Come forse qualcuno di voi ha letto nei miei aggiornamenti sui "Lavori in corso", sto rileggendo la Melodia Sibilante con l'intento di revisionarla, correggere eventuali refusi residui, insomma: migliorarla.
Ci tengo molto a questo romanzo e, dopo quattro anni, mi rendo conto che il mio stile è leggermente mutato, più scorrevole e, mi auguro, più corretto. Così ho deciso di intraprendere questo lavoro di ristrutturazione.
Ho pronto per voi il capitolo uno, chi ha voglia di rileggerlo con me? Mi farebbe piacere conoscere il vostro parere, qualche consiglio o possiamo rivivere insieme le emozioni di questa avventure e chiacchierare insieme di quello che vi è piaciuto, vi ha sorpreso o vi è mancato.
Fatevi sotto!!
Capitolo 1
Una scuola originale
Questa
sarà una mattinata speciale.
Giulia si stava preparando in
tutta fretta per andare a scuola. Era agitata. Il giorno
dell’orientamento scolastico era finalmente arrivato e gli studenti
delle classi terze dovevano decidere a quale scuola superiore
iscriversi.
Per sentirsi più sicura,
aveva indossato la sua felpa preferita, quella con la tigre, e i suoi
jeans più comodi, anche se erano sbiaditi e consumati.
Si guardò nello specchio
mentre si calcava il cappello sulle sopracciglia: era buffa
imbacuccata in quel modo, ma a lei non importava. Era freddo e poi
sapeva perfettamente di non essere bella. Nessuno glielo aveva mai
detto a parte sua madre.
Ma lei non conta, no?
Giulia era alta e magra, aveva
una pelle slavata e gli occhi verdi, forse quelli erano la parte di
lei che le piaceva di più, ma per il resto…
Alzò le spalle con
indifferenza, la scambiavano spesso per un ragazzo e in un certo qual
modo ne andava fiera, a lei non piacevano i trucchi, i vestiti e
tutte quelle sciocchezze di cui parlavano sempre le altre ragazze.
Lei era un maschiaccio, era
forte e non aveva bisogno di nessuno, tanto meno di un ragazzo.
In passato aveva avuto diversi
amici maschi, ma ultimamente si comportavano in modo assurdo. Alcuni
la guardavano con timore, come se fosse diventata una creatura
strana, aliena.
Altri, invece la riempivano di
attenzioni, come se improvvisamente non fosse più stata capace di
fare nulla da sola.
Maschi!
E poi a lei non piaceva farsi
aiutare, nemmeno quando ne aveva davvero bisogno.
«Giulia,
hai finito di mangiare?» La voce di sua mamma le arrivò dalla
cucina.
Sentiva
ancora aleggiare nell’aria l’odore del caffè, lo inspirò e
sorrise. Le piaceva l’aroma, anche se non lo beveva, rendeva
l’atmosfera mattutina dolce e confortante.
«Sì,
mamma.» In realtà aveva lo stomaco chiuso ed era riuscita a buttare
giù solo un paio di sorsi di latte.
La
scelta della nuova scuola la tormentava e nello stesso tempo la
rendeva euforica. Era la prima volta che avrebbe preso una decisione
tanto importante per se stessa; avrebbe condizionato la sua vita,
almeno per i prossimi anni e lei non aveva ancora le idee chiare.
«Ciao,
vado!» Si chiuse la porta alle spalle e si precipitò giù per le
scale, “senza nemmeno un bacio” si sarebbe lamentata sua mamma,
se avesse potuto.
Giulia
non amava le smancerie.
Sospirò
ancora pensando alla scuola. Molti suoi compagni avevano preso la
loro decisione già da tempo, ma lei no. Non riusciva a immaginare
cosa avrebbe voluto fare da grande, come se nel mondo che conosceva
non ci fosse nessun posto adatto a lei.
Molto
spesso infatti si sentiva estranea a tutto quello che la circondava,
come un “pesce fuor d’acqua”. Era convinta di essere diversa
dagli altri, a volte insignificante, invisibile. Credeva che non ci
fosse nessuno in grado di capirla veramente.
