i maschi azzurri o verdi» spiegò Filippo.
«Allora Ciccio» Giulia ci aveva già pensato, era il nome del suo primo pupazzetto fatto a topolino che aveva avuto da bambina. «È bellissimo.»
Pietro rise. «Certo, Ciccio è proprio azzeccato.» Anche lui lo accarezzò sopra la testa e strinse Giulia per le spalle. «Con tutto quello che gli suonerai, diventerà tanto grasso che non riuscirà mai a volare.»
Risero divertiti e soddisfatti.

2 commenti:

  1. i caratteri sono ottimali ora, nonostante gli strani cambi di scrittura e misura che fa il tuo blog, sicuramente tutto si aggiusterà con la pubblicazione. Purtroppo non riesco ad apprezzare i cambiamenti che hai fatto perchè non li recepisco io li leggo ma non trovo i cambi o le modifiche che hai fatto a parte i pensieri di giulia perchè il mio cervello funziona in un modo strano probabilmente quando rileggerò la melodia sibilante "vecchia" forse li noterò.
    comunque mi piace molto anche questa versione

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    1. Grazie Barbara, in realtà non ci sono grandi cambiamenti e se non li noti, meglio così! Vuol dire che non ho "rovinato" nulla!! Il mio intento è solo quello di renderlo più scorrevole. Ma non solo. Ho organizzato questa lettura collettiva per rivivere insieme i momenti più belli e magari raccontarvi qualche curiosità o retroscena e ovviamente vorrei sapere anche quello che è piaciuto di più a voi!

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