I
suoi professori le avevano consigliato di iscriversi al liceo
scientifico, lei, però, non era per niente convinta; avrebbe
preferito imparare a fare qualcosa di pratico, ma i suoi genitori non
volevano che frequentasse una scuola professionale; probabilmente
alla fine avrebbe scelto un istituto tecnico, informatica,
ragioneria…
C’era
una materia in particolare, però, che le dispiaceva non poter più
studiare: la musica. Non c’era nessuna scuola tecnica in cui si
studiasse la musica.
Suo
padre le diceva: “In fondo, a cosa serve la musica?”
Beh,
non so spiegarlo con chiarezza, ma a me serve.
Anche
se era una ragazza pratica e molto razionale, Giulia nascondeva
dentro di sé un mondo speciale.
Spesso
stava lì, con lo sguardo perso nel vuoto, a immaginare di essere
qualcun altro: una guerriera, un’eroina forte e coraggiosa che in
sella al suo destriero, dal manto nero lucente, correva in aiuto dei
più deboli.
La
musica aveva a che fare con questo suo mondo immaginario, era sempre
stata una presenza costante nella sua vita. Anche se non ne aveva mai
approfondito lo studio, sapeva eseguire semplici melodie con il suo
bellissimo flauto di legno.
Quando
lo suonava aveva l’impressione di poter varcare un velo sottile ed
entrare in quel luogo meraviglioso, abitato da persone che
l’apprezzavano veramente per ciò che era e non per quello che
sembrava. Nel suo mondo speciale lei era la protagonista e non una
comparsa insignificante.
Comunque, la professoressa di
musica le aveva detto di portare il suo flauto e, strizzandole
l’occhio, le aveva sussurrato misteriosa: “Ci sarà una
sorpresa…”
Più tardi, quella mattina,
gli studenti delle classi terze vennero riuniti nell’auditorium. Ci
fu un breve intervento del loro preside. «Ricordate,
la scelta che state per compiere e molto importante e condizionerà
per sempre il vostro futuro.»
Già, tanto per
tranquillizzarci!
I professori si susseguirono
uno dietro all’altro dicendo esattamente le stesse cose che erano
scritte nei depliant di presentazione. Per ultima, si presentò la
preside di una scuola di cui non aveva mai sentito parlare: Armonia,
“Istituto Agrario
Alternativo a Indirizzo Musicale”.
Giulia
ne rimase incantata, non sapeva perché, ma ebbe la sensazione di
conoscerla, o forse le sembrava uno dei personaggi delle sue storie
immaginarie.
Era
vestita semplicemente, ma emanava un che di regale. Portava i capelli
bianchi tagliati corti e dietro ai piccoli occhialini rettangolari
brillavano grandi e vivaci i suoi occhi azzurri.
La
preside Gloria Orchestri prese la parola. «La nostra scuola prevede
una serie di corsi sulla botanica, floricoltura, agraria e
allevamento di animali domestici. Prepariamo
i ragazzi dando loro insegnamenti pratici su come gestire una
fattoria o un agriturismo, con l’utilizzo di energie alternative.»
Poi aggiunse con
enfasi: «I
ragazzi ricevono comunque un’istruzione classica, scientifica e
persino artistica studiando anche la musica...»
Giulia trattenne per un attimo
il respiro.
Ho capito bene?
Il cuore le accelerò, lo
sentì tamburellare nelle orecchie.
Sembra proprio la mia
scuola ideale! Devo assolutamente andare ad Armonia.
Alla fine delle presentazioni,
il preside si fece avanti. «Invito
gli studenti che desiderino avere maggiori informazioni ad
avvicinarsi per parlare privatamente con i professori, a ognuno è
stata riservata un’aula.»
Giulia vi si precipitò.
«Buongiorno, mi chiamo Giulia
Accordi» disse entrando timidamente.
«Accordi?» La preside alzò
gli occhi e la osservò in modo strano, sembrava commossa.
«Sì, esatto.» Giulia la
guardò confusa alzando un sopracciglio.
Rimasero a fissarsi per un
attimo, ma Giulia ebbe l’impressione che il tempo si fermasse.
Quella signora, dai modi nobili ed eleganti, le trasmise una serie di
sensazioni che non riusciva a spiegare razionalmente, qualcosa di
piacevole e dolce che era legato ai suoi ricordi, ma era tutto molto
confuso.
La preside le sorrise
amorevolmente sospirando, le strinse la mano e la fece accomodare
accanto a lei. «È molto tempo che non sento quel nome.» Cercò di
ricomporsi. «Forse non lo sai, ma io conoscevo molto bene tuo
nonno…»
«Mio nonno?» Giulia in quel
momento, oltre a essere confusa, si sentì turbata. Suo nonno era
morto molti anni prima, quando lei aveva solo tre anni. Non aveva
ricordi di lui e nessuno in famiglia ne parlava mai. Non le era
neppure chiaro come fosse morto. Ogni volta che cercava di pensare a
lui era come se si trovasse immersa in un banco di nebbia. Se le
veniva in mente di chiedere qualche notizia ai suoi genitori,
accadeva qualcosa che la distoglieva, poi veniva distratta e non ci
pensava più. Era tutto molto strano.
La preside si accorse del suo
turbamento e cercò di alleggerire l’atmosfera. «Allora, cara, sei
interessata alla nostra scuola? Hai portato il tuo flauto?»
Giulia annuì e le mostrò il
suo bel flauto di legno, glielo aveva regalato proprio sua nonna e…
Ha detto che era del nonno!
Si sentiva davvero confusa e
in difficoltà. «Beh, io non ho mai studiato musica seriamente…»
«Non preoccuparti, la musica
non deve essere mica seria.» La preside le sorrise accattivante. «La
musica è divertente. Avanti, fammi sentire qualcosa» la invitò con
dolcezza.
Giulia prese fiato e suonò
una canzoncina che sapeva a memoria. Come le accadeva ogni volta che
suonava, anche in quel momento si sentì pervadere da una sensazione
piacevole che l’avvolgeva e la faceva sentire al suo posto.
La preside sorrise
compiaciuta, come se quello che aveva sentito confermasse in qualche
modo ciò che già sapeva. Stupendo la ragazza, tirò fuori dalla sua
borsa un flauto di legno scuro con delle incisioni. Sembravano
animali e fiori.
«Ora ascolta e prova a
ripetere quello che suono io.» Eseguì prima la scala, poi due volte
un arpeggio e infine altre note.
A Giulia non era mai capitato
quando sentiva suonare le altre persone, ma la musica della preside
le provocò bizzarre sensazioni, uno strano formicolio le solleticò
la fronte, non la pelle.
È
come se qualcosa di strano stesse succedendo dentro la mia testa…
Giulia cercò di concentrarsi
e memorizzò le note. Appena la preside ebbe terminato, ripeté alla
perfezione.
«Bene, buon orecchio e buona
memoria» disse quasi tra sé. «Allora, qua c’è il volantino
della nostra scuola, dobbiamo assolutamente averti tra i nostri
allievi.» Le sorrise raggiante.
Giulia prese il volantino e lo
aprì, le cadde l’occhio su di una foto: camerate.
«Ma si resta anche a
dormire?» Quella notizia la turbò, non amava dormire fuori casa e
sicuramente i suoi non sarebbero stati felici se fosse andata via,
erano molto protettivi. «Ecco, non saprei… Temo che i miei
genitori…» Immediatamente pensò anche alla spesa che avrebbero
dovuto sostenere. «Quanto costa le retta?»
Mio padre non guadagna
molto, è solo un operaio…
Quel pensiero smorzò il suo
entusiasmo.
«Oh, cara...» La donna le
sorrise. «Non preoccuparti di questo, i costi sono ammortizzati dal
lavoro che gli studenti svolgono nel loro tirocinio. Comunque, se
vuoi, posso parlare io con i tuoi genitori…»
Giulia si rasserenò, la
preside le ispirava un’assoluta fiducia e lei non aveva più dubbi.
In un modo o nell’altro
andrò in quella scuola.
Passate un paio di settimane,
come promesso, la preside si era messa in contatto con la sua
famiglia. Incredibilmente, non aveva avuto alcuna difficoltà a
convincere i suoi genitori. Complice era stata anche la nonna Gemma;
Giulia aveva scoperto che anche lei conosceva Gloria Orchestri.
Così, due mesi dopo, in
primavera, eccola in macchina con i suoi diretta alla “Giornata di
scuola aperta” per una visita ad Armonia, ”Istituto
Agrario Alternativo a Indirizzo Musicale”,
presso la Fattoria
Muse.
Giulia
guardava fuori dal finestrino e pensava.
Erano
successe cose molto strane, prima fra tutte la sua determinazione a
iscriversi ad Armonia.
Senza
nessun’altra mia compagna o amica!
In
realtà non era da lei buttarsi a quel modo, ma le era scattata
dentro una forte convinzione che non lasciava posto a nessun dubbio.
Come se, a un tratto, un pezzo mancante di un puzzle fosse andato al
suo posto, permettendole di capire il senso del disegno che si stava
formando per indicarle la sua strada.
In
secondo luogo, una settimana dopo la scadenza delle iscrizioni, era
arrivato a scuola un nuovo ragazzo: Luca Conversi. Un avvenimento
davvero insolito. In un paesino di provincia capitava raramente che
arrivassero nuovi studenti, soprattutto ad anno scolastico già in
corso. Era stato inserito in un’altra classe, ma anche lui era
iscritto ad Armonia. Probabilmente quel giorno si sarebbero
incontrati.
Anche
la nonna Gemma aveva stupito Giulia con molte rivelazioni. Non solo
conosceva la preside, ma aveva frequentato Armonia. Proprio lì,
infatti, aveva incontrato e conosciuto suo nonno: Rodolfo Accordi,
divenuto poi, niente meno che, un professore di quella scuola.
«La
giornata comincerà con la visita guidata alla fattoria biologica ed
eco-sostenibile.» La preside
Gloria Orchestri li accolse al cancello. «Vi mostreremo come
il lavoro degli studenti contribuisce all’andamento delle
attività.»
La fattoria non era molto
diversa da alcune strutture che Giulia aveva visitato in passato,
nulla di speciale, di certo non sembrava affatto una scuola. Poi i
genitori vennero invitati nel salone centrale, dietro alle cucine,
per una riunione sulle questioni burocratiche e si salutarono.
«I
vostri genitori torneranno a prendervi più tardi.» La preside
Gloria Orchestri fece cenno di seguirla. «Vi
porterò a visitare il resto della struttura.»
Li radunò in una sala arancione.
Giulia si guardò attorno.
Erano circa una ventina. Non era solita guardare i ragazzi, o meglio,
cercava di non farlo o comunque di non darlo a vedere, anche perché
in generale nessuno restituiva il suo sguardo con interesse o con
l’espressione che avrebbe voluto vedere lei, quindi cercava di
evitare inutili delusioni.
Vide un ragazzo, però, che
attirò inevitabilmente la sua attenzione. Aveva i capelli neri
corti, non era tanto alto, ma piuttosto robusto e la sua pelle era
olivastra. Aveva occhi scuri, con un taglio leggermente orientale,
ciglia folte e sopracciglia marcate. Il suo viso mostrava ancora
qualche traccia delle rotondità tipiche dell’infanzia. La stava
guardando anche lui.
Quegli occhi… Hanno
un’aria familiare, ci conosciamo?
Le fece un mezzo sorriso che
gli diede subito un’espressione accattivante e amichevole, forse un
po’ impertinente, ma la colpì. Si sentì piacevolmente confusa e
un senso di calore le si insinuò nel cuore, non poté fare a meno di
sorridergli a sua volta.
Accanto a lui c’era una
ragazzina. Era piuttosto bassa e un po’ grassottella, aveva spessi
occhiali e capelli a caschetto di colore castano scuro. L’aveva già
notata prima di entrare, mentre parlava insieme a sua mamma con la
preside Orchestri.
Sembravano in confidenza e, le
era parso, che stessero parlando proprio di lei. Si avvicinò, voleva
conoscerli.
«Ciao, anche tu sei della
“Leopardi”, vero?» Una voce alle sue spalle la fermò.
Giulia si voltò e vide
proprio quel
Luca Conversi a cui stava pensando prima in macchina. Era un bel
ragazzo, poco più alto di lei, capelli biondi spettinati, occhi
chiari, forse grigi.
Tutte le ragazze a scuola
erano già innamorate di lui, ma non Giulia, per natura era piuttosto
diffidente. Aveva notato anche lei che era molto carino, ma le dava
l’impressione di essere arrogante, non le ispirava nessuna fiducia
e non gli avrebbe concesso troppa confidenza.
«Ciao, sì, mi chiamo Giulia
e tu sei Luca, giusto?» Gli sorrise educatamente, ma sostenuta.
«Sì, giusto, allora sono
famoso?» Sorrise impertinente.
«Beh, sai? Sei quello nuovo!»
rispose per le rime.
Sì, decisamente arrogante.
Il gruppo si mosse e si fermò
alla fine di un corridoio davanti a una porta verde.
«Attenzione, questa porta
conduce alla scuola vera e propria. È severamente vietato l’ingresso
a coloro che non siano studenti o professori, ma oggi, solo per voi,
faremo un’eccezione...»
Chissà perché c’è
questa regola così rigida? A
Giulia parve un’esagerazione.
«Vi ricordo inoltre»
continuò la preside «di non portare telefonini o macchine
fotografiche, perché interferiscono con la delicata rete elettrica a
energia solare che alimenta la scuola.»
Ci fu un mormorio generale. E
qualcuno tornò indietro di corsa a posare gli oggetti in questione.
«Attenzione, adesso
attraverseremo la porta uno per volta. Dall’altra parte del
corridoio, fermatevi e aspettatemi. Non dovete assolutamente
allontanarvi dal gruppo. Riceverete un assaggio di come saranno le
vostre giornate future.»
«Prima le signore.» Luca la
lasciò passare avanti, sembrava nervoso.
Giulia fece una smorfia.
«Grazie, ma non sono una signora né vorrei esserlo» rispose un po’
scocciata.
«E dai...» Le diede una
leggera spallata. «Non fare la sostenuta, saremo nella stessa
classe.» Le sorrise cercando di abbagliarla. «Non possiamo essere
amici?»
Giulia sospirò, non le
piaceva essere messa in difficoltà e quel Luca non le sembrava il
tipo su cui poter fare affidamento.
La preside, prima di farli
passare, suonava una breve melodia con il suo flauto,
inspiegabilmente Giulia ebbe l’impressione che li stesse
controllando.
Che cosa insolita…
«Aspetta!»
Luca la fermò. «Puoi tenermi lo zaino? Ho dimenticato la giacca
fuori su una panchina…» disse con un’espressione implorante.
«Va bene, ti aspetto di là»
cedette Giulia.
Toccava a lei. Non si vedeva
nulla dall’altra parte della porta, era tutto buio. Giulia sentiva
la strana melodia, ma la preside Orchestri smise di suonare quando
lei passò e sorrise.
«Sono molto felice di avere
tra i nostri studenti la nipote di un vecchio amico.» Il suo sguardo
tornò a risvegliare in lei quei ricordi e quelle sensazioni, proprio
com’era successo quando l’aveva vista per la prima volta.
Giulia ricambiò il sorriso,
di nuovo un po’ turbata. Fece un passo ed ebbe l’impressione di
cadere, come se non avesse visto un gradino e avesse appoggiato il
piede più in basso di quanto si aspettasse.
Poi vide, nella penombra, il
resto del gruppo, erano radunati più avanti e proseguì nel
corridoio. Voleva raggiungere il ragazzo dagli occhi neri... e la
ragazzina con gli occhiali, ovviamente.
Se sua mamma conosce la
preside, sicuramente saprà già un sacco di cose.
«Molto bene, adesso
seguitemi.» La preside li superò e fece strada nel corridoio.
«Alla vostra destra c’è la
biblioteca.»
La biblioteca!
Giulia sbirciò passando
quell’infinità di libri, scaffali su scaffali. Avrebbe voluto
entrare a dare un’occhiata. Era in stile decisamente più classico
ed elegante rispetto al resto della fattoria che avevano visitato.
L’edificio non sembrava
così grande dall’esterno…
Comunque la biblioteca era
proprio invitante, non vedeva l’ora di poterci passare del tempo.
Svoltarono a sinistra e
proseguirono.
«A destra ci sono gli alloggi
degli insegnanti e a sinistra la Sala Cure. Adesso usciremo
all’esterno.»
Quando uscirono Giulia provò
un’intensa sensazione di déjà-vu.
Sono già stata qui. È
possibile?
La luce fuori era strana.
Guardò il cielo, aveva un colore rossastro, forse era scesa della
foschia. Nell’aria c’era un intenso profumo dolce di rose, doveva
esserci un roseto lì vicino. Lei adorava il profumo delle rose. Si
sentiva strana e le girava leggermente la testa.
Si trovarono di fronte a un
grande edificio. «Qua c’è la grande Sala Comune, dove si mangia e
ci si riunisce, mentre al piano di sopra ci sono le camerate»
spiegava intanto la preside.
Svoltarono ancora a sinistra e
si ritrovarono in un grande spazio aperto. Un fitto bosco, a
sinistra, delimitava un vasto prato, dal lato opposto, si
affacciavano le stalle e altri edifici in lontananza. L’erba era di
un verde intenso e brillante.
Che bel posto.
Le veniva voglia di fare una
corsa su quell’immenso prato.
Era confusa, continuava a
percepire strane sensazioni che non riusciva a capire chiaramente,
avrebbe voluto fermarsi per analizzarle, ma la preside stava
proseguendo.
Vennero condotti verso gli
orti e la serra. La scuola sembrava deserta.
«Ma dove sono gli studenti?»
chiese una ragazza.
«Sono in trasferta, oggi c’è
un’importante partita di Tornado,
uno sport simile all’hockey. La nostra scuola è arrivata di nuovo
in finale, quindi sono andati tutti a fare il tifo» disse orgogliosa
la preside.
«Eccomi.» Luca era riapparso
al suo fianco, aveva il fiatone.
«Tieni, ma cosa c’è lì
dentro? Ti sei portato dietro mezza casa? Pesa un quintale!» Gli
restituì lo zaino.
«Ehm…» Luca sembrava
imbarazzato. «No, niente, mi spiace…» Poi le chiese, studiandola:
«Tutto a posto?»
Giulia lo guardò stranita.
«Sì» rispose alzando le spalle e proseguì seguendo gli altri.
Oltre la serra, si aprì sulla
sinistra un panorama mozzafiato: un meraviglioso e immenso lago verde
scuro, incorniciato da colline boscose che scendevano dolcemente.
Ma com’è possibile?
Prima non ho visto nessun lago!
Si sentì attratta da quelle
acque magneticamente, avrebbe voluto sfiorarne la superficie, ma…
«Mi raccomando» disse la
preside. «Non avvicinatevi all’acqua!»
«Perché?» scherzò
qualcuno. «C’è il mostro di Loch
Ness?» Seguì una
risata generale.
«Ora venite con me dentro la
serra» tagliò corto.
Giulia a malincuore accelerò
per non rimanere indietro. Sua nonna le aveva parlato con molto
entusiasmo dei fiori che si coltivavano ad Armonia. Mentre seguiva la
fila, incantata dai bellissimi narcisi rosa, perse nuovamente di
vista Luca.
Dov’è finito?
Intravide più avanti la
ragazza con gli occhiali e il ragazzo. Lui la guardava di nuovo.
Giulia si sentì il cuore battere forte e cercò di allungare il
passo. Non fece molta attenzione ai fiori intenta com’era a cercare
di raggiungerli.
Quando uscirono il cielo si
era fatto violetto e stava venendo buio.
«Adesso andremo a fare uno
spuntino nella Sala Comune e poi vi riporterò indietro, tra un’ora
arriveranno i vostri genitori.»
La Sala Comune era spaziosa,
aveva tende e tovaglie color arancio, molti tavoli da sei e otto
posti. Le finestre erano piccole e rettangolari. Tutto l’arredamento
era in stile rustico, molto accogliente e avvolto in un aroma di pino
e pane caldo.
Mentre si sedevano cercò
ancora di individuare quel ragazzo, quando ecco riapparire
Luca.
«Dov’eri finito?» Non le
dispiaceva che si fosse aggregato a lei, tutto sommato la faceva
sentire meno sola.
«Sono rimasto indietro» si
giustificò.
Purtroppo il tavolo dove si
era seduto il ragazzo con gli occhi neri era già tutto occupato,
così Giulia si sedette a un altro, assieme a Luca. Furono offerti
pane e marmellata, ovviamente genuini e artigianali, un fantastico
cesto di mele e pesche dei loro alberi. Lei e Luca chiacchierarono
del più e del meno, Giulia non gli prestò molta attenzione, si
sentiva addosso i suoi occhi. Non voleva voltarsi, ma aveva
la certezza che la stesse guardando di nuovo.
Ripercorsero la strada verso
l’edificio della biblioteca, fino alla porta verde. Varcandola
Giulia provò ancora quello strano senso di vertigine e, una volta
usciti dal salone della fattoria, vide che il cielo era molto più
scuro rispetto a prima.
Che strano.
«Ciao.» Una voce sottile la
fece voltare.
La ragazza con gli
occhiali! Finalmente!
Era seguita a ruota dal
ragazzo, le stavano sorridendo in modo molto amichevole.
«Oh, ciao.» Giulia ricambiò
il sorriso entusiasta.
La ragazza arrossì
imbarazzata. «Allora, tu sei…»
«Sei rimasta contenta della
visita alla scuola?» Si fece avanti il ragazzo, sembrava che
l’avesse interrotta di proposito. La sua voce era calda e gentile.
Aveva di nuovo quel mezzo
sorriso. I suoi occhi scuri la scrutavano curiosi, ma molto dolci.
«Oh sì, certo.» Giulia fece
un respiro profondo, si sentiva di nuovo piacevolmente confusa. «Mi
chiamo Giulia Accordi, piacere di conoscervi.» Intanto tese loro la
mano.
«Sì, lo sappiamo.»
La ragazza si fece più vicina.
Lo
sanno? Come fanno a conoscermi?
«Io
sono Camilla Fedeli e lui è Pietro Leoni.» Le strinsero la mano.
Quella di Camilla era morbida e delicata, mentre quella di Pietro era
calda e accogliente, le provocò un insolito piacere e conforto. Le
sorrisero entrambi con affetto.
Provò subito una spontanea
simpatia nei loro confronti. Giulia aveva una marea di cose da
chiedere. «Strana esperienza, vero? A voi non è sembrato che…»
«Giulia! Vieni, papà è in
macchina che ci aspetta!» Era arrivata sua mamma.
Accidenti…
«Oh, no. Scusate, devo
andare.» Salutò i suoi recentissimi amici. «Beh, allora, ci
vediamo a settembre.» Li guardò ancora una volta.
Vide che anche loro erano
dispiaciuti, soprattutto Pietro, la guardò andar via con un velo di
delusione.
Le sue domande avrebbero
dovuto aspettare.
...
Allora? Scrivete sotto i vostri commenti! Fatemi anche sapere se riuscite a leggere bene, qui sul blog, altrimenti mi organizzo con un formato differente, o magari con dei pdf.
Claudia
la lettura è perfetta non ho nemmeno dovuto cambiare le dimensioni,l'unica cosa è il corsivo per i pensieri di giulia, in alcuni punti è troppo piccolo ma nei segmenti scritti in dimensioni uguali al testo è perfetto almeno dal mio punto di vista da extra miope per chi invece è in difficoltà con la visione da vicino quei pensieri scritti piccoli devono essere un incubo per cui direi di scriverli anche in corsia ma con una misura uguale al teto
RispondiEliminaGrazie, Barbara ❤ la grandezza del testo, non so perché, me l'ha modificata la pubblicazione sul blog. Nel mio file è tutto uguale. Devo capire come mai... 🤔
RispondiElimina«Ciao.» Una voce sottile la fece voltare.
RispondiEliminaLa ragazza con gli occhiali! Finalmente!
qui nel commento mi ha cambiato le misure ma se cerchi la frase quella è la misura ideale
Mi sa che è un problema di layout del blog
